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Recensione Pharaonic

di: Simone Cantini

Ziggurat non mi era affatto dispiaciuto. Certo, era ben lungi dall’essere un capolavoro imperdibile, ma i ragazzi di Milkstone Studios erano comunque riusciti a creare un’esperienza FPS roguelike degna di distinguersi dalla massa. È anche con in mente simili sensazioni che mi sono avvinato speranzoso a Pharaonic, curioso di scoprire se il team iberico sarebbe riuscito a mantenersi sugli stessi livelli qualitativi. E devo dire che anche in questo caso non sono stato affatto deluso.

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L’arte di non raccontare

Oramai la formula dei soulslike è stata ampiamente sdoganata, al punto che emuli delle produzioni targate From Software spuntano come funghi dopo un acquazzone autunnale. E Pharaonic fa parte di questa folta schiera di emuli, semplificandone per ovvie ragioni alcune meccaniche, ma contemporaneamente mantenendo ben salde le caratteristiche principali di questa frangia del gaming. A partire dalla mera secondarietà del plot, utile unicamente a fungere da blando collante alle gesta del nostro eroe, che potremo modellare ad inizio partita grazie ad un rudimentale editor. Nessun lore nascosto, nessun personaggio veramente memorabile: Pharaonic fonda la sua forza narrativa unicamente sul fascino dell’epoca egizia, un setting stranamente sin troppo sottovalutato dall’industria videoludica. Però, come spesso siamo soliti esclamare in simili situazioni, è di sicuro il gameplay a costituire il nocciolo portante dell’esperienza. E sotto questo aspetto il lavoro di Milkstone Studios non delude.

Morire in 2.5 dimensioni

Se avete già giocato ad un qualsiasi Souls non farete certo fatica a metabolizzare i controlli di gioco, così come impiegherete pochi secondi a familiarizzare con le barre energetiche presenti sullo schermo. I dorsali posti sul lato destro serviranno per attivare l’attacco normale e quello potente, mentre quelli sul lato sinistro per utilizzare lo scudo ed effettuare il parry. Ovviamente, come vuole la tradizione, ogni azione andrà a consumare l’onnipresente barra della stamina, pertanto dosare tra loro le varie mosse sarà di vitale importanza, Non da meno, per quanto in forma semplificata rispetto al solito, sarà la gestione dell’equipaggiamento e del carico trasportato: pur non presentando una complessità elevata, i numerosi pezzi indossabili, così come le varie armi che potremo recuperare, ci permetteranno di costruire la build più adatta al nostro stile di gioco. Non manca, ovviamente, la componente magica, qua rappresentata da alcune tavolette mistiche indossabili a mo’ di zaino, così come la versione egizia dell’Estus, in questo caso rappresentata da una fiaschetta di acqua. La funzione dei falò, invece, è svolta da alcune statue, mentre il teletrasporto è gestito da delle stele attivabili al passaggio. Insomma, un piccolo microcosmo che riesce comunque a racchiudere al suo interno i fondamenti della masochistica esperienza riportata in auge da Miyazaki. Questa semplificazione, però, non sminuisce di certo la caratura di Pharaonic che, pur traslando il tutto all’interno di un mondo in 2.5 dimensioni, riesce a restituire un feeling ludico di tutto rispetto, riuscendo quasi ad essere più bastardo dei suoi illustri predecessori in più di un’occasione. La natura bidimensionale degli scontri, difatti, rende davvero ostica la fuga, costringendoci spesso a fronteggiare da entrambi i lati le orde degli avversari, rendendo di fatto impossibile aggirarli. Come in ogni soulslike che si rispetti, sottovalutare anche il più infimo degli avversari può significare morte certa e, di conseguenza, la perdita di parte dei punti esperienza accumulati (in questo caso i ragazzi di Milkstone si sono dimostrati molto più buoni dei colleghi nipponici), che serviranno per il canonico aumento di livello, accompagnato da un incremento delle statistiche base. Questo, però, non sarà l’unico modo in cui potremo aumentare la potenza del nostro personaggio, dato che alcuni personaggi disseminati per il mondo di gioco ci alleneranno nell’utilizzo di pezzi di equipaggiamento di livello maggiore, oppure potenzieranno i vari incantesimi. Non mancano anche i classici boss intermedi, così come quelli di fine livello che, pur costretti a muoversi in due dimensioni e mezzo, costituiscono una sfida di tutto rispetto, grazie anche a dei pattern di attacco decisamente variegati.

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Povertà d’Egitto

Se sul versante del gameplay Pharaonic può uscirsene a testa alta, lo stesso non si può dire per quanto concerne il level design: sulla carta i vari stage vantano una buona costruzione ed una valida interconnessione, peccato però che la leggibilità degli stessi sia molto ardua, principalmente a causa di un comparto grafico non certo eccelso che, riciclando pesantemente elementi e strutture, non rende immediata la memorizzazione dei percorsi. E a poco servono le mappe che è possibile recuperare, data la loro rozza realizzazione. I difetti estetici sono accentuati anche da un frame rate talvolta un po’ troppo ballerino e che trova davvero poche giustificazioni al cospetto di un comparto grafico non certo eccelso.

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Pharaonic conferma quanto di buono i ragazzi di Milkstone Studios avevano fatto con il già citato Ziggurat: non osano, limitandosi a confezionare un prodotto fortemente derivativo, ma non per questo privo di una sua ragione di esistere. Pur semplificando una formula oramai rodata, Pharaonic è un valido soulslike, forte di un combat system solido e di un tasso di sfida adeguato al genere. Peccato per alcune incertezze tecniche decisamente immotivate ed un level design troppo caotico, aspetti che se maggiormente curati avrebbero fatto guadagnare alla produzione iberica qualche punto in più.