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Recensione Riot – Civil Unrest

di: Federico Lelli

Prodotto italiano nato da una campagna su Kickstarter e già portato su PC da diverso tempo, Riot – Civil Unrest prova a simulare le dinamiche della guerriglia urbana in salsa pixellosa, il risultato anche su console è una cosa tipo questa.

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Zecche vs Sbirri

Nato dall’esperienza in prima persona dello sviluppatore ai cortei NO TAV, Riot – Civil Unrest prende degli scenari di attualità come gli scontri un Val di Susa, gli Indignados spagnoli e i movimenti della primavera araba e mette il giocatore nei panni dei protestanti o delle forze dell’ordine, spesso con obiettivi contrastanti tra loro.

Dal punto di vista del gameplay si tratta più propriamente di un gestionale dove le due fazioni si muovono con dinamiche differenti e specifiche. Se da una parte abbiamo i ribelli forti del proprio numero che tra le soluzioni pacifiche possono scegliere di muoversi in massa, bloccarsi e fare sit-in di protesta, dall’altra abbiamo la polizia che spesso ha numeri minori ma una coordinazione migliore tra le squadre e una serie di strumenti di soppressione per evitare il conflitto, come gli scudi anti-sommossa. Quando le cose invece andranno male, perché bisogna prepararsi per il meglio ma aspettarsi il peggio, entrambe le fazioni verranno alle mani con quello che hanno a disposizione: petardi, estintori, fumogeni, pallottole, trasformando la zona un vero e proprio campo di guerra. Ogni fazione è divisa in squadre differenti che possono essere comandate in maniera specifica, dando al titolo una componente strategica particolare.

Quello che si capisce presto già dalla prima partita è che il gioco ci offre solo l’illusione di controllo, soprattutto quando guidiamo la fazione dei ribelli, per natura più scomposti e fuori dai ranghi. Ogni indicazione impostata dal controller è infatti più un suggerimento che si scontra poi con la realtà dei fatti e con la situazione in corso: vedremo quindi la folla muoversi in maniera disordinata e agire anche in maniera individuale, leggermente influenzata dal nostro volere.

Ogni conflitto diventa quindi la somma di più componenti in campo, molte delle quali casuali o completamente accidentali: arrivare all’obiettivo di occupare un’area o di sgombrarne un’altra potrebbe essere quindi molto più impegnativo di quello che pensiamo proprio per questo motivo, soprattutto se cerchiamo a tutti i costi una soluzione pacifica e ci facciamo trascinare in giro dalla fazione avversaria.

Il giocatore, anche se responsabilizzato dalle scelte che farà durante la partita, si trova in molti casi spettatore inerme di fronte alle dinamiche di gioco tracciando un parallelismo tra la sua condizione e quella degli attori in campo, anch’essi presenti in prima persona e responsabili ma allo stesso tempo trascinati dagli eventi. L’idea alla base, che sia volontaria o meno, non giustifica però il poco coinvolgimento di quello che, alla fine, dovrebbe essere sempre un videogioco che ci propone obiettivi (neanche molto vari) da concludere.

Riot – Civil Unrest è un esperimento interessante che probabilmente non andrebbe neanche valutato come videogioco (e al quale infatti lascio un voto solo perché non posso evitare di inserirlo) che sfrutta l’idea della simulazione videoludica per parlare della società senza cercare per forza di venderci o imporci una sua verità. Non aspettatevi quindi di passarci grandi serate col pad in mano.