Recensioni

Recensione Paper Dolls

di: Simone Cantini

Orrore e realtà virtuale viaggiano oramai saldamente a braccetto, coppia ampiamente sdoganata ed apprezzata in seguito all’uscita del settimo Resident Evil ufficiale, che è stato in grado di segnare il felice punto di non ritorno per questa azzeccata unione. Non stupisce, quindi, che siano sempre più gli studi che scelgono di approfittare di questo settore per proporre la loro personale versione della paura a 360°, inanellando righe e righe di codice capaci di trasudare orrore ad ogni nostro respiro. Soprattutto se costretti tra pareti, stavolta non virtuali, del PlayStation VR. E Paper Dolls è uno degli ultimi esponenti di questo corposo esercito, che pur partendo da premesse non certo originalissime, riesce a fornire una sua particolare interpretazione del genere.

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No, stavolta niente nebbia

Se dico in sequenza padre e figlia, viaggio in automobile, brusco incidente e scomparsa della giovane, quale è il primo titolo che vi viene in mente? Ecco, avete solo altre tredici parole per darmi la risposta esatta, altrimenti sarò io a dirvi in velocità Silent Hill. Sì, perché per quanto proposto soltanto in forma parlata, sprovvisto quindi di qualsiasi cinematica, l’incipit di Paper Dolls sembra ricalcare in tutto e per tutto il leggendario avvio di uno dei survival horror più importanti del panorama videoludico, traslando però il core dell’azione in un setting di stampo prettamente orientale, oltre che circoscritto all’interno di una misteriosa magione che richiama, per stile ed architettura, le antiche pagode. Ecco, quindi, che la ricerca della figlia inspiegabilmente scomparsa ci vedrà intenti a vagare, quasi perennemente avvolti da una opprimente penombra, tra stanze e corridoi animati da sinistri rumori, sfuggenti presente e minacce decisamente più concrete. La produzione Litchigame, distribuita da Winking Entertainement, si dipanerà sotto i nostri occhi proponendo un mix di situazioni invero alquanto classiche, che spaziano dall’esplorazione, alla fuga dai nemici, ai puzzle ambientali. La fusione di questi elementi, per quanto non certo originali e sui quali la sensazione di déjà vu aleggia in modo importante, riesce comunque a funzionare, sorretta anche da una direzione artistica tutto sommato ispirata e convincente. Peccato che ci sia da pagare lo scotto di un set di comandi sin troppo sperimentali, che se non metabolizzati a dovere potrebbero portare ad un repentino abbandono di Paper Dolls.

Un passo dopo l’altro

Al fine di limitare gli effetti del motion sickness, almeno stando a quanto dichiarato dai ragazzi di Litchigame, Paper Dolls sfrutta un particolarissimo sistema di movimento che, sia che si giochi con una coppia di Move che con un classico pad, demanda lo spostamento del nostro corpo virtuale alla pressione alternata dei grilletti posti sul controller, che andranno di fatto a simulare il movimento delle nostre incorporee gambe. Confesso che, almeno inizialmente, la scelta mi ha più che spiazzato, portandomi a maledire in ogni lingua a me conosciuta l’inventiva del team cinese. Muoversi a piacimento, almeno nelle battute iniziali, sarà difatti una vera impresa, invero molto più difficile del gioco stesso, visto il modo in cui sembra voler volontariamente ostacolare la corretta interazione con l’ambiente. Le cose migliorano comunque un poco con la pratica, nel momento in cui riusciamo a coordinare il tapping sfrenato dei pulsanti con la corretta rotazione della visuale, sia essa legata allo stick del DualShock o allo spostamento della nostra testa. Scendere a patti con questo bizzarro meccanismo di locomozione, comunque, non rappresenta l’unico scoglio che il giocatore di Paper Dolls si troverà costretto ad affrontare, visto che la produzione Litchigame è afflitta da alcuni piccoli problemi di design, imputabili senza troppi patemi alla relativa inesperienza in ambito VR del team di sviluppo. Il più macroscopico di questi nei è da circoscrivere all’interno della localizzazione in inglese, che si sovrappone in modo brutale e sin troppo ravvicinato a tutti i testi in cinese presenti nel gioco: la problematica è particolarmente evidente quando ci troviamo ad analizzare i vari documenti sparsi nel gioco, che proprio a causa di questo particolare layout richiederanno qualche sforzo di troppo per essere letti. Non aiuta, inoltre, il fatto che il titolo scelga di avviarsi con il menu di gioco settato in cinese, a dispetto della lingua impostata sulla nostra console, situazione che mi ha portato a smanettare qualche minuto nel comunque scarno menu iniziale prima di poter impostare un idioma per me più comprensibile. Risulta inoltre difficilmente spiegabile il modo in cui Paper Dolls resetti i nostri progressi di gioco qualora si decida di modificare il sistema di controllo a partita in corso, costringendoci ad iniziare tutto dal principio in caso di ripensamenti. Insomma, un insieme di sbavature che cozzano un po’ troppo con un gameplay comunque interessante, per quanto fortemente derivativo, capace di spaventare ed intimorire senza abusare di jump scare gratuiti. Promosso senza riserve, invece, il comparto audiovisivo della produzione Litchigame, grazie ad una grafica pulita e funzionale e ad un audio puntuale ed opprimente al punto giusto.

Concettualmente parlando, Paper Dolls non stravolge assolutamente il filone della paura in salsa virtuale, proponendo un’esperienza in linea con quanto apprezzato sino ad oggi. Se è vero che tutto sommato il titolo riesce a funzionare, i primi inciampi si presentano non appena siamo costretti a scendere a patti con un sistema di controllo tanto particolare, quanto decisamente ostico da domare, a cui fanno eco alcune imperfezioni di design invero evitabili. In definitiva Paper Dolls si propone come un horror stilisticamente onesto e a tratti interessante, ma è innegabile come la volontà di limitare il motion sickness abbia finito per affossare in modo un po’ troppo prepotente la valutazione complessiva.