Recensione Shenmue I & II
di: Simone CantiniQuella vecchia volpe dormiente di SEGA ci ha davvero provato, cercando così di puntare ancor di più i riflettori sul tanto sospirato terzo capitolo che vedremo il prossimo anno. Sì, perché altrimenti viene davvero difficile spiegare come mai si sia decisa soltanto adesso, nonostante le suppliche che i fan riversano da anni sul web, a riproporre i primi due capitoli della storica saga di Yu Suzuki, che tornano oggi in tutto il loro rigido splendore grazie a Shenmue I & II.
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Un tuffo nella storia
La storia di Ryo Hazuki assume contorni quasi mitologici, visto il clamore che è riuscita a sollevare nel corso degli anni che hanno fatto seguito al suo debutto. Sì, perché l’opera di Suzuki-san rappresenta un punto imprescindibile nell’evoluzione del medium videoludico, dato che riuscì per prima a codificare e cristallizzare quelli che sarebbero divenuti gli elementi cardine dei moderni open world. L’idea di calare una narrazione di stampo cinematografico all’interno di un universo di gioco vivo e pulsante, in cui il giocatore poteva letteralmente perdersi (nei limiti delle potenzialità dell’epoca), rappresentò un passo avanti notevole che, nonostante lo scarso successo commerciale, avrebbe fatto la storia. La volontà di vendetta che anima la vita di Ryo, studente esperto di arti marziali desideroso di trovare e sconfiggere l’assassino di suo padre, sarebbe corsa di pari passo con la sua vita di tutti i giorni, in cui oltre che alla lotta ci sarebbe stato spazio per le relazioni personali, gli svaghi ed il lavoro. Agire liberamente come se ci si trovasse realmente a percorrere le strade di Yokosuka aveva, nel 1999, quasi un alone mistico, capace di far sentire davvero libero ed indipendente il player, nonostante i rigidi paletti imposti da Suzuki che, seppur apparvero quasi impalpabili in origine, ci vengono brutalmente sbattuti in faccia oggi da Shenmue I & II. SEGA, difatti, ha percorso la pericolosa strada del semplice ed indolore (economicamente parlando) porting delle opere originali, semplicemente upscalate nella grafica e limate in alcuni piccoli aspetti strutturali come la possibilità di salvare in qualunque momento. Il problema si pone, però, quando andiamo ad analizzate il ritmo di gioco, ingessato ed anacronistico nel suo fissare dannatamente distanti tra loro nel tempo gli eventi cardine in grado di far progredire la narrazione, oppure di diluirli forzatamente per mezzo di alcuni intermezzi sinceramente fastidiosi (maledette corse con i carelli elevatori!). Sono questi i limiti in grado di affossare, se paragonato agli standard attuale, un gameplay invecchiato davvero malissimo che ha soprattutto nel primo episodio il suo scoglio più duro. Tutto appare dannatamente démodé, dall’improponibile sistema di controllo di Ryo, ai legnosissimi combattimenti, passando come detto per il semplice bisogno di progredire nella narrazione. La situazione, fortunatamente, migliora nel secondo capitolo, ma sfido un qualsiasi giocatore moderno ad arrivare soltanto a sfiorare i titoli di coda dell’incipit di questa saga. Sotto questo punto di vista, se l’intento di SEGA era davvero quello di radunare nuove orde di giocatori attorno a questo franchise, non posso fare altro che constatare il fallimento dell’impresa, visti gli sforzi minimali che sono stati fatti per rendere il tutto appetibile agli standard attuali.
Tutto come allora, anche troppo…
L’opera di restyling, difatti, è davvero ridotta ai minimi termini, come detto in precedenza, con il solo aumento della risoluzione, l’aspect ratio delle fasi giocate portato a 16:9 e l’introduzione del doppiaggio in lingua giapponese come uniche novità degne di nota. Tutto il resto è rimasto praticamente identico alle versioni viste su Dreamcast (Shenmue I) e Xbox 360 (Shenmue II). Se è comprensibile la scelta di mantenere i 4:3 nelle cutscene, per non incappare in costose spese di adattamento, è davvero fastidioso sentire una traccia audio compressa in maniera indecorosa, oltre che soggetta a fastidiosi sbalzi di volume, unita ad alcuni blocchi dell’inquadratura che si sono verificati in occasione di certe cutscene (tutto limitato al primo episodio per fortuna). Insomma, lato ottimizzazione il team si è davvero sforzato poco e, vista la caratura dei titoli in questione, è davvero un peccato. Riguardo ai giochi in quanto tali, invece, c’è poco da aggiungere rispetto a quanto non sia già stato detto nel corso degli anni, pertanto se siete tra i nostalgici che desideravano rivivere l’epopea di Ryo, in attesa di sollazzarvi con il terzo episodio, di sicuro non rimarrete delusi, visto che sapete già a cosa andrete incontro avviando questa collection.
E come sempre accade quando arrivano i remaster, eccomi pronto a confermare come il voto assegnato a Shenmue I & II riguardi solo l’aspetto tecnico dell’operazione, invero davvero dimesso rispetto alla grandezza delle due opere. Il lavoro di riproposizione è difatti estremamente esiguo e, non fosse per il prezzo budget e la presenza di un quantitativo considerevole di ore giocabili, la sufficienza sarebbe un vero e proprio miraggio. Speriamo che quando il nuovo Shenmue arriverà nei negozi la situazione sia decisamente migliore, visto che proporre uno schema ludico così rigido, per quanto ai tempi rivoluzionario, sarebbe una zavorra considerevole, oltre che decisamente imperdonabile.