Recensione Sixty Second Shooter Prime
Tra le domande che vengono rivolte alla figura del recensore di videogiochi quella che spunta fuori con maggiore frequenza è: quanto dura il gioco X?
Una domanda spesso fuori luogo, soprattutto perché non è possibile in nessun modo quantificare in ore la qualità o il valore di un titolo. Sarebbe un po' come farsi l'idea di un libro chiedendo al commesso quanto tempo ha impiegato per leggerlo.
Infatti una domanda del genere perde di qualsiasi significato al di fuori del campo videoludico, ritenuta (impropriamente) lecita in virtù dell'alto costo dell'intrattenimento digitale.
Un errore che di fronte a un gioco che dura "solo" sessanta secondi potrebbe risultare fatale.
di: Luca "RukaManni" Manni
Tra le domande che vengono rivolte alla figura del recensore di videogiochi quella che spunta fuori con maggiore frequenza è: quanto dura il gioco X?
Una domanda spesso fuori luogo, soprattutto perché non è possibile in nessun modo quantificare in ore la qualità o il valore di un titolo. Sarebbe un po’ come farsi l’idea di un libro chiedendo al commesso quanto tempo ha impiegato per leggerlo.
Infatti una domanda del genere perde di qualsiasi significato al di fuori del campo videoludico, ritenuta (impropriamente) lecita in virtù dell’alto costo dell’intrattenimento digitale.
Un errore che di fronte a un gioco che dura “solo” sessanta secondi potrebbe risultare fatale.
Un nome un perché
Sixty Second Shooter, sviluppato originariamente come browser game da Jamie Fristrom e dal suo studio, Happines Laborartories, è un twin analog shooter dove, per l’appunto, sessanta secondi sono tutto il tempo che si ha a disposizione per poter ottenere il massimo punteggio possibile. O per lo meno era quanto accadeva nella versione originale del gioco e in quella successiva su PS Vita che, a differenza della controparte recentemente approdata su Xbox One denominata Prime, non dispongono della modalità “Infinite” in grado di prolungare l’esperienza della singola partita oltre i pochi secondi a disposizione. Una novità che, nonostante cozzi addirittura con lo stesso nome del gioco, non ne stravolge minimamente la struttura chiaramente ispirata ad Asteroids, un classico senza tempo realizzato da Atari nel 1979.
Nonostante si tratti di una breve manciata di secondi, non ci vorrà molto prima che si arrivi ad accumulare ore e ore di gioco senza nemmeno rendersene conto. Ogni partita, per quanto breve, dà assuefazione e la voglia di un’altra “dose” si fa presto sentire. Eppure in Sixty Second Shooter non si fa altro che guidare una semplice navicella su uno sfondo nero delimitato da linee bianche distruggendo astronavi di forma geometrica.
Ad arricchire l’esperienza di gioco, già di per sé frenetica, contribuiscono una buona varietà di nemici e una lunga sfilza di potenziamenti, collocati casualmente sulla piccola mappa di gioco e sbloccabili nelle partite successive dopo aver “superato” un certo numero di livelli. In ogni quadro di gioco, infatti, è presente una sorta di cilindro luminoso che, una volta attraversato, decreta il passaggio a quello successivo, aumentando di volta in volta la difficoltà. Il numero e la tipologia dei nemici contribuisce a rendere sempre più ostici quei sessanta secondi che, una volta scaduti, comportano comunque la distruzione della propria navetta, ma con un incremento notevole del proprio score, condivisibile in rete e/o con il proprio gruppo amici.
Per ottenere un buon punteggio, però, non è sufficiente sopravvivere: ogni colpo andato a segno infatti moltiplica il punteggio ottenuto con i colpi successivi e concatenandone un numero pari a cinquanta si accede a una particolare modalità dove, in una sorta di bullet-time, è possibile massimizzare il proprio risultato grazie alle ripetute esplosioni generate dalle astronavi abbattute.
L’aspetto dei nemici, a scapito dell’essenzialità del comparto grafico, è estremamente eterogeneo e ciascuno di essi si ispira ad una forma geometrica differente, passando dai semplici cubi alle spirali. Ognuno si muove in maniera caratteristica sul campo di gioco spostandosi liberamente o inseguendo la navetta del giocatore fino a schiantarvisi contro. Particolarmente pericolosi, invece, sono quelli di colore rosso, spesso presenti ai livelli di difficoltà più elevati, vista la loro immunità ai semplici colpi, aggirabile unicamente attraverso l’utilizzo dei potenziamenti sparsi all’interno del livello.
(Tanti) colori e (pochi) suoni
La veste grafica, estremamente minimalista, risulta arricchita da diversi temi visivi, ognuno coi suoi colori e i suoi effetti di luce, che si potranno selezionare dal menù prima di dare inizio a una sessione di gioco. Va detto che alcuni di questi risultano alla lunga fastidiosi alla vista ma almeno costituiscono una buona variante sul tema del classico bianco e nero. Sotto il profilo audio c’è invece ben poco da dire, visto che al di là dei rumori prodotti dalle esplosioni e dai colpi è possibile selezionare solo due tracce audio, anche se di ottima fattura.
Conclusione
Sixty Second Shooter Prime è, in sostanza, una piccola perla.
Una droga che genera assuefazione sessanta secondi alla volta ma che si lascia completare troppo velocemente sbloccando tutti gli elementi di gioco nel giro di una manciata di ore.
Nonostante alcune pecche, Sixty Second Shooter è perfetto sia per le sessioni di gioco mordi e fuggi che per quelle più intense regalando grandi soddisfazioni soprattutto a chi questo gioco ricorda un tempo non troppo lontano dove, per divertirsi, era sufficiente uno schermo, un triangolo e qualche linea bianca…