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Recensione Rise of The Ronin

di: Simone Cantini

Per uno studio di sviluppo arriva sempre quel fatidico momento in cui si avverte il bisogno di fare uno step ulteriore, alzare decisamente l’asticella ed uscire dalla comfort zone in cui si è sguazzato per anni. Un passaggio fisiologico, quasi un’ideale concentrazione del know how acquisito nel corso del tempo, la sublimazione del percorso artistico e creativo che caratterizza ciascun curriculum. Certo, si tratta comunque di un percorso non così semplice e scontato, dato che non sempre la somma delle parti responsabili di vecchi successi finisce con il trasformarsi in una hit garantita. Che poi è quello che è successo con Rise of The Ronin di Team Ninja, che a buonissime idee e meccaniche ha finito per accompagnare un risultato non eccelso in ogni suo aspetto. Anche se questo concentrato di sforzi è risultato essere divertentissimo lo stesso.

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La coppia che scoppia

Ultimamente il periodo Bakumatsu mi ha accompagnato per tantissime ore, quando mi sono ritrovato a videogiocare in allegria. Mi viene spontaneo pensare subito a Like a Dragon: Ishin!, che con le sue oltre 50 ore mi ha visto menare mani e lame in compagnia del buon Sakamoto Ryōma, personaggio con cui ho incrociato nuovamente il pad proprio grazie a Rise of The Ronin. Il titolo Team Ninja, difatti, è ambientato proprio durante questo tumultuoso periodo che cambiò per sempre la storia del Giappone, ed ha al centro una coppi di guerrieri appartenente al clan delle Lame Gemelle, gruppo di lottatori addestrati per combattere in coppia. E saremo noi a plasmare da zero, all’inizio dell’avventura ed attraverso un corposo editor, uno di questi letali binomi. Una collaborazione che, pad alla mano, si vedrà interrotta dopo pochi minuti, quando saremo costretti a compiere una dolorosa scelta per motivi che preferiscono non rivelare. Si aprirà così un racconto che prende il via in modo stranamente efficace e comprensibile, se consideriamo il pregresso dello studio nipponico, ma che si perde inevitabilmente strada facendo a causa di una sceneggiatura frammentata ed infarcita da dialoghi non sempre ben scritti.

Rise of the Ronin

E non gioca a suo favore anche lo spropositato quantitativo di personaggi e gruppi che ci verranno gettati addosso dopo ogni missione, che richiederanno una massiccia dose di impegno per essere memorizzati e metabolizzati, a patto di non essere cinture nere di storia giapponese. Fortunatamente, riprendendo un escamotage visto in Final Fantasy XVI, durante ogni cinematica sarà possibile accedere ad un glossario che ci permetterà di ripassare le nozioni oggetto del contendere. Una narrazione che, purtroppo, si è rivelata molto più lineare di quanto il gioco ci porti erroneamente a pensare, data la presenza di alcuni snodi narrativi che, a ben vedere, non vanno ad incidere in modo così massiccio sull’evolversi delle vicende: a cambiare saranno giusto un paio di esiti ed il destino di alcuni personaggi minori, ma il nocciolo portante della narrazione rimarrà il medesimo, a prescindere dal nostro operato. Volare bassi, in tal senso, sarebbe stato forse più opportuno. L’affresco tratteggiato da Team Ninja, pur con le sue incertezze, è comunque maestoso ed affascinante, oltre che decisamente fedele alla realtà (pur con le sue fisiologiche licenze poetiche) e riesce a ricostruire in modo efficace questo complesso periodo storico, grazie anche alle controparti digitali dei personaggi reali che ne furono gli attivi protagonisti. Cast con cui trascorreremo un abbondante numero di ore, dato che per completare tutte le attività che Rise of The Ronin ha in serbo per noi non saranno sufficienti 50 ore, una longevità decisamente interessante per una simile produzione.

Piccolo mondo antico

Giocare a Rise of The Ronin è come assistere al frutto della più affollata delle orge videoludiche, visti i numerosi elementi presi da varie produzioni che hanno contribuito all’identità definitiva della produzione Team Ninja. Descriverlo in modo sintetico mi vede costretto a citare l’abusato Assassin’s Creed per la struttura open world (ma molto è dovuto anche a Ghost of Tsushima, come dichiarato dagli stessi sviluppatori), caratterizzata dai consueti avamposti da liberare, ma anche da templi presso cui pregare, foto da scattare, gatti da salvare e molto altro ancora. La libertà di movimento è davvero massiccia, grazie anche alla presenza di un rampino (utilizzabile in punti specifici), un aliante e alla possibilità di nuotare anche sotto il pelo dell’acqua. Virtualmente sarà possibile raggiungere ciascun punto visibile delle tre grandi macroaree in cui il gioco è diviso, ognuna ricca di segreti da scoprire e minacce da sventare.

Per i combattimenti, lo studio giapponese ha scelto di fondere con l’esperienza accumulata nei due NiOh elementi presi di peso da Sekiro, ma anche alcune intuizioni sviluppate in autonomia in Wo Long: Fallen Dynasty e presenti nei Dynasty Warriors di Omega Force. Il risultato si è tradotto in un combat system che è il vero fiore all’occhiello della produzione, che ruoterà tutto attorno alla gestione del ki (e suo recupero legato alla pressione del dorsale destro dopo un certo numero di affondi) e delle deviazioni. Il core degli sconti si plasmerà principalmente attorno alla parata perfetta degli assalti avversari, meccanica che se ben eseguita velocizza in modo marcato lo svuotamento della resistenza nemica. Farlo, come prevedibile, ci permetterà di sferrare un colpo devastante, capace di infliggere ingenti danni. Naturalmente potremo anche colpire e combattere in modo canonico, sfruttando tre distinte stance (ognuna più efficace contro una determinata tipologia di armi) ed una corposa varietà di armamenti: katane, spade doppie, odachi, sciabole sono solo un piccolo assaggio e, se consideriamo anche la presenza di vari stili di lotta (ne potremo equipaggiare sino a 3), ciascuno dotato dei propri moveset e mosse speciali, ciò che emerge è il consueto lavoro maniacale svolto da Team Ninja che, ancora una volta, è riuscito a confezionare un combat system dinamico e divertentissimo. Data anche la presenza di armi da fuoco e lanciabili, ovviamente sfruttabili in tempo reale, è inutile sottolineare come ogni battaglia si trasformi in una vera goduria per i nostri polpastrelli. Purtroppo, però, a vanificare in parte tanta bontà, ci ha pensato l’IA nemica davvero deficitaria, che emerge in modo prepotente ogni volta che ci troviamo ad assaltare nell’ombra gruppi più consistenti: gli avversari sembrano essere ignari di ciò che li circonda, dando vita a massacri stealth incapaci di allarmare compagni posti a pochissimi metri di distanza. Una situazione comunque singhiozzante, dato che non mancano volte in cui i cecchini nemici si dimostrano in grado di scorgerci da distanze siderali, vanificando il desiderio di agire nell’ombra. Meno male che tutto finisce per svanire non appena si sguainano le lame, e la sopravvivenza diviene unicamente una questione di abilità e tempismo.

Ad ognuno il suo

A dispetto della sua struttura open world, godibile unicamente in solitaria, Rise of The Ronin mette in campo anche una benvenuta componente multiplayer, che è legata unicamente alle missioni principali della storia. Questi sono i momenti in cui il titolo si decide in parte a ripercorrere la strada tracciata dai due NiOh, circoscrivendo l’azione in ambienti chiusi, che potranno essere affrontati tanti in compagnia di due personaggi controllati dall’IA (tra quelli sbloccati giocando e che saranno tantissimi, in perfetto stile DW), che di altrettanti giocatori recuperati collegandosi alla rete. Ovviamente anche noi potremo dedicarci alla beneficienza, scegliendo di correre in soccorso degli altri player. A dispetto della presenza di un comparto multigiocatore e di alcuni elementi presi dai soulslike, come il respawn dei nemici base ad ogni morte o accesso ai vari checkpoint, Rise of The Ronin presenta anche tre distinti livelli di difficoltà, modificabili in ogni momento ed in grado di adattare l’esperienza ad ogni tipologia di giocatore: una vera rarità per il genere. Peculiare è anche il sistema di crescita del personaggio, che non vedrà aumentare le proprie statistiche in maniera convenzionale, investendo i punti accumulati nella caratteristica preferita, bensì per mezzo dello sblocco delle varie abilità legate ai 4 skill tree presenti (Forza, Intelletto, Agilità e Fascino): ciascuna skill, difatti, oltre a garantire nuove mosse o bonus passivi, andrà anche ad incrementare una delle statistiche relative, così da garantire due piccioni con una fava. Parlando di equipaggiamenti, invece, torna l’abbondanza vista nei soulslike sviluppati dal team, grazie ad una massiccia presenza di elementi selezionabili, suddivisi per mezzo del classico schema basato sulla rarità, che potranno essere venduti, smontati e potenziati presso le strutture dedicate: insomma, c’è davvero l’imbarazzo della scelta.

Giappone dimesso

Lo so benissimo che Rise of The Ronin è un titolo disponibile in esclusiva su PS5 (e PC), ma a ben vedere questo suo status non emerge in maniera così marcata una volta che si avvia il gioco. A dispetto di una patch day one che è riuscita a migliorare un pelo la situazione, il colpo d’occhio offerto dall’ultima fatica di Team Ninja non è certo quello che ci si aspetterebbe da una produzione current gen. Il Giappone digitale che si dipanerà sotto i nostri occhi, difatti, sembra più legato all’inizio della scorsa generazione, visto il modo in cui non riesce minimamente a rivaleggiare con Ghost of Tsushima in quanto a perizia e pulizia tecnica. Certo, non mancano scorci suggestivi ed uno stile comunque ispirato e riconoscibile, ma gli evidenti effetti di pop-in e la complessità generale tradiscono uno sviluppo che risulta indietro rispetto agli standard attuali, il tutto a prescindere dall’impostazione grafica selezionata. A tal proposito, ne sono disponibili 3: fluidità, qualità e ray tracing. Inutile dire come, visto il tipo di gameplay, la prima sia da preferire senza riserve, visto che nonostante i 60 frame non siano sempre stabilissimi, la fluidità dell’azione ha un peso specifico maggiore rispetto al piccolo upgrade estetico garantito dai restanti preset, caratterizzati da una conta dei fotogrammi dimezzata e neppure costante. Stupisce in negativo, inoltre, come il doppiaggio in italiano non sia in linea con le altre esclusive Sony, a causa di alcune voci davvero prive di mordente e assai trascurabili, a cui si accompagna una localizzazione non sempre puntuale. Se preferite, è presente il classico voice over in lingua originale, naturalmente caratterizzato da un passo assai differente.

Dopo aver fatto la mia parte nel periodo Bakumatsu, non ho potuto fare a meno di notare come Rise of The Ronin mi abbia ricordato sotto molti punti di vista il bistrattato Days Gone. Con il titolo Bend, difatti, l’ultimo lavoro di Team Ninja condivide una buona parte dei pregi e dei difetti: ad una struttura assai derivativa e ad una pulizia tecnica rivedibile, difatti, ha finito per accompagnare un gameplay davvero divertente, capace di nascondere parte delle incertezze che ne caratterizzano l’ossatura. Incrociare la lama con quella di altri ronin e personaggi storici realmente esistiti è foriero di un sollucchero ludico palpabile e marcato, capace di far passere in secondo piano un colpo d’occhio non sempre spettacolare ed una IA nemica che pare patire senza riserve i nostri approcci più silenziosi. Se si è pronti a scendere a compromessi con una struttura di base assai rodata e prevedibile, ma non per questo disprezzabile, questo viaggio nel Giappone di fine diciannovesimo secolo potrebbe sorprendere senza riserve. Non sarà l’esclusiva perfetta, ma diamine se è divertente.