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Recensione Out of Sight

di: Simone Cantini

Chi da bambino, prima di addormentarsi e lasciarsi avvolgere dal buio della notte, non ha stretto almeno una volta a sé un tenero e rassicurante orsacchiotto di peluche? Ingenua ancora di salvezza nell’imperscrutabile mare del sonno, in cui le più oscure e orrende creature si annidano coperte dall’onirico manto degli incubi. Ed in parte è quello che accade a Sophie e al piccolo Teddy, una improbabile coppia che si troverà a collaborare per sfuggire alle minacce ben più reali che infestano la magione in cui si svolgono le vicende narrate nell’interessante Out of Sight.

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Dinamico duo

Il buio ha molte forme, è nel caso della piccola Sophie nasce dalla perdita della vista, causata dalla perfida madre Janna, che la tiene imprigionata all’interno di una sinistra villa sperduta chissà dove. Unico conforto in questo mondo di oscurità, nell’attesa di essere l’oggetto di un non meglio precisato rituale, è il piccolo e soffice orsetto Teddy, che diverrà in un lampo l’artefice della sua fuga rocambolesca lungo i corridoi di questa letale prigione.

Il peluche, difatti, è dotato chissà perché di magici poteri, che permettono alla bambina di vedere il mondo attraverso i suoi occhi. Liberata dalla sua triste condizione, Sophie dovrà quindi sfruttare questa ritrovata vista in seconda persona per sfuggire ai suoi aguzzini, nel tentativo di riconquistare la libertà che è le stata crudelmente negata.

In bilico tra le cupe atmosfere di Little Nightmares e i classici escape horror che affondano le proprie radici nel mai troppo lodato Haunting Ground, Out of Sight riesce ad imbastire una fiaba dark appassionante ed originale, complice anche il peculiare sistema di inquadrature utilizzate per gestire le porzioni ludiche più complesse. Un racconto asciutto ed efficace, che nelle sue circa 4 ore necessarie per giungere al rassicurante (ma non troppo) finale, prosegue spedito senza intoppi, riuscendo a tratteggiare un setting ispirato ed opprimente al punto giusto.

Luce dei tuoi occhi

Come detto poco sopra, l’elemento più caratterizzante di Out of Sight è il particolare meccanismo che regola la camera di gioco: in soldoni, vedremo tutto attraverso il punto di vista del piccolo Teddy, che fungerà da vera e propria camera a mano. Durante l’esplorazione, quando Sophie lo terrà stretto a sé, tutto si svolgerà in prima persona, cambiando però radicalmente prospettiva ogni volta che la bambina sarà chiamata ad interagire con l’ambiente circostante.

In tali situazioni, indicate sempre dalla presenza di una coperta rosa su cui sarà possibile adagiare l’orsetto, con lo stick sinistro potremo osservare l’ambiente circostante ruotando la testa del peluche, mentre l’analogico destro ci consentirà di controllare la bambina. Il sistema sarà indispensabile per risolvere gli enigmi ambientali che ci ostacoleranno il cammino, sempre tutti molto intuitivi e mai troppo banali, anche se talvolta lo spettro del trial and error finirà per allungare un pizzico il brodo, in maniera alquanto artificiosa.

La necessità di morire per capire come procedere si paventerà prevalentemente durante le sporadiche sezioni di fuga (molto interessanti per costruzione visiva), oppure negli sparuti ed immancabili momenti stealth, imprescindibili in produzioni del genere. Nel complesso, comunque, il ritmo che caratterizza Out of Sight si è dimostrato molto ben calibrato, visto il modo in cui alterna con dovizia fasi puzzle, piccoli momenti narrativi e sezioni decisamente più adrenaliniche.

Voci nella notte

Per quanto non debordante a livello puramente grafico, il titolo sviluppato dagli scandinavi The Gang, ha l’indubbio merito di riuscire a costruire, con pochissimi elementi, un’ambientazione claustrofobica ed opprimente al punto giusto. L’eterna penombra che ammanta i giganteschi corridoi della magione, rischiarati di tanto in tanto da sparute lampade o dai rassicurante raggi di una luna mai così lontana, contribuiscono a rendere ancor più urgente il desiderio di liberà di questa improbabile coppia di eroi. Così come imprescindibili, in tal senso, sono le presenze oniriche che, di tanto in tanto, faranno la loro comparsa sulla scena.

Il ruolo di mattatore, però, spetta al comparto sonoro che, oltre ad un voice over in lingua inglese convincente ed ispirato (sono presenti i testi in italiano), può vantare un campionario di effetti alquanto azzeccato e ben realizzato. Gli sviluppatori, come prevedibile, consigliano di giocare il tutto con delle belle cuffie piazzate sulle orecchie, ma anche in assenza di ciò, almeno su PS5, tanto riesce a fare anche lo speaker presente nel DualSense, che riesce a fornire stranamente una marcia in più all’immedesimazione. Farà inoltre piacere la compatibilità con i visori VR (grazie al lavoro degli impeccabili ragazzi di Flat2VR), al momento disponibile solo in early access per la versione PC, con Quest e PSVR2 che si uniranno al pacchetto nel quarto trimestre del 2025 (speriamo con un update gratuito).

Per quanto compresso nella sua durata effettiva, Out of Sight si è rivelato un’esperienza videoludica originale e avvincente, capace di immergere il giocatore in una fiaba dark ricca di atmosfera. L’azzeccata meccanica di gestione della telecamera, che alterna le prospettive tra Sophie e il suo orsetto Teddy, è risultato essere l’elemento distintivo capace di arricchire e caratterizzare il gameplay e la risoluzione degli enigmi ambientali. Sebbene sporadici momenti di trial and error possano inficiare leggermente la progressione, l’efficacia narrativa, il ritmo ben calibrato e un comparto sonoro di altissimo livello contribuiscono a creare un’esperienza davvero pregevole. Out of Sight è un titolo che, con la sua estetica minimalista ma suggestiva, si è rivelato capace di offrire letteralmente un intrigante punto di vista degli horror, offrendo un’interpretazione fresca e personale del genere.