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Recensione Remothered: Tormented Fathers

di: Simone Cantini

Inseguire un sogno non è certo facile, vista l’impalpabile inafferrabilità del soggetto, ma talvolta capita che grazie alla nostra determinazione si riesca a concretizzare anche la più eterea delle aspirazioni. E lo sa bene Chris Darril, catanese verace che sin dalla fine dello scorso decennio coltivava il desiderio di realizzare un horror in grado di rievocare i fasti delle migliori produzioni nipponiche. Il processo di sviluppo è stato decisamente lungo, anche a causa di un cambio di impostazione visiva, ma alla fine il primo tassello della trilogia ideata da Chris si è concretizzato, grazie a Remothered: Tormented Fathers.

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La casa degli orrori

La storia di Remothered: Tormented Fathers ruota attorno alla scomparsa di Celeste, figlia dell’anziano notaio Felton e su cui sta indagando la sedicente dottoressa Rosemary Reed. Giunta nei pressi della oscura dimora dell’uomo, oramai fiaccato da una misteriosa malattia, la donna viene accolta da Gloria, l’infermiera che durante il giorno ha il compito di assistere il signor Felton. Dapprima ricevuta con cortesia dal proprio ospite, Rosemary verrà bruscamente fatta allontanare da questi non appena scorgerà una foto della figlia oramai perduta da anni. Rosemary, comunque, complice anche il suo oscuro passato, decide di non darsi per vinta, ed una volta giunta la notte si introduce di nascosto all’interno di villa Felton, decisa a far luce sulle vicende, ma non certo preparata agli orrori che la attendono tra i corridoi della letale dimora. Mosso da premesse non certo originalissime, ma sorretta da una sceneggiatura quanto mai solida ed accattivante, Remothered: Tormented Fathers è il primo capitolo di quella che si configura come una trilogia survival horror, la cui genesi affonda le proprie radici nella volontà di raccogliere e proseguire l’eredità lasciataci da titoli come Clock Tower ed Haunting Ground. È a queste due produzioni nipponiche che è possibile avvicinare, sia stilisticamente che ludicamente, il lavoro scritto e diretto dal nostrano Chris Darril, il cui amore per questo particolare filone videoludico è riuscito a concretizzarsi pienamente nell’avventura di Rosemary Reed, giungendo anche a ricevere il plauso di un certo Keiichiro Toyama (Silent Hill vi dice nulla?). Bisogna difatti ammettere che, pur essendo un’esperienza quanto mai condensata (4-5 ore), Remothered: Tormented Fathers si dimostra un sentito e riuscitissimo omaggio ad un modo di narrare ed imbastire l’orrore tipicamente nipponico, il cui epilogo quanto mai aperto per ovvie esigenze narrative e produttive, ci lascia addosso una piacevole voglia di andare oltre, e giungere davvero alla conclusione della storia partorita da Chris Darril. E allora come mai il voto che troneggia spietato in calce alla recensione sembra stridere crudelmente con quanto appena scritto? La risposta è facilmente ritrovabile all’interno dello sviluppo del gameplay, minato da alcune imperfezioni che mi auguro vengano abilmente smussate nei prossimi due capitoli della saga.

Il gioco del silenzio

Non essendo Rosemary un letale militare addestrato, né una supereroina dotata di mistici poteri, la nostra sventurata protagonista avrà ben poche possibilità di fronteggiare le minacce che incombono all’interno di villa Felton. Ecco quindi che, fedele ai titoli citati nel precedente paragrafo della recensione, la sua unica speranza di salvezza sarà rappresentata dalla fuga. Oltre che dalla possibilità di nascondersi ed utilizzare alcuni semplici oggetti come diversivi. Il gameplay di Remothered: Tormented Fathers, quindi, ci vedrà impegnati in una sorta di ansiogeno nascondino, in cui trovarsi faccia a faccia con il nemico di turno potrebbe finire per tramutarsi nella quasi totalità dei casi in morte certa. Ecco quindi che saremo costretti a muoverci con circospezione all’interno della casa, magari accovacciati per dare meno nell’occhio e fare pochissimo rumore. Già, perché i nostri avversari potranno scorgerci a 360°, anche a qualche piano di differenza se saremo particolarmente rumorosi, abbandonando quindi le routine scriptate che spesso ritroviamo in simili produzioni. Si tratta di una feature davvero interessante, capace di acuire abilmente la tensione, e che potremo anche sfruttare a nostro vantaggio per attirare altrove i nemici. Certo, qualora le cose non dovessero andare per il verso giusto, e dovessimo finire per incappare sventuratamente nella minaccia di turno, potremo cercare di divincolarci (a patto di avere a disposizione un’arma improvvisata) e rallentare per qualche istante l’avversario, così da trovare un riparo di fortuna. Il sistema, almeno concettualmente, funziona alla grande ma paga il pegno di un ambiente di gioco non proprio estesissimo, situazione che limita non poco le possibilità di diversione ed è foriera di qualche game over di troppo, spesso dovuto proprio alla scarsità di anfratti in cui ripararsi a dovere. Ovviamente non mancano anche alcuni semplici enigmi ambientali da risolvere, ma si tratta per lo più di combinare tra loro uno sparuto gruppo di oggetti, quasi tutti recuperabili nel sacro nome del backtracking, sempre presente in questa tipologia di giochi e che si concentra principalmente nella prima metà dell’avventura. Sì, perché da un punto di vista prettamente strutturale, Remothered: Tormented Fathers si ritrova quasi come diviso in due, con una sezione iniziale che mescola elementi stealth ed esplorativi a cui si affianca una porzione finale dall’amalgama meno riuscito e coeso, in cui è un trial and error un po’ troppo becero a farla da padrone, e che stona decisamente con l’atmosfera più cadenzata ed opprimente della prima porzione di gioco.

Compromessi linguistici

A livello puramente prestazionale, Remothered: Tormented Fathers si comporta bene su console, non prestando il fianco a particolari inconvenienti tecnici, escluso qualche leggerissimo e sporadico rallentamento. Pur essendo una produzione indipendente, quindi, c’è da essere più che soddisfatti del lavoro compiuto da Darril Arts, anche se sono evidenti alcuni escamotage volti a mascherare il budget produttivo non certo stellare. Che però non ha affatto influito nell’accompagnamento audio, forte di una colonna sonora eccellente, di un’effettistica pregevole e di un doppiaggio (ahinoi solo in inglese) davvero di pregevole fattura. Ovviamente il tutto è comunque sottotitolato in italiano, anche se spiace davvero non poter sentire parlare nella nostra lingua un gioco ambientato e sviluppato nel nostro paese.

Tante buone idee, una scrittura solida ed appassionante ed un gameplay rodato, ma che avrebbe avuto bisogno di una maggiore ampiezza delle location e di un bilanciamento migliore per esprimere a dovere tutto il proprio potenziale. Questo, in definitiva, può essere il commento conclusivo della recensione di Remothered: Tormented Fathers, un’opera prima che, per quanto fortemente derivativa, mette bene in luce le qualità di Darril Arts, team tutto nostrano che ha dimostrato di sapersi muovere con cognizione di causa tra le pareti dell’horror. La strada tracciata dalla software house siciliana è senza dubbio valida, anche se è evidente come necessiti ancora di qualche piccolo perfezionamento ulteriore, che speriamo di poter già sperimentare nei prossimi episodi di questa stuzzicante trilogia.