Recensione Paper Dolls 2
di: Simone CantiniCon i ragazzi di Winking Games abbiamo avuto più di un contatto su queste pagine, relativamente al mondo VR: basta pensare ai due Unearthing Mars e all’horror Paper Dolls. E proprio quest’ultima produzione, sviluppata da Litchi Culture Media, torna oggi su console, spogliata di visori ed altri accessori, per proporre un’esperienza più canonica, per quanto sempre legata al mondo dell’orrore, grazie al sequel diretto della produzione che, non a caso, risponde al nome di Paper Dolls 2.
La casa stregata
Le vicende che collegano i frammenti ludici di Paper Dolls 2 sono da la diretta conseguenza di quanto narrato nel primo capitolo della serie: nei panni di Yang saremo ancora intenti a cercare la piccola Molly, la figlia dell’uomo scomparsa in seguito ad un misterioso incidente automobilistico. Ed anche stavolta la cornice ludica sarà rappresentata da una dimora asiatica, piagata da una maledizione, che farà di tutto per metterci i bastoni tra le ruote, tra le alte cose attentando più volte alla nostra vita. A metà strada tra Project Zero e Silent Hill, il titolo Litchi Culture Media mette in scena una vicenda non certo originale nelle sue premesse, ma sicuramente interessante per quanto riguarda il setting, anche se alcuni passaggi narrativi potrebbero risultare a tratti un po’ troppo confusi. Quello che ne emerge, comunque, è un survival horror di stampo decisamente classico, che pur non rifuggendo alla sempre dilagante moda dei nemici invulnerabili, ci fornisce anche un piccolo (piccolissimo) campionario di armi in grado, almeno sulla carta, di rendere più semplice il nostro avanzare. Perché ho circoscritto il tutto all’interno di una mera ipotesi? Lo scoprirete andando avanti con la lettura.
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Fisicamente inadatto
Pur abbandonando l’orpello della realtà virtuale, Paper Dolls 2 non rinuncia a proporre una visuale in prima persona, sempre gradita al sottoscritto quando si parla di avventure horror. A livello puramente ludico non dovremo fare altro che muoverci all’interno della magione, risolvendo alcuni puzzle a metà strada tra l’interessante ed il brutalmente ostico (questo elemento è più legato alla localizzazione che ad altro), cercando di sopravvivere agli assalti delle creature spettrali perennemente in agguato. La prima parte è un qualcosa che ricalca in toto le esperienze più tradizionali, con oggetti da reperire e combinare al momento giusto, così da aprire nuovi percorsi in grado di mandare avanti l’avventura. Come detto gli enigmi sono tutto sommato interessanti, non fosse che in alcuni casi viene richiesta una comprensione degli ideogrammi cinesi, senza che la localizzazione in inglese riesca a giungere in nostro soccorso. Il loro impiego è relativo all’utilizzo di una sorta di bussola spiritica, indispensabile per aprire alcune porte, che ci richiederà di abbinare 3 o 4 simboli a seconda del personaggio legato al percorso da sbloccare. Insomma, a meno di non voler cedere alla tentazione di qualche walkthrough, se non si è esperti della lingua in questione, sarà solo la pazienza a portarci a scovare la combinazione giusta. Le magagne, purtroppo, non si esauriscono certo qua, ma vanno ad impattare anche i citati combattimenti: questi ultimi potranno essere affrontati per mezzo del Phurba, un pugnale magico che richiederà un tempismo sadico per essere efficace, oppure di un fucile dalla ricarica lentissima e dal caricatore microscopico (due proiettili in canna). A complicare il tutto, oltre alla coriaceità degli avversari, ci penserà la nostra misera resistenza (due colpi e saremo morti, indipendentemente dal livello di difficoltà), a cui si aggiunge l’esasperante lentezza di movimento di Yang: inutile usare lo sprint, dato che dopo un paio di passi di numero saremo esausti! Il quadro generale, pertanto, tratteggia una produzione interessante, per quanto non originale, fiaccata da un gameplay ingessato e poco reattivo, che a dispetto delle circa 5 ore necessarie per giungere ai titoli di coda, rischia di scoraggiare anzitempo il giocatore. E proprio in virtù di tali limiti, viene da chiedere cosa abbia portato il team ad arricchire il pacchetto con una modalità boss rush ed una orda.
Lost in translation
Anche a livello tecnico, Paper Dolls 2 si muove tra alti e bassi: se è vero che la modellazione poligonale si attesta su livelli discreti, è davvero fastidioso (ed inspiegabile) il blur che circonda la messa a fuoco del nostro punto di vista, che da origine ad effetti di sfocatura alquanto innaturali. Di ben altro spessore il sonoro che, soprattutto in cuffie, riesce a mettere in mostra un’effettistica generale ansiogena al punto giusto, così come è buono il doppiaggio in lingua cinese. Vale inoltre la pena citare un piccolo bug che si verifica ogni volta che si avvia il gioco: a meno di entrare nelle opzioni, pur essendo impostata lingua inglese, il titolo si avvierà con i testi localizzati in cinese. Un qualcosa di strano che potrà comunque essere risolto con una piccola patch.
Paper Dolls 2 è un titolo mosso sicuramente da ottime intenzioni, ma che non può fare a meno di inciampare più e più volte lungo il cammino. Se è vero che il setting e la struttura generale risultano interessanti, per quanto non proprio originali, è sul fronte del gameplay che la produzione Litchi Culture Media avrebbe bisogno di una generosa fase di rifinitura. Pur considerando come i validi enigmi risultino a tratti ostici per puri limiti di localizzazione, viene più difficile chiudere un occhio relativamente ad un combat system farraginoso e sin troppo punitivo, che data la natura della produzione potrebbe portare i meno pazienti a mollare prematuramente Yang al suo triste destino.