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Recensione Riven

di: Marco Licandro

Dopo aver giocato Myst in tutte le sue versioni, inclusa l’ultima uscita in VR, Cyan Worlds torna alla carica con un remake completo di Riven, il sequel originale di Myst, per un colpo al cuore dei nostalgici, e anche per coloro che non hanno mai provato la sensazione di trovarsi nei fantastici mondi di questa serie.

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Ritorno alle origini

Chi ha giocato l’originale non può che sentirsi a casa una volta iniziato il gioco, grazie a scenari estremamente fedeli all’originale, riprodotti in maniera tale da restituire il feeling ed espanderlo, grazie alla possibilità di girare liberamente per il mondo. Gli ambienti tridimensionali hanno un’ottima definizione grafica, anche in VR, e perdersi (letteralmente) nel mondo non è mai stato così facile.

I nuovi giocatori probabilmente sapranno poco di ciò che li aspetta, e per questo è necessario un po’ di contesto. Nei mondi della saga di Myst, vi sono svariati universi, a metà tra la natura ed il tecnologico, tutti raggiungibili tramite dei portali all’interno dei libri.

In Riven, incontreremo Atrus che ci chiederà di salvare sua moglie, prigioniera di Gehn, suo padre. Gehn è una figura scaltra, e occorrerà ragionare bene sul da farsi per non cadere nelle sue trappole, fatte di gabbie e inganno, il tutto esplorando un mondo pieno di apparecchiature sconosciute che richiederanno logica e tentativi, in un enorme puzzle game como solo Cyan Worlds sa fare.

Remake con differenze

Non tutto è uguale all’originale. Nonostante la ricreazione dei mondi sia praticamente fedele al titolo uscito nel 1997, il remake presenterà alcuni cambi, i quali metteranno a dura prova i giocatori. In particolar modo quelli che già hanno giocato l’originale, come il sottoscritto recensore, modificando in parte l’esperienza di alcuni puzzle e rendendoli praticamente nuovi.

Anche dal punto di vista grafico troviamo differenze, essendo spariti gli attori reali, sostituiti da CG. Le attrezzature utilizzate nei vari mondi saranno ben riprodotte, sì, ma mancheranno di quella quantità di dettagli e cura nella realizzazione che invece erano presenti nella versione del ’97. Un po’ strano da dire, il fatto che un titolo fatto di filmati renderizzati abbia ricevuto più cura graficamente di un titolo odierno, eppure la sensazione mettendo i due a confronto è proprio questa.

Nonostante tutto, almeno in VR siamo abituati comunque a grafiche meno esigenti, anche se questo non dev’essere una scusa, in particolare con il Quest 3 che può fornire ambienti veramente curati e performanti. E proprio con le performance, apriamo il seguente paragrafo.

Quando si rompe la magia

Attendere svariati minuti guardando una barra di avanzamento che procede a ritmo di lumaca non è proprio quanto ci aspettiamo quando iniziamo un gioco in VR. Fortunatamente questo accade (in teoria) solo la prima volta, ed abbiamo già avuto altri casi come questo, avendo giocato titoli come Red Matter 2 che effettuano lo stesso tipo di caricamento, anche se più velocemente rispetto a Riven 2024.

Il problema è che, in Riven, le textures e le aree di gioco non vengono precaricate mentre ci muoviamo nelle altre aree, obbligandoci invece a interrompere il ritmo di gioco per via di caricamenti su sfondo nero che sembrano fuori luogo. Questo accade spesso con tempi ben lontani dall’essere accettabili, cosa che ha fatto decrescere molto presto il mio desiderio di esplorare, sostituendolo dalla paura di trovare uno di questi punti dove sono costretto a stare immobile, con un casco virtuale in testa (soprattutto con questo caldo), in attesa di riprendere a giocare.

Questa cosa ha in qualche modo anche influenzato il mio gameplay, essendo come giocatore restio a tornare in punti dal caricamento forzato, e consciamente o inconsciamente evitandoli, rallentano la mia comprensione di alcuni puzzle, e ritardando ancora di più questa recensione rispetto ai miei normali tempi.

Per rendere il comfort più alto, e mitigare il motion sickness, alcune opzioni sono poi disabilitate di default, come per i viaggi che richiedono movimento. Aspettare con trepidazione il momento in cui una capsula si muova su delle rotaie, per poi venire teletrasportati direttamente all’arrivo, non è il massimo dell’esperienza. Anche se il giocatore può andare volontariamente nelle opzioni per disabilitare questi controlli, avrei voluto più scelta al momento di iniziare il titolo, anziché scoprirlo in malo modo.

Un sequel valido di Myst

Nonostante le critiche sull’ottimizzazione, se avete amato Myst, non potete fare a meno di giocare assolutamente questo sequel, oltretutto munito di obiettivi, come accade con i giochi moderni. Il fatto di avere più mondi, ognuno con la sua logica, i suoi misteriosi ingranaggi e meccaniche, e le bellezze date da grafiche in cgi a tema naturalezza e fantascienza, rendono il titolo un must-play.

Sfortunatamente, la versione non VR è disponibile solo su PC, non avendo ancora creato una versione per console, e quindi sarete obbligati dal giocare questo in VR, con i problemi di attesa sopracitati, ma per lo meno potrete scoprire i mondi di Cian Worlds nella maniera più avvolgente possibile.

Così come Myst, bisognerà utilizzare i libri per entrare in diversi mondi interconnessi, ognuno con il suo stile, la sua logica, e i suoi puzzle da risolvere, questa volta incontrando anche personaggi con cui interagire, rendendo questo sequel molto più cinematografico per certi aspetti, in attesa che esca quello che è il mio preferito della saga, Myst III: Exile, che veramente spero venga annunciato in quanto nulla batte il level design e la direzione artistica di quel titolo.

Tirando le somme

Se potessi scegliere di giocare una versione del remake di Riven, probabilmente andrei per quella su schermo classico. Nonostante la bellezza dei paesaggi in VR, è chiaro che il titolo sia stato concepito per essere utilizzato su uno schermo 2D, e successivamente portato in VR sfruttando la tecnologia, e subendo anche dei limiti per poter sfruttare del contenuto in realtà virtuale. 

Mentre su schermo potrebbe essere ok il fatto che non si possa interagire con tutto, in VR ha meno senso il dover provare a toccare tutto per scoprire cosa sia parte del puzzle e cosa sia parte dell’ambiente. I frequenti caricamenti rompono la magia e in qualche modo condizionano il gameplay, portando il giocatore ad evitare alcuni puzzle, se non proprio costretto, rallentando il ritmo di gioco. 

Nonostante tutto, rimane comunque un’esperienza in realtà virtuale ben gradita per chi volesse entrare completamente nel mondo di gioco ed immergersi in uno dei puzzle game più carismatici e ben realizzati che ci sia. Consigliato.