Recensione Pneumata
di: Simone CantiniQuando si parla di horror ne abbiamo davvero per tutti i gusti. Adoriamo la paura viscerale e splatter? Bene, niente di meglio di un Resident Evil. Il terrore psicologico è più nelle nostre corde? Basta passare a Silent Hill. E perché non scegliere di lasciarsi avvolgere dall’orrore dannatamente reale ed umano di The Last of Us? Se poi amiamo trovarci inermi dinanzi alle minacce, sarà sufficiente avviare Outlast. Quattro modi di presentare la paura e l’angoscia, un quartetto di brand indipendenti che Antonio Alvarado (unica mente dietro il nome Deadbolt Interactive), ha provato ad amalgamare assieme in Pneumata, purtroppo con risultati altalenanti.
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Concentrato di paure
Ricordi annebbiati, una sinistra cittadina, brutali culti ed una mostruosa serie di mutazioni: gli ingredienti tipici degli horror sembrano essere al gran completo in Pneumata, che butta nel calderone tutto quello che caratterizza anni ed anni di produzioni del genere. Un frullato che, nonostante le buone premesse, risulta alquanto caotico per messa in scena, a causa di una regia generale non certo ben centrata, che alterna in modo decisamente sconnesso tra loro sezioni assai variegate. Emblematica, in tal senso, è la porzione delle fogne, invero una delle più caotiche e dispersive che mi sia mai capitato di giocare, a causa di un layout del livello che pare divertirsi a voler prendere in giro il giocatore, a cui si affianca un obiettivo che pare non stare né in cielo né in terra. Per non parlare, poi, della boss battle finale, inutilmente dilatata e dalla struttura così brutta che più brutta non si può. Unite il tutto ad una sceneggiatura che pare buttata là solo per unire i vari snodi di gameplay ed il quadretto è completo.
Ora, messa così sembrerebbe tutto da buttare in Pneumata, ma una volta scesi a compromessi con questi palesi difetti, sicuramente figli della decisione di voler realizzare un progetto così ambizioso in solitaria, l’horror di Deadbolt mette in scena una conoscenza del genere davvero invidiabile. E lo fa per mezzo di un gameplay che, pur strizzando l’occhio agli ultimi due capitoli della saga Capcom, è risultato essere assai più raffinato di quello che spesso accade quando ci approcciamo al lavoro di un singolo sviluppatore.
Tutte le facce dell’orrore
Recuperando la telecamera in prima persona oramai divenuta (quasi) uno standard degli horror, Pneumata mette in piedi un esperienza survival solida, corroborata da uno shooting efficace e dotato di un buon feeling e da una spruzzatina di enigmi in grado di spezzare il flow. In tal senso l’influenza di Resident Evil è davvero palese, vuoi per l’inventario dotato di una serie prestabilita di slot, delle magiche valige in cui poter stoccare gli elementi in eccesso e dei registratori presso cui salvare manualmente (coadiuvati comunque da alcuni punti in cui è attivo l’autosave). E così passeremo a setacciare gli ambienti in cerca di proiettili per le tre bocche da fuoco presenti (pistola, fucile e mitragliatrice), armi corpo a corpo deteriorabili, medikit ed altro, il tutto mentre tenteremo di sopravvivere agli orrori che il gioco ci vomiterà contro. L’esperienza proposta è in sé davvero solida e ben costruita, grazie ad un gameplay affinato a dovere, che poggia su di un solido gunplay ed un combat system ravvicinato semplice ma funzionale.
E gli stessi raccordi narrativi in cui sono suddivise le circa 7 ore necessarie a giungere ai titoli di coda hanno tutte una propria precisa identità: si parte dall’inizio in cui Resident Evil 4 e Village fanno fortemente capolino, lasciando il passo ad un condominio in odor di Silent Hill 2. Ma non manca anche la follia omicida di Outlast (il primo), oltre ad echi della demo del settimo capitolo dell’immortale brand di casa Capcom. Tutto funziona e si gioca con piacere, tralasciando la pretestuosa sceneggiatura, ma non mancano comunque alcune leggerezze di design, tali da rendere la progressione ostica senza motivi apparenti. In un paio di situazioni Alvarado sembra perdere completamente la bussola, costringendoci ad affrontare, brutalmente impreparati, orde di nemici, tali da costringerci a ripetere la sezione più e più volte, nella speranza di riuscire a portare a casa la pellaccia.
Lo stesso path tracing non risulta essere sempre ben implementato, a causa di una pessima leggibilità degli ambienti, tale da impedire di scorgere il percorso utile a proseguire: emblematici sono gli ultimi momenti dell’avventura, in cui la strada che porta ad un salvifico ascensore è immersa nella più totale oscurità, al punto che sono riuscito ad individuarla solo cadendo casualmente da un cornicione roccioso. Bastone e carota sembrano caratterizzare l’andamento di Pneumata, che per ogni piccolo passo compiuto dal giocatore pare godere nel contrapporvi sempre un nuovo blocco imprevisto, figlio di una visione d’insieme non ottimale, piuttosto che per una consapevole impostazione della difficoltà.
Chi fa da sé fa bene
Il che è davvero un peccato, visto che quando il gioco firmato Deadbolt si lascia giocare, mette sul piatto un’esperienza horror in grado di reggere agevolmente il confronto con produzioni ben più blasonate. Come dimostra anche il comparto tecnico che lo impreziosisce, forte di una cura realizzativa davvero invidiabile: gli ambienti sono ricreati in maniera molto minuziosa, oltre che ricchi di particolari e rivestiti di texture davvero convincenti, che poggiano su modelli poligonali dalla complessità ragguardevole. Peccato per una torcia schizofrenica, che alterna una potenza immotivata laddove non serve ad una scarsa (per non dire nulla) efficacia in frangenti in cui le tenebre la fanno da padrone. La stessa effettistica è risultata sottotono in qualche situazione, così come non proprio eccezionale è il doppiaggio unicamente in lingua inglese, tra l’altro senza la presenza di alcun sottotitolo: scelta davvero incomprensibile questa, soprattutto se si decide di proporre il tutto in un unico idioma.
Lo avevo atteso parecchio ed ero rimasto scottato dai vari rinvii subiti, ma ora che Pneumata ha finalmente concluso la sua corsa sulla mia PS5, devo confessare di essere rimasto in parte molto deluso. Il gioco firmato Deadbolt poggia su solide basi, viste le molteplici fonti di ispirazione che si agitano sotto la sua superfice, ed è risultato capace di proporre un’esperienza horror davvero divertente e ben costruita. Per lo meno quando non emergono i primi scricchiolii che ne vanno a limitare la bontà della progressione. Se si può sorvolare su di una sceneggiatura fumosa e mal messa su schermo, viene più difficile chiudere un occhio al cospetto di 2-3 evidenti squilibri della difficoltà, oltre che su di una lettura dei livelli non sempre ottimale. Nulla di insormontabile, sia chiaro, a patto però di avere una buona dose di pazienza. Un vero peccato, visto che il potenziale per andare oltre la semplice sufficienza c’era davvero tutto.