Recensioni

Signalis

di: Simone Cantini

Se c’è un genere che è stato tra i protagonisti della rivoluzione a 32 bit, sicuramente è quello dei survival horror. Sebbene (ri)nati dalle ceneri della magione di Derceto, produzioni come Resident Evil, Silent Hill e molte altre, hanno rappresentato una costola importante del portfolio delle macchine da gioco del periodo. Un amore, quello tra il genere ed i player, capace di durare ancora oggi, come dimostrano i successi riscossi dalle nuove uscite della serie Capcom, o la fibrillazione globale scatenata dai recenti annunci relativi al brand di casa Konami. Un mondo, questo a base di proiettili e sopravvivenza, che ha trovato terreno fertile anche nelle produzioni indipendenti e che, come nel caso di Signalis, talvolta non mancano proprio di omaggiare i fautori del nuovo corso del genere.

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You are not alone

Difficile davvero esprimere un giudizio preciso in merito a ciò che Signalis vuole raccontarci, dato che oltre al pretesto in grado di dare vita all’avventura, i suoi risvolti narrativi oscillano perennemente in bilico tra ovvietà e criptiche verità. Nel gioco sviluppato da rose-engine, andremo ad interpretare Elster, una sorta di androide di servizio che, in seguito all’atterraggio di fortuna della navicella su cui operava, si ritroverà a vagare per i meandri di uno sperduto laboratorio, in cerca della sua compagna di viaggio. Naturalmente, dato che parliamo di un survival horror, il peregrinare del robot non sarà certo costellato di arcobaleni e zuccherini, visto che in seguito ad una misteriosa malattia, tutti gli abitanti meccanici (e non) della struttura hanno finito per trasformarsi in creature letali, pronte a fare a pezzi chiunque gli si pari contro. Mossa da premesse non certo originali, quello che rende estremamente accattivante la narrazione di Signalis è, pertanto, la pura messa in scena delle vicende, che può contare su di una regia assolutamente affascinante che, per quanto oscura e sin troppo criptica, riesce a mettere su schermo inquadrature e suggestioni sicuramente d’impatto. E tra omaggi palesi all’horror classico, oltre che a pellicole di matrice cyberpunk (Ghost in the Shell su tutte), arrivare ai titoli di coda giungerà quasi naturale, data la voglia di vedere cosa il team, composto da sole due persone, abbia in serbo per noi, in senso puramente registico. Peccato solo per questa sorta di autocompiacimento che pare ammantare la scrittura, davvero ostica da decifrare e che sembra più crogiolarsi nelle volontà di dare al tutto un taglio fortemente autoriale e sperimentale. In tal senso, non possiamo fare a meno di interrogarci in merito all’epilogo della vicenda, che lascia sin troppo sottointese numerosi elementi.

Niente ombrelli stavolta

Se il desiderio di stupire a livello visivo c’è tutto, è sul fronte puramente ludico che Signalis decide consapevolmente di omaggiare la maniera di costruire il survival horror degli anni ’90. Il tutto a partire dal sistema di controllo di Elster, che pur in assenza delle canoniche inquadrature statiche alla Resident Evil, sostituite da una visuale dall’alto, si comporta in tutto e per tutto come gli agenti S.T.A.R.S. di un tempo. Anche se stavolta sarà possibile sparare mentre ci si muove. Ovviamente, al di là di questo arcaico retaggio, i comandi sono stati limati per adattarsi all’attuale modernità, così da fornire sempre e comunque il pieno controllo del nostro avatar. Gli echi della serie Capcom, però, emergono con maggiore prepotenza all’interno della gestione del nostro inventario, che sarà delimitato all’interno di sei singoli slot disponibili (non espandibili), oltre che dalla presenza di alcuni bauli di stoccaggio, che si troveranno nelle safe room demandate ai salvataggi manuali (niente autosave). Per quanto apprezzabile dal punto di vista puramente filologico, la scelta operata da rose-engine ha finito per risultare più fastidiosa che altro, dato che ci obbligherà ad abusare del backtracking in maniera davvero artificiosa e tediosa: se consideriamo che tre slot saranno obbligatoriamente occupate da una delle armi in nostro possesso, dalle relative munizioni e dai medikit, capite subito come resti poco altro spazio per gli oggetti necessari alla risoluzione degli enigmi. Aggiungete al tutto la necessità, da un certo punto in poi, di equipaggiare un modulo torcia (salutate un altro slot), e capite subito come il tutto finisca per trasformarsi in un logorroico andare avanti ed indietro per le varie stanze del laboratorio. E considerate che alcuni puzzle ci richiederanno anche 6 oggetti per giungere alla soluzione, quindi armatevi di tanta pazienza. Ad eccezione di questa evidente spigolosità, tutto il resto del comparto ludico di Signalis funziona come ci saremmo aspettati, grazie a scontri a fuoco funzionali (ma che potremo evitare per risparmiare proiettili) ed enigmi piacevoli e mai del tutto banali, alcuni dei quali giocheranno sull’utilizzo di una radio portatile (no, niente nebbia in questo caso). In tal senso, il duo rose-engine è riuscito a rendere al meglio i due elementi cardine del genere di riferimento. 

Non siamo angeli, ma quasi

Stilisticamente parlando, come si può aver già capito giunti a questo punto, Signalis è un piccolo gioiellino, a partire dalla sua grafica che strizza con convinzione l’occhio all’estetica a 32 bit e al tratto di Tsutomu Nihei. Il vero plus dell’opera, comunque, è da ricondurre all’interno del design generale, dannatamente claustrofobico e convincente. Le suggestioni sci-fi fortemente retrò, condite da un’impostazione che richiama l’est Europa post bellico, è in grado di conferire al tutto una marcia in più. Notevole, come già detto, la regia delle scene di intermezzo, che utilizzano in maniera intelligente le contrapposizioni di colori netti, oltre a giochi di luce ed ombre davvero pregevoli. Non è un caso che, come indicato anche dallo stesso team di sviluppo, il tutto si basi fortemente sul lavoro visivo svolto da Hideaki Anno in Evangelion (presente anche a livello di scrittura), ma è davvero difficile non notare anche la mano di Stanley Kubrick nella costruzione della scena. A dare man forte a questa potente carica espressiva puramente visuale e sperimentale, ci pensa una colonna sonora elettronica di fattura assoluta, in cui echi dello Yamaoka dei primi due Silent Hill sono alquanto palpabili, e contribuiscono a dar vita ad un’atmosfera ancor più opprimenti e straniante. Peccato per l’assenza della localizzazione in italiano, che avrebbe reso giustizia agli sparuti documenti reperibili in-game. Sul versante prestazioni, non si registrano particolari criticità, dato che tutto si muove fluido e senza intoppi. Vale, però, la pena sottolineare un glitch che, nell’ultima parte dell’avventura, mi ha permesso di superare delle porte sbarrate, ancor prima di giungere alla soluzione necessaria al loro sblocco. Niente che non possa essere risolto con una tempestiva patch, ma valeva la pena sottolinearlo.

Sarà criptico quanto volete, oltre che penalizzato da un sistema di gestione dell’inventario da denuncia penale, ma sarebbe davvero ostico ricondurre Signalis solo a tutto ciò. Se analizzata nel suo complesso, difatti, la produzione firmata rose-engine risulta un piccolo gioiellino di design ed atmosfera, capace di riportare in vita l’originale concept dei survival horror, adattandolo al nostro presente senza snaturarlo. Magari non ci capirete anche voi nulla della trama nella sua interezza, oppure vi ritroverete a sacramentare come neanche nei soulslike, dopo che sarete costretti a tornare per l’ennesima volta ad uno dei bauli magici, ma sarà davvero difficile resistere al suo oscuro fascino. Certo, potrete mollarlo, comprensibilmente infastiditi, ma la voglia di portarlo a termine sarà sempre là ad attendervi. Perfetto? No di certo. Affascinante? Beh, il voto parla chiaro…