Recensioni

Maize

di: Simone Cantini

Se c’è un’epoca videoludica che ricordo con estremo piacere è quella che, all’inizio degli anni ’90, mi vide felicemente smadonnare, tra una risata e l’altra, in compagnia dei titoli che reputo l’apice della fu LucasArts. Impossibile per me, difatti, dimenticare Guybrush Threepwood, la stramba coppia Tentacolo Verde/Tentacolo Viola, Sam e Max, iconiche figure capaci di ritagliarsi il loro bravo spazio all’interno del mio cuore videoludico. E sotto certi aspetti Maize è stato capace di rievocare simili memorie, senza però riuscire nell’arduo compito di inserirsi di prepotenza all’interno di questo particolare catalogo. E dire che le premesse ci sarebbero anche state tutte.

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Mais dire mais

Sì, perché quando si è in grado di partorire una storia completamente fuori di testa come quella in questione, in cui piante di mais senzienti si alternano a caustici orsacchiotti di peluche, il tutto sullo sfondo di un non proprio riuscitissimo esperimento top secret, il paragone con gli script della citata LucasArts viene quasi automatico. Soprattutto se il plot è caratterizzato da una scrittura brillante e ricca di uno humor, a tratti quasi nonsense, capace di rapire alla prima battutaccia. Bastano pochi minuti, quelli immediatamente successivi all’oramai consueto spaesamento da avventura grafica che ci accompagna sin da Myst, per rendersi immediatamente conto di come i ragazzi di Finish Line Game abbiano fatto saggiamente tesoro degli insegnamenti di Ron Gilbert e soci. Peccato, però, che simili premesse, a cui si accompagna uno svolgimento ricco di trovate comiche azzeccate (irresistibili gli scambi di battute a distanza, a colpi di post-it, che costellano il gioco), non faccia da contraltare un comparto ludico in grado di fare davvero la differenza, dimostrazione lampante di come non sempre le ottime idee si possano tradurre in altrettanti validi videogiochi. Maize, difatti, finisce per cadere vittima di un gameplay sin troppo aderente alle atmosfere assurde che contraddistinguono il suo substrato narrativo, scelta che finisce con l’azzoppare in maniera talvolta sin troppo marcata la progressione del player. In questo ibrido a metà strada tra i classici walking simulator e le avventure alla Myst, ad emergere sin troppo presto in tutta la sua inefficacia è proprio il modo in cui lo sviluppo ludico viene proposto: fondamentalmente non dovremo fare altro che aggirarci in ambienti non troppo ampi, ristretti in maniera artificiosa da barriere ben visibili e che si sbloccheranno magicamente in seguito al compimento di determinate azioni, raccogliendo tutti gli oggetti interattivi ed utilizzandoli per risolvere alcuni enigmi. Ok, niente di nuovo sotto il sole, peccato che la logica di risoluzione sia spesso sin troppo astrusa, elemento che ci porterà a procedere per tentativi, nella speranza di azzeccare l’elemento richiesto dagli sviluppatori. È proprio a causa di questa assenza di coerenza risolutiva che Maize finisce per vedere bruscamente menomata la sua connotazione da avventura vecchio (e glorioso) stile. Si agisce soltanto perché il titolo ci propone in maniera palese un ostacolo, non spinti dalla consapevolezza che le nostre azioni sortiranno l’effetto desiderato. Gli stessi muri (in)visibili scompaiono in maniera arbitraria, palesemente scriptata, nel momento preciso stabilito dagli sviluppatori. Come se non bastasse, le lacune logiche di Maize sono accompagnate da un backtracking talvolta troppo invadente, utile soltanto a dilatare in maniera non certo efficace una longevità comunque non proprio stellare (ho completato il tutto in poco meno di 3 ore). Appare, dunque, evidente come il motivo che ci spingerà a venire a capo di questo strampalato mistero sia da ritrovare unicamente in una sceneggiatura davvero brillante. Peccato che la avventure grafiche di una volta sapessero accompagnare la potenza della parola scritta ad una solida esperienza ludica.

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Carino e coccoloso?

Quando si tratta di titoli indipendenti, viene quasi spontaneo anticipare mentalmente la comparsa del logo di Unity durante i titoli di testa. Andando decisamente controcorrente, invece, i ragazzi di Finish Line Game hanno optato per appoggiarsi all’Unreal Engine 4, anche se con risultati non sempre felici. Se è vero che alcuni ambienti offrano un colpo d’occhio tutto sommato piacevole, è impossibile non notare alcune leggerezze poligonali e di texture in altre sezioni. Lo stesso frame rate, per quanto si tratti di un titolo assai circoscritto e poco dinamico, evidenza alcuni inspiegabili tentennamenti, anche se proprio in virtù della natura di Maize non finiscono certo per comprometterne la giocabilità. A svettare su tutto è, però, il cast di personaggi che compariranno sullo schermo, che ha nell’orsetto Vladdy un vero must, caratterizzato come è da uno spiccato accento russo e da un lingua davvero tagliente. Se poi pensiamo al modo in cui comparirà sullo schermo, soprattutto se siete dei nostalgici come il sottoscritto, risulta davvero difficile non innamorarsi di questo carismatico personaggio. Ottimo anche il doppiaggio, purtroppo disponibile soltanto in lingua inglese e corredato da un corposa serie di sottotitoli tra i quali, ovviamente, non figura l’italiano.

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Maize è un titolo dalla doppia identità, brillante esempio di scrittura comica di giorno, deludente avventura grafica di notte. Enigmi regolati da una logica spesso imperscrutabile ed una progressione non sempre chiara e definita, finiscono con l’affossare un po’ troppo una sceneggiatura divertente e decisamente ben scritta. Non siamo dalle parti della catastrofe, sia chiaro, ma se ripenso al cappello introduttivo che apre questa recensione, mi viene davvero difficile promuovere il lavoro di Finish Line Game. Appuntamento rimandato ad una nuova produzione, visto che comunque le potenzialità ci sono tutte.