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Recensione Ratshaker

di: Simone Cantini

Perché amo i videogiochi? Beh, la risposta può avere molteplici declinazioni, ma sicuramente uno dei motivi alla base di questa innata passione è dovuta al fattore sorpresa che l’intrattenimento videoludico è da sempre in grado di regalare. Non è raro, difatti, trovarsi spiazzati da una produzione capace di ribaltare felicemente in un lampo tutte le convinzioni pregresse. Un esempio mainstream potrebbe essere Nier: Automata, abilissimo nel mettere costantemente in discussione quello che stiamo vivendo sullo schermo, ma potrebbero essere citati tantissimi altri nomi. Ed è innegabile come sia il panorama indipendente, quello composto da piccole produzioni, ad offrire un fertilissimo terreno ad un simile modus operandi, come dimostra Ratshaker.

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Topo d’appartamento

Lo confesso, al solo vedere il logo in homepage e quello che ci aspetta una volta avviato, avevo già bollato senza troppi patemi Ratshaker come l’ennesimo e becero esempio di shovelware in grado di garantire trofei in tempo zero. E al costo di un gameplay scadente e approssimativo. In fondo non c’è stato niente di male nel portarsi appresso questa convinzione, almeno per i primissimi minuti, visto che il gioco Sunscorched Studios ci vedrà semplicemente intenti a scuotere e strizzare un cartoonesco ratto, premendo i grilletti del pad e agitando lo stesso come forsennati, sfruttando i giroscopi interni (se siete pigri potete anche decidere di sfruttare lo stick analogico, ma avrebbe davvero poco senso).

Ecco, prendete questo loop minimale e ficcatelo in un’ambientazione campestre a base di quelle che sembrano semplici stoppie giallastre, e sarà allora che difficilmente vi potrete discostare dal mio iniziale pensiero. Poi, però, la situazione inizia a cambiare poco alla volta, mentre il nostro animaletto antistress principia a parlarci con voce in bilico tra il sinistro ed il suadente, ed il panorama prende ad accogliere una casupola in lontananza, che saremo chiamati a raggiungere iniziando a muoverci. È a questo punto che il focus cambia e si ribaltano le convinzioni iniziali, e Ratshaker si trasforma in quello che non ti aspetti, andando a così a corroborare la tesi che apre la recensione.

Non chiamatemi James

La casa di cui sopra diviene ora il centro dell’azione, un loop in cui saremo soli con la nostra coscienza, subdolamente impersonata da quel topastro disegnato che si contorcerà tra le nostre mani. Un viaggio in bilico tra l’assurda ripetizione del solito P.T. e che, guarda caso, pesca a piene mani dall’immaginario caro a Silent Hill, andando poco alla volta a costruire un mistero che gli habitué del genere non faranno fatica a comprendere, prima che i circa 40 minuti di durata dell’esperienza si esauriscano. Ratshaker in fondo è questo, una discesa in un subconscio malato in cui l’unico modo per andare avanti sarà agitare e strizzare il roditore, così da caricare un velleitario indicatore in grado di gestire le sparute interazioni che potremo compiere in questo mondo malato ed oscuro.

Lo so, si tratta davvero di un’esperienza difficile da metabolizzare e spiegare a dovere, che personalmente non posso che invitarvi a sperimentare, visto anche il costo irrisorio richiesto (parliamo di 3,49 Euro). Difficile chiedere di più, vista anche l’esigua durata, che non invita tra l’altro a chissà quale rigiocabilità, ma che rappresenta comunque un biglietto d’ingresso tutto sommato adeguato alla proposta. Anche perché di atmosfere ce ne è da vendere, e quel look old school che fa tanto DOOM prima versione, unito ad un sonoro disturbante, su cui svetta la subdola voce del nostro unico compagno di sventura, non fa altro che restituirci un horror asciutto ed efficace. Oltre che dannatamente peculiare.

Ebbene sì, mi ero sbagliato ed ero stato davvero ingiusto nei confronti di Ratshaker, al punto da maledire non poco l’assegnazione redazionale coatta. Però, una volta giunti al termine di questo breve viaggio, sono stato felice di tornare sui miei passi. Ed il merito è tutto della produzione Sunscorched Studios, che è riuscita a spiazzarmi proprio in virtù della sua proposta effettiva. Lontano dall’essere il classico titolo genera trofei, questo viaggio horror ha il pregio di stupire e spaventare con estrema perizia, dando vita ad un cortocircuito ludico/visivo assolutamente spiazzante. Parliamo comunque di un’esperienza assai condensata e dall’interattività scarsissima, che ha però il pregio di costare quanto una frugale colazione al bar. Provatelo: la vostra dipendenza da zuccheri e caffeina ringrazierà, così come il vostro amore per i ratti.