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Recensione Llamasoft: The Jeff Minter Story

di: Simone Cantini

Se penso ai miei primi anni ’80 videoludici, la prima cosa che mi viene in mente sono i cammelli. Lo so, è parecchio strano, ma tra un Sandy Marton che, dopo averci ammorbato con la gente di Ibiza, pareva in fissa con i gibbuti mammiferi, e delle sigarette che comparivano un po’ ovunque, ci pensava pure il mio C64 a instillarmi subliminalmente questo animale nel cervello. E la colpa, nemmeno a farlo apposta, è di quello strambo programmatore inglese responsabile di una serie di produzioni iconiche, celebrate all’interno di Llamasoft: The Jeff Minter Story.

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Lama by Lama

No, questa non è una recensione canonica, anche perché ad esserlo non lo è in primis il prodotto oggetto delle mie parole. Perché Llamasoft: The Jeff Minter Story non è un videogioco nel senso stretto del termine, ma neppure la classica raccolta antologica di vecchie glorie giunte fuori tempo massimo. La produzione firmata Digital Eclipse, difatti, è un vero e proprio documentario alternativo, il secondo capitolo di un progetto iniziato con The Making of Karateka, che continua oggi con un virtuale tuffo nel passato di uno dei coder più importanti del palcoscenico videoludico. Un racconto che riesce a coniugare in modo efficace la voglia di svelare la storia di Jeff Minter, strutturando il tutto come una sorta di DVD old style i cui capitoli sono suddivisi secondi i differenti periodi della sua foltissima produzione. Il tutto è accompagnato da foto, documenti e video d’epoca, commentanti da giornalisti di settore, sviluppatori e dallo stesso Minter, così da tracciare un esaustivo quadro del suo excursus produttivo. Il lavoro svolto è davvero interessante e completo, e ci permette di sbirciare nel dettaglio all’interno del percorso formativo di questo anarchico creatore di videogiochi, una personalità assolutamente non convenzionale e fuori dalle righe, che ha sempre rifuggito il concetto di facile profitto.

Quello che emerge nel corso di questo viaggio nel tempo, è l’assoluta libertà creativa che ha da sempre caratterizzato Minter, deciso in primis a realizzare i videogiochi che aveva in mente, ciò che riteneva divertente, fregandosene delle convezioni e del denaro. E così, sperimentando in prima persona e saccheggiando il lavoro altrui, giusto per farsi le ossa, è stato in grado di dare vita ad un filone di produzioni altamente riconoscibili, lisergiche e psichedeliche, in cui lama, cammelli e pecore hanno sempre trovato spazio, quasi come un palese e sfacciato marchio di fabbrica. Questo sguardo che si apre all’inizio degli anni ’80, ha anche il pregio di farci conoscere un modo di lavorare tipicamente artigianale, permeato da una ingenuità di fondo in grado di rendere le controversie attuali legate allo sfruttamento delle varie IP un qualcosa di assolutamente inconcepibile. In fondo, come si narra in uno dei frammenti, in quel pioneristico periodo era sufficiente cambiare una vocale nel titolo di un gioco per fregarsene bellamente delle accuse di plagio. E forse, vista la creatività posteriore nata da un simile approccio, si stava davvero meglio quando si stava peggio.

Oldies but goldies

Essendo, però, una produzione destinata a girare sulle nostre console, sarebbe stato sciocco ridurre Llamasoft: The Jeff Minter Story ad una didascalica e sterile esposizione di fatti oramai sepolti nel tempo. Il punto di forza della produzione Digital Eclipse, difatti risiede anche nel riuscire a contestualizzare in maniera decisamente interattiva ciò che scorre sullo schermo. E lo fa nel modo più intuitivo e semplice per un qualcosa incentrato sulla creatività videoludica: giocando. All’interno del documentario, difatti, sono presenti circa 40 esponenti del curriculum di Minter, ognuno accessibile tanto in autonomia che contestualmente al frammento narrativo che lo riguarda. Ovviamente, trattandosi di una qualcosa che parte dallo ZX81 di casa Sinclair, ci troviamo al cospetto di linee di codice quanto mai acerbe e limitate, assolutamente imparagonabili a quanto siamo abituati a giocare oggi.

Si tratta però della maniera più efficace che ci sia per immergersi in questo piccolo mondo antico, in cui erano realmente l’estro e la capacità di adattarsi alla risicata potenza di calcolo a fare la differenza tra un amatore ed un visionario destinato a segnare il medium: Grid Runner, Attack of the Mutant Camel (e seguito), Tempest 2000, sono solo alcuni dei videogiochi che troveremo emulati alla perfezione in Llamasoft: The Jeff Minter Story, con i loro bravi pregi e difetti di gioventù, resi più accessibili grazie ad una serie di fisiologiche accortezze in chiave quality of life. Sicuramente in grado di intrattenere maggiormente gli attempati come il sottoscritto, sull’onda di ricordi mai sopiti, difficilmente sapranno catturare i più giovani, che solo se saranno spinti dalla voglia di conoscere a fondo una delle menti che hanno contribuito a rendere grande il loro hobby preferito, potranno apprezzare l’idea e la capacità di cavare il sangue da 4 miseri kilobyte di memoria.

Llamasoft: The Jeff Minter Story non è un videogioco nel vero senso del termine, ma d’altronde non è questa l’ambizione dei titoli della collana sviluppata da Digital Eclipse. L’idea alla base del tutto, difatti, è quella di dare vita ad un vero e proprio documentario interattivo, capace di passare con efficacia dalla semplice divulgazione alla più avvincente possibilità di testare con mano quanto ci è stato appena raccontato. Se vista sotto questa luce, la volontà che anima il pacchetto non può che essere promossa con convinzione, visto il modo assai esaustivo con cui illustra la carriera del buon Jeff. E se dopo la visione sentirete anche voi l’irrefrenabile desiderio di sparare ad un cammello, sappiate che siete in buonissima compagnia.