Recensione Metro Exodus
di: Simone CantiniSeason pass pronti ancor prima del gioco a cui si accompagnano, DLC che colmano vuoti di trama, games as a service che spuntano come funghi, ed un online sempre più invasivo e pressante sembrano essere diventati la triste normalità del mercato videoludico: ovunque si volga lo sguardo, difatti, finiamo quasi sempre per essere tempestati da produzioni che ci vogliono costringere alla fruizione perenne, stuzzicandoci subdolamente per mezzo di rivoluzioni e novità perenni, pronte, almeno sulla carta, ad accompagnarci per anni ed anni ed anni. Poi però, come una fresca brezza desiderosa di rinfrancare chi (come il sottoscritto) è sempre più refrattario a simili videogames, arrivano i ragazzi a 4A Games, che con il loro Metro Exodus si ergono a fieri paladini delle care e vecchie avventure single player. Fortemente single player, oltre che sorrette da una storia importante.
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Long train running
Riprendendo le fila del discorso concluso in Last Light, Metro Exodus ci riporta ancora una volta nella metropolitana della Mosca postapocalittica tratteggiata da Dmitry Glukhovsky, in compagnia del nostro fidato Artyom e del suo gruppo di amici. Nonostante i venti anni trascorsi nel sottosuolo della capitale sovietica, nella strenua lotta per la sopravvivenza in un mondo oramai ritenuto morto ed abitato unicamente da letali creature mutanti, il giovane non sembra affatto intenzionato ad abbandonare il sogno di trovare tracce di altri essere umani scampati all’olocausto nucleare: è proprio per questo che le sortite in superficie, in cerca di un disperato segnale radio, fosse anche flebile e lontano, continuano a rappresentare l’unica speranza della sua difficile esistenza, nonostante i giorni finiscano per accavallarsi stancamente, privi di esiti positivi, uno dopo l’altro. Eppure, quella che stava per assumere sempre più i contorni di un’ineluttabile realtà , finisce ben presto per vedere stravolta la propria essenza, catapultando Artyom ed i suoi compagni in un viaggio verso la salvezza, a bordo del treno da loro ribattezzato Aurora. I motivi che porteranno il nostro gruppo di sopravvissuti ad abbandonare le oscure gallerie moscovite sono narrati nell’incipit dell’avventura, un vero e proprio prologo/tutorial interattivo che servirà, tanto ai vecchi quanto ai nuovi fan, per prendere confidenza con i comandi di questo particolare shooter. Pur non brillando per scrittura e regia, invero alquanto caotiche e poco incisive, la sequenza riesce a svolgere in pieno il proprio compito, lasciando in bocca al giocatore anche una salutare voglia di scoprire cosa si celi in quella sconfinata Russia, fino ad ora soltanto tratteggiata sullo sfondo. Prendendo spunto da Metro 2035, il romanzo a cui Metro Exodus si ispira, la produzione 4A Games ci catapulterà in un estenuante viaggio, scandito dall’avvicendarsi delle stagione in perfetto stile The Last of Us, alla ricerca di risposte e salvezza, lasciandosi in parte alle spalle la rigida struttura a corridoi che da sempre contraddistingue la serie, e abbracciando una apparentemente fuori luogo struttura semi aperta. Ciò nonostante, sarà sempre la narrativa a svolgere un ruolo di spicco all’interno della produzione, anche se duole constatare come non finisca per rappresentare uno dei punti di forza del titolo, complice una regia che, anche al di fuori dal prologo, si dimostra sempre alquanto incerta, e che finisce per non accompagnare con dovizia il susseguirsi degli eventi, che in più di un’occasione finiscono per avvicendarsi in modo alquanto rozzo e abbozzato. Il che, visto l’indubbio fascino del mondo descritto da Dmitry Glukhovsky, finisce per lasciare davvero con l’amaro in bocca, consegnando al gameplay ed alle evocative ambientazioni le redini dell’avventura. Quest’ultima si è rivelata estremamente longeva e complessa, ricca di situazioni interessanti e, pur caratterizzate da alcuni cliché del genere già ampiamente sdoganati, riesce a catturare l’attenzione del giocatore fino al raggiungimento di uno dei due epiloghi previsti. Peccato per un protagonista che, ad eccezione dell’introduzione a ciascun capitolo, continui a rimanere inspiegabilmente muto, il che in alcune situazioni appare veramente forzato e fuori luogo.
Spazi ostili
I titoli della saga ispirata ai testi di Dmitry Glukhovsky sono sempre stati alquanto atipici come shooter, nonostante la loro palese natura FPS, e Metro Exodus non rappresenta certo l’eccezione alla regola, come si evince ampiamente non appena iniziamo ad aggirarci per la metropolitana di Mosca: Artyom non è un guerriero esperto, né tanto meno un supersoldato pesantemente armato ed addestrato, pertanto ci ritroveremo a controllare un eroe spesso impacciato nei movimenti, oltre che non certo un infallibile cecchino. Il gunplay, difatti, appare volutamente rozzo ed incerto, complice la presenza di un set di armi il più delle volte improvvisate, che richiederanno uno sforzo notevole per essere domate a dovere. Tutto questo serve anche ad impostare l’avanzamento su due distinti binari, quello frontale e quello stealth, tra i quali potremo sempre scegliere in qualunque momento dell’avventura, grazie anche ad un level design ottimamente calibrato per consentire molteplici possibilità di approccio. Non nego però che, data la nostra natura di comuni essere umani, decidere di impersonare il Rambo della situazione non è quasi mai consigliabile, visto che basteranno pochissimi colpi per stramazzare al suolo in una pozza di sangue, anche in virtù di una salute che potrà essere recuperato soltanto per mezzo di medikit. Ecco quindi che sfruttare le tenebre potrà essere spesso una strategia vincente, anche se in caso di battute in zone aperte questo si tradurrà in una massiccia presenza di bestie mutanti, la cui ferocia e resistenza si riveleranno in molti casi troppo forti per il nostro arsenale artigianale. Tutto si gioca, quindi, sulla pianificazione e lo studio degli ambienti, oltre che sulla lettura del ciclo giorno/notte dinamico che, se calibreremo male le nostre tempistiche, potrebbe cambiare rapidamente le carte in tavola. Come se ciò non bastasse, ecco che dovremo anche tenere a bada i miasmi venefici causati dalle radiazioni, per difenderci dai quali potremo contare sulla nostra fida maschera antigas e quei maledetti filtri che tendono ad esaurirsi in un battito di ciglia. La tensione è sempre dunque molto palpabile, così come il senso di pericolo e di impotenza che ci attanaglia ad ogni passo e ad ogni rumore sospetto, sia che ci si trovi costretti in un cunicolo, sia che si scelga di approcciarsi liberamente agli ampi spazi che Metro Exodus ha in serbo per noi. Devo confessare che, non appena saputo che il gioco avrebbe proposto una struttura aperta, il dubbio di veder snaturata l’identità della serie iniziò a serpeggiare sinistro, ma devo dire che il team è riuscito nell’ardua impresa di non diluire il DNA della sua creatura, costruendo un set di mappe sì più ampie, ma non per questo dispersive e confusionarie: le macro aree in cui ci troveremo ad interagire, difatti, non annacquano artificialmente il ritmo di gioco e, nonostante la presenza di sottili sub quest, serviranno ad accompagnare in maniera puntuale l’evolversi degli eventi. Ciò nonostante non mancheranno anche sezioni più classiche e lineari, in cui Metro Exodus tornerà a mostrare con maggiore prepotenza la propria identità. L’abbandono di una struttura più blindata è accompagnato anche da un intrigante sistema di crafting che, per mezzo dei materiali che potremo recuperare nelle aree di gioco, ci consentirà di creare gli oggetti di cui avremo bisogno per sopravvivere. Questo meccanismo servirà anche per modificare le armi in nostro possesso, che potremo letteralmente stravolgere tramite il reperimento di numerose modifiche: ecco, quindi, che gli spazi aperti serviranno anche per veicolare quell’istinto di animale sopravvivenza, reso indispensabile dal mondo devastato in cui Artyom si trova a dover sopravvivere.
Ridimensionamento efficace
Il trailer con cui Metro Exodus venne annunciato mi lasciò letteralmente stupito, complice una messa in scena ricchissima di dettagli e dall’impatto estetico devastante, ma da gamer oramai scafato era anche palese che una simile sontuosità visiva difficilmente sarebbe stata mantenuta anche sulle nostre amate console. E dopo aver passato un bel po’ di ore a zonzo per la Russia postatomica, posso dire senza ombra di dubbio che il timore si è ampiamente concretizzato. Devo però confessare che, pur essendo palese il downgrade, la resa complessiva del lavoro 4A Games si attesta su livelli decisamente elevati, complice una grafica ricchissima e ottimamente realizzata, in cui è la maniacale cura per il dettaglio a fare la differenza: ogni singolo elemento scenico, siano gli interni di una base abbandonata, le desertiche rive del Caspio, oppure le pareti di uno sgangherato vagone, il modo in cui l’ambiente è stato orchestrato dal team ucraino vi lascerà piacevolmente sbalorditi, riuscendo nell’arduo compito di trasmettere le sensazioni di un mondo ostile ed in rovina, in cui però la speranza riesce ancora lottare per sopravvivere. Degni di lode sono anche gli effetti particellari e la gestione della luce, oltre che degli eventi atmosferici che di tanto in tanto decideranno di funestare le terre sovietiche. Peccato solo per una recitazione digitale decisamente abbozzata, a cui si accompagnano delle animazioni non certo in linea con tanta magnificenza visiva, e che finiscono per andare a braccetto con un mix audio italiano decisamente rivedibile, a causa di un set di volumi completamente sballati. Anche le mere prestazioni tecniche, almeno su PS4 Pro, non rendono giustizia alle capacità della console Sony, a causa di qualche sporadico rallentamento e a qualche episodio di tearing (stranamente questo l’ho avvertito soltanto nelle compresse sezioni narrative di raccordo). Siamo comunque lontani da situazioni critiche ed ai limiti dell’ingiocabile, considerando anche l’assenza di glitch e bug evidenti. Completamente da rivedere, invece, la durata dei caricamenti che, soprattutto all’avvio del gioco potrebbero tenervi impegnati per una manciata di minuti: al confronto la situazione prepatch di Bloodborne era una passeggiata. Speriamo che un update possa risolvere questo fastidioso inconveniente.
E alla fine il viaggio di Artyom è giunto al termine, un’odissea che ha saputo rispettare tutte le proprie promesse ed attese, restituendoci un titolo solido ed appassionante, capace di rinnovare una saga già in grado muoversi con scioltezza ed in completa autonomia. Ciò nonostante, con Metro Exodus i ragazzi di 4A Games sono riusciti a regalarci la loro produzione più complessa e matura, con la quale si sono divertiti a sviluppare ulteriormente e con successo la loro peculiare visione del genere shooter, senza però snaturarne irrimediabilmente l’essenza. L’introduzione delle mappe aperte, a cui si accompagna il sistema di crafting, rappresenta una naturale evoluzione dell’universo videoludico plasmato attorno alle opere di Dmitry Glukhovsky, oltre che un atto d’amore sincero nei confronti delle esperienze single player. Peccato per un ritmo narrativo non proprio ottimale, a cui si accompagna una recitazione digitale decisamente sottotono, ma nonostante questi difetti viene davvero ostico condannare Metro Exodus, soprattutto alla luce dell’innegabile bontà dell’esperienza proposta dallo studio ucraino.