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Recensione Reborn: A Samurai Awakens

di: Simone Cantini

Ci sono giochi che si fanno attendere a lungo, dopo aver subdolamente stuzzicato la fantasia dei player con annunci e trailer mirabolanti. Ci sono giochi che brami sin dal primo fugace frammento visionato e che, magari, ti hanno pure spinto a comperare un costoso hardware, nella futile speranza che tale insano gesto possa in qualche modo accelerare il momento dell’agognato incontro. E poi ci sono giochi lungamente desiderati, rimandati, ridesiderati ed infine rilasciati e che, una volta avviati, vorresti cancellare con tutta fretta dalla tua memoria, magari sradicando con violenza quella manciata di cellule cerebrali responsabili dell’immagazzinamento di questi orrendi ricordi. Qualcuno ha, per caso, sussurrato Reborn: A Samurai Awakens?

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Chi di spada ferisce…

Chi, quando fu annunciato nel lontano 2017, avrebbe potuto resistere al letale mix composto da guerrieri robot e spade laser? Diciamo che gli insensibili si potrebbero contare sulle dita di mezza mano monca, pertanto non stupisce che Reborn: A Samurai Awakens finì per schizzare in vetta alla lista dei titoli PSVR più desiderati: chi, difatti, non avrebbe voluto impersonare un letale spadaccino cibernetico, dotato di una coppia di lame che fanno tanto Star Wars (WTF?!) e di un paio di pistole, con le quali falcidiare orde di ostili macchine da guerra? Ordunque, dopo tanta attesa la creatura firmata Geronimo Interactive è da pochissimo sbarcata sulle nostre PS4, ma sarà stata in grado di rendere giustizia al tempo speso ad attenderla spasmodicamente? Dai, la faccio breve: no. Che le cose puzzassero un po’ me ne sono accorto dopo pochissimi secondi dall’avvio del gioco, non appena spulciando nelle impostazioni mi sono accorto di una serie di marchiani errori di traduzione, con quell’Italienisch troneggiante nell’elenco degli idiomi disponibili, nonostante il titolo fosse già settato nella nostrana lingua. Vabè, una piccola distrazione ci sta, ci mancherebbe. Peccato che questo mix germanopeninsulare si ripercuota in gran parte delle scritte dell’hub di gioco, con il briefing di intere missioni affatto tradotto, e proposto unicamente in lingua tedesca. Giusto per chiudere il capitolo localizzazione, i vari dialoghi in-game sembrano tradotti (male) per mezzo di Google Translate, tanti sono gli strafalcioni linguistico/grammaticali che affliggono la blandissima narrativa. Dai, ma in fondo in un frenetico action a base di samurai e spade chi si può mai curare di un paio di scritte errate, quello che conta in fondo è l’adrenalinico gameplay. Ed in effetti è davvero difficile muovere una qualsiasi obiezione ad un tale assunto, peccato che giocare a Reborn: A Samurai Awakens sia meno divertente che vedere asciugare la vernice al sole, vista la piattezza assoluta dell’azione di gioco. La produzione Geronimo Interactive ci catapulterà in una risicata serie di missioni, che altro non sono che dei semplici corridoi in cui, una volta raggiunti i vari checkpoint, non dovremo fare altro che sbarazzarci delle ondate di nemici che ci arriveranno addosso. Per farlo potremo contare sulla coppia di spade di cui sopra, oppure su due pistole (che sembrano dei Nerf tarocchi), ma potremo anche combinare tra loro i due strumenti di morte. A chiudere il cerchio ci pensa una sorta di raggio traente, con il quale catturare il nemico di turno per finirlo a distanza ravvicinata, oppure scagliarlo lontano con effetti estremamente comici. Se il gunplay nella sua sciattezza funziona in modo tutto sommato accettabile, decisamente più banale è il combattimento all’arma bianca, che sacrificando qualsiasi strategia ci vedrà semplicemente intenti a muovere le braccia come forsennati (si gioca con due Move), infischiandosene di schivate e parate, vista anche la riserva praticamente infinita di energia vitale del nostro alter ego. L’unica eccezione sono gli scontri con i boss, in cui non mancheranno alcuni QTE in cui dovremo posizionare la lama in una determinata posizione, pena il repentino game over.

…muore

Ecco, diciamo che spendere anche solo qualche parola in più per descrivere il ritmo di gioco sarebbe superfluo, visto che tutto è di una bruttezza e piattezza assai disarmante, oltre che fiaccato da una serie di bug niente male ed una realizzazione tecnica non certo di prima categoria. Durante gli anni trascorsi in compagnia di PSVR, difatti, non mi era mai capitato di imbattermi in un titolo in cui la locomozione fosse così afflitta da evidenti problemi di frame rate: sacrificando, chissà perché, la possibilità di spostarsi per mezzo del teletrasporto, Reborn: A Samurai Awakens sceglie di collegare il movimento alla pressione di un tasto del Move, con l’inclinazione della testa chiamata a gestire gli impercettibili cambi di direzione. Ovviamente il tutto all’insegna degli scatti. Simpaticissimi, poi, i problemi che affliggono l’IA dei personaggi, che spesso si bloccano e smettono di attaccare, bloccando l’avanzamento del gioco: fastidioso quanto accaduto con il secondo boss che, nonostante un paio di riavvii non ne ha proprio voluto sapere di combattere. Anche la grafica non fa certo gridare al miracolo, con solo il designa delle macchine nemiche a risultare più curato, anche se le ispirazioni altrui non mancano, vedi i nemici base che sembrano essere dei cloni di Yoshimitsu. Non mi pronuncio neppure sul sonoro, con la STESSA canzone che accompagna ogni maledettissimo livello.

Reborn: A Samurai Awakens si è fatto attendere a lungo, ma per una volta sarebbe stato meglio se avesse tirato il pacco e non si fosse presentato all’appuntamento. La produzione Geronimo Interactive, difatti, riesce a sbagliare tutto quello che poteva, presentandoci un gameplay rozzo e affatto divertente, con un ritmo di gioco blando e privo di mordente, oltre che infarcito di bug e strafalcioni di localizzazione vari. E dire che gli elementi per fare bene c’erano tutti, ma evidentemente il dilatarsi dei tempi di sviluppo non ha giovato alla qualità generale. Sinceramente da evitare.