
Recensione Luto
di: Simone CantiniPuò essere davvero stucchevole tornare a parlare di P.T. nel 2025, anche perché nel caso di Luto il playable teaser di Hideo Kojima era già stato tirato in ballo in occasione dell’analisi della demo, giusto un paio di anni fa. Però è anche difficile non fare riferimenti diretti a questo curioso esperimento, vista l’innegabile influenza che ha avuto nel campo degli horror videoludici, davvero restii ad abbandonare un simile concept, soprattutto per quanto concerne le produzioni indipendenti. E dopo gli ammiccamenti rivolti proprio all’interno di quel prologo concettuale esaminato nel 2023, l’impronta del designer giapponese non è riuscita ad abbandonare anche la release finale del titolo firmato Broken Bird Games. Ma in fondo, visti i risultati, non è che ci possiamo lamentare di questa ingombrante influenza.

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Prigionieri del passato
Morte, perdita e sofferenza sono alla base della sceneggiatura di Luto, che sin dalla sua schermata principale non fa mistero di voler trattare simili argomenti. Quella che vivremo nei panni di Sam, difatti, è una storia che scava all’interno di un doloro passato, indugiando tra subdoli sensi di colpa ed un gravoso sentimento di oppressione, resi tangibili da una dimora che pare quasi assurgere al ruolo di labirintica prigione, sia fisica che mentale. Tra voci che si rincorrono nella testa, rumori sinistri e geografie contorte e a tratti impossibili, si viene poco alla volta risucchiati in un delirio allucinatorio, una sorta di ideale resa dei conti con noi stessi, in cerca di redenzione da un tragico trascorso di cui non riusciamo a smettere di sentirci gli spietati responsabili.

Ci aggireremo tra loop temporali quasi inscalfibili e frammenti passati in cerca di una collocazione, accompagnati da un onnisciente narratore sempre pronto a dispensare sparuti consigli, ma anche a stuzzicare la nostra anima con subdole allusioni. Le circa 5 ore necessarie a giungere all’epilogo si snoderanno in un dedalo di corridoi apparentemente sempre uguali a loro stessi, ma che sapranno adattarsi abilmente ai nostri inconsapevoli progressi, e che forniranno un apporto tutto ambientale alla sceneggiatura vera e propria, contribuendo ad aprire uno spaccato ancor più vivido sulla storia di Sam e della sua sventurata famiglia.

Fuga verso la redenzione
Per quanto proposto in maniera alquanto seminale rispetto al risultato finale, il concept ludico della demo viene mantenuto ed amplificato all’interno della versione completa di Luto. Il titolo firmato Broken Bird Games non è altro che un horror psicologico dal forte impatto narrativo che, scegliendo deliberatamente di non presentare minacce di alcun tipo, baserà il grosso della progressione sulla risoluzione di alcuni intriganti enigmi. Starà a noi capire di volta in volta come superare le allucinazioni e le trovate visive che il team ci vomiterà addosso, leggendo con attenzione l’ambiente che ci circonda, in cerca di indizi utili.

Un gameplay molto semplice nella sua essenza, ma che esce estremamente corroborato dal connubio con l’eccellente lavoro svolto in fase di design generale, che è servito a dare vita ad un setting disturbante al punto giusto, oltre che perfettamente caratterizzato. È difatti innegabile come gran parte della forza di Luto si nasconda proprio all’interno del suo setting che, per quanto abusato nel suo essere un semplice teatro casalingo, racchiude al suo interno una potenza espressiva alquanto importante: che si tratti di un semplice quadro, di un oggetto apparentemente insignificante o di un inquietante manichino velato, l’apparente quotidianità degli ambienti finisce per assumere un connotato ben più disturbane di quanto si potrebbe pensare.

Orrori sonori
Sorprende anche il modo in cui il team ha scelto di assemblare il tutto, non lesinando espedienti metaludici in grado di strappare anche un piccolo sorriso, dato il modo in cui riescono efficacemente a rompere la quarta parete: arrivate alle battute finali e capirete meglio cosa intendo. Ma è tutta la direzione artistica in generale a colpire nel segno, grazie ad effetti visivi sempre azzeccati e scelte di design alquanto nette e centrate. Il merito è anche da ritrovare in un comparto tecnico che, al netto di qualche sporadico rallentamento (comunque ininfluente vista la tipologia di gioco in questione), contribuisce a rendere tangibile e vivo il quadro generale.

Un plauso particolare va poi tributato all’audio posizionale, implementato in maniera ottimale ed in grado di rendere sempre perfettamente individuabile la posizione delle varie fonti sonore. Ed è proprio il suono ad acuire il senso di disagio che si respira tra le pareti virtuali di Luto, al punto che l’assenza di jumpscare gratuiti o orrori materiali da cui fuggire viene abilmente ed efficacemente sostituita da questa vibrante ed impalpabile entità. Peccato, allora, che tutto quanto non abbia visto la localizzazione testuale nella nostra lingua che, pur in assenza di un inglese non certo troppo complesso da digerire, potrebbe tagliare fuori una parte della platea videoludica nostrana.

Finalmente arrivato nella sua forma definitiva, Luto si presenta all’appello come un horror psicologico di spessore che, pur muovendo i suoi passi all’ombra dell’ingombrante influenza di P.T., riesce a ritagliarsi una propria identità ben definita. Il maggiore punto di forza risiede nell’eccezionale atmosfera disturbante e immersiva, costruita non su banali jumpscare o minacce tangibili, ma su un profondo senso di disagio psicologico, veicolato da una sceneggiatura intensa, un level design labirintico e da un audio posizionale implementato in maniera magistrale. Al netto di un gameplay seppur semplice nella sua essenza, Luto ci regala un’esperienza profonda e inquietante, un esempio di come l’horror psicologico possa ancora sorprendere e lasciare un segno, dimostrando che l’influenza di un maestro può essere un punto di partenza per eccellenze inattese.