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Recensione Sakura Wars

di: Simone Cantini

Visto come si sta comportando negli ultimi anni, se si è fan dei videogame nipponici, è davvero difficile non volere bene a SEGA. Sì, perché il colosso giapponese, oltre a serie popolari a livello mondiale come Sonic, cela nel suo portfolio una miriade di produzioni create e pensate su misura per il pubblico del Sol Levante, che fino a pochissimi anni fa sarebbe stato anche solo blasfemo pensare di poter giocare al di fuori dell’arcipelago di origine. Eppure, complice magari anche la crisi di vendite che ha caratterizzato il mercato di base, SEGA ha poco alla volta iniziato ad esportare anche in occidente simili prodotti, riscuotendo sempre più successo: basta pensare alla saga di Yakuza, comparsa in sordina ai tempi PS2 (per poi sparire dai radar per qualche anno) e che oggi rappresenta uno dei brand più apprezzati, come anche è successo con Persona (con lo zampino di Atlus). E che dire di Sakura Wars? Chi avrebbe mai pensato che, a pochi mesi di distanza dalla release nipponica, anche noi italiani avremmo potuto mettere le nostre mani sul nuovo capitolo del franchise?

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A tutto vapore!

La storia occidentale del brand nato 1996 su Saturn è davvero risicata, per lo più legata ad esperienze audiovisive che non prettamente videoludiche, le cui sortite si contano davvero sulle dita di mezza mano monca; pertanto ritengo sia utile parlare brevemente del setting che caratterizza la serie SEGA, che prende vita agli inizi del secolo scorso, in una versione romanzata del periodo Taisho, in cui è forte la presenza di elementi steampunk, e che vede un gruppo di soldatesse combattere contro orde di demoni, per mezzo di potenti esoscheletri meccanici. La storia del Sakura Wars recentemente uscito, prosegue lungo questo filone, spostando gli eventi al 1940, anno in cui il giovane Seijuro Kamiyama (il nostro alter ego) viene nominato capitano della Flower Division (Hanagumi), il gruppo armato incaricato della difesa di Tokyo. Il team ha sede all’interno di un teatro, che oltre a fungere da copertura permette loro di poter guadagnare il denaro necessario alle riparazioni dei mezzi meccanici impiegati per combattere, ed è proprio questo elemento uno dei punti cardine del gameplay, dato che parte di tale quotidianità avrà un ruolo fondamentale per quanto concerne gli aspetti di visual novel e dating sim che caratterizzano Sakura Wars. Parlando della storia, il titolo SEGA ci vedrà quindi impegnati gestire la duplice natura della Flower Division, alternandoci tra momenti di vita ordinaria a combattimenti contro le forze demoniache che minacciano la capitale nipponica. Ricca di cliché, personaggi stereotipati e momenti imbarazzanti tipici delle love story soft giapponesi, la narrazione scorre comunque piacevole, seppur priva di reali guizzi, grazie ad un cast in grado comunque di far breccia nel cuore degli appassionati, e che saprà intrattenere per un cospicuo numero di ore, complice anche la rigiocabilità data dalla possibilità di intrecciare una relazione con ognuno dei membri della Flower Division (che richiederà gioco forza più di una run).

Parole, parole, parole

Croce e delizia di Sakura Wars è sicuramente il suo gameplay, ripartito in tre distinte sezioni: visual novel, dating sim e combattimenti. Ci tengo subito a precisare che, se siete amanti della pura azione, fareste bene a tenervi saggiamente alla larga dal titolo, dato che le prime due porzioni caratterizzano la maggior parte dell’esperienza ludica, soprattutto quella legata ai 3 capitoli iniziali della storia. Sakura Wars, difatti, è un titolo estremamente lento e compassato, proprio per la natura di questi particolari elementi di gameplay: le prime ore, difatti, rappresentano lo scoglio più duro per coloro che non amano passare il proprio tempo a leggere interminabili linee di dialogo (rigorosamente in inglese), a tratti anche inutilmente prolisse, ma che sono indispensabili per gettare le basi del background di ciascun personaggio. In questi frangenti l’unica interazione sarà rappresentata dal sistema LIPS (Live & Interactive Picture System), che ci proporrà di tanto in tanto delle risposte a scelta multipla, gestite da un timer, ciascuna delle quali andrà ad influire sulla relazione che instaureremo con ognuno dei vari comprimari, così da sbloccare eventi secondari, aumentare la nostra intimità, oppure garantirci alcuni bonus durante gli scontri con i demoni. Questi ultimi, come detto poco sopra, rappresentano quasi una parte marginale dell’esperienza, almeno fino allo sblocco del simulatore di combattimento, che ci permetterà di scendere in campo a nostro piacimento grazie ad alcune missioni ad hoc, oltre a poter rigiocare quelle principali. Le battaglie rappresentano la più evidente rottura con il passato di Sakura Wars, dato che in questo episodio vanno a perdere la loro natura ruolistica a turni, in favore di un approccio decisamente action che strizza l’occhio ai musou. Una volta a bordo del nostro mech, difatti, ci troveremo ad affrontare piccoli gruppi di creature ostili, che potremo eliminare servendoci della solita combinazione attacco normale/forte, oltre al consueto colpo speciale, utilizzabile dopo aver riempito l’apposito indicatore. Potremo, inoltre, alternare al volo i due personaggi disponibili a seconda della sortita (in certi casi saranno 3), ognuno dei quali sarà caratterizzato dalle proprie peculiari forme di attacco e combo. Va detto che, pur essendo comunque divertenti, queste lotte non rappresenteranno mai un ostacolo insormontabile, data la difficoltà non certo proibitiva che le caratterizza, ma restano comunque un piacevole e benvenuto diversivo decisamente movimentato. A completare il pacchetto delle attività, oltre alla raccolta di varie foto disseminate nel gioco, troveremo anche il Koi-Koi Wars, un gioco di carte basato sulle popolari Hanafuda giapponesi, e che per il sottoscritto ha rappresentato una vera droga.

Gioia per gli occhi

Se sul fronte ludico, Sakura Wars riesce a difendersi con onore, pur senza spiccare in maniera particolare in alcuno degli aspetti che lo caratterizzano, è per quanto concerne la realizzazione tecnica generale che il titolo SEGA ha davvero una marcia in più, pur potendo contare su di un budget non certo stellare. Il primo impatto positivo è dato dal character design di Tite Kubo (Bleach), che prende il posto di Kosuke Fujishima (Oh, Mia Dea!), coadiuvato da altri autori di spicco per quanto concerne lo sviluppo dei personaggi che compongono gli eserciti provenienti dagli altri paesi, e che avranno un ruolo fondamentale nell’economia della storia. Ottime anche le performance dell’Hedgehog Engine 2, il motore proprietario che muove il gioco e che, grazie anche all’utilizzo intelligente del cel-shading, conferisce all’intera produzione un tocco anime davvero di pregevole fattura. Per quanto riguarda il versante audio, già la presenza dello storico compositore Kohei Tanaka dovrebbe tranquillizzare tutti i fan (da applausi la riscrittura del main theme), così come all’altezza delle aspettative è il voice over giapponese. Notevole anche il mecha design che caratterizza i Mugen, i mech utilizzati in combattimento, e che già so mi obbligherà ad acquistare in rete i modellini da assemblare realizzati da Bandai

Sebbene semplificato per quanto concerne la parte più attiva, oltre che fortemente spinto verso il binomio visual novel/dating sim, sicuramente più nelle corde dei giocatori nipponici, non si può che essere felici dell’approdo in occidente di Sakura Wars. Il titolo SEGA, difatti, pur con tutti i propri voluti limiti ludici, rappresenta un momento epocale per quello che è il nuovo corso produttivo del colosso digitale giapponese, ora più che mai pronto a regalare al mondo intero anche parte del proprio catalogo più sommerso. Al netto degli entusiasmi che un simile fattore comporta, però, che cosa ci resta tra le mani? gè un gioco per certi aspetti difficile da digerire, a tratti spigoloso per i detrattori del gaming che non fa dell’azione il suo punto focale. Lento, a tratti esasperante in termini di pura prolissità, l’ultimo arrivato di casa SEGA propone una tipologia di intrattenimento sicuramente particolare, caratterizzato da pochi guizzi realmente memorabili, ma che riuscirà comunque a soddisfare tutti coloro che sono in cerca di un’esperienza tarata innegabilmente su gusti tipicamente nipponici.