Recensione Little Nightmares
di: Simone CantiniLittle Nightmares l’ho praticamente vissuto sulla mia pelle. Certo, magari sto un po’ esagerando, visto che in fondo si è solo trattato di una brevissime sezione live action in quel di Lucca Comics 2017, quando mi sono ritrovato braccato dal deforme cuoco già visto nei vari trailer, con una Six in carne ed ossa a guidarmi lungo il percorso. Però sono bastati questi rarefatti momenti, uniti ad una altrettanto fugace demo, a farmi attendere con rinnovata curiosità il debutto del nuovo titolo Tarsier.
accettare i cookie con finalità di marketing.
Orrore silenzioso
Nessun dialogo, zero introduzioni funamboliche e cinematiche brutalmente esplicative: Tarsier ha scelto la strada della libera interpretazione nel confezionare gli avvenimenti che fanno da sfondo al gameplay di Little Nightmares. Nei gialli panni della piccola ed indifesa Six, ci ritroveremo improvvisamente calati in una rocambolesca fuga da The Maw, un cupo vascello abitato da umanoidi grottescamente deformi disposti a tutto pur di fare di noi il loro prossimo trastullo o, peggio ancora, la prossima portata di un disgustoso buffet. Six non avrà altre armi a disposizione se non la statura minuta ed il proprio ingegno, che dovrà sfruttare per nascondersi dalla vista dei suoi inseguitori e risolvere alcuni enigmi ambientali, in quello che può essere a pieno diritto considerato come un Limbo 2.0. Il gameplay, dall’andamento marcatamente lineare, presenterà un discreto mix di situazioni platform e stealth, relegando l’esplorazione ad un ruolo decisamente più marginale: ad eccezione di alcune piccole aree opzionali, utili unicamente per scovare dei piccoli esserini da abbracciare e sbloccare la manciata di artwork accessori, il nostro incedere seguirà in tutto e per tutto il percorso stabilito a tavolino dal team. Poco male, comunque, visto che il prodotto confezionato dai ragazzi di Tarsier funziona alla perfezione, grazie anche alla subdola struttura dei vari enigmi, non sempre così astrusi come le varie aree di gioco porterebbero far pensare. Una piccola chicca che, una volta metabolizzata, lascerà un piacevole sapore in bocca. Aggirarsi per The Maw, in definitiva, si è rivelata un esperienza cupamente piacevole, grazie anche ad una direzione artistica davvero splendida, capace di trasmettere un senso di opprimente decadenza e marciume costante. I cinque livelli che affronteremo, più la boss battle finale, si aprono su scenari ricchi di dettagli malati al punto giusto e particolarmente ispirati. Impossibile, poi, non notare un lampante omaggio a La Citta Incantata dello Studio Ghibli presente, oltre che nell’ultimo stage, anche in maniera più marcata all’interno di un particolare artwork. Al cospetto di tanta bontà creativa mi viene da sorridere se penso alle dichiarazioni rilasciate nei mesi scorsi in merito alla longevità che, stando alle parole del team, avrebbe dovuto oscillare tra le 6 e le 8 ore: peccato che per arrivare ai titoli di coda, sbloccando un buon 80% dei collezionabili, ci abbia impiegato poco più di 3 ore. Di sicuro una longevità in linea con il prezzo budget a cui Little Nightmares viene proposto, ma che alla luce di una rigiocabilità praticamente nulla rappresenta un limite non da poco per il titolo Tarsier.
Il battito di un cuore
La quarta iterazione dell’Unreal Engine dimostra ancora una volta di sapere il fatto proprio, offrendo l’ennesima prova convincente della tecnologia di casa Epic. Più che sulla forza bruta, come già scritto, Little Nightmares si gioca le sue carte migliori sul versante puramente artistico, grazie ad architetture e personaggi ottimamente caratterizzati e capaci di trasmettere in maniera palpabile l’ansia e la corruzione del mondo in cui ci stiamo muovendo. La potenza di questa visione sarebbe stata, però, decisamente più contenuta se non degnamente accompagnata da un comparto sonoro di livello come quello proposto: minimale e pronto a sottolineare con estrema efficacia i vari momenti dell’avventura, l’audio di Little Nightmares rappresenta una sorta di personaggio invisibile ed è assai brillante il modo in cui viene sfruttato per aiutare il giocatore a capire la vicinanza dei vari pericoli. Sotto questo aspetto bisogna premiare l’intelligente sfruttamento della vibrazione del controller, quasi una sorta di estensione fisica del cuore di Six, che ci consente di portare ad un livello superiore il nostro personale coinvolgimento come solo (forse) Ico era riuscito a fare. Si tratta di piccole chicche capaci di fare realmente la differenza e che, sin troppo spesso, sembrano sfuggire di mano alle produzioni ad alto budget: quando si dice fare di necessità virtù.
L’incubo della piccola ed indifesa (ma ne siamo poi così sicuri?) Six è un grottesco e macabro viaggio verso una libertà che, una volta giunti al termine, potrebbe non essere quella che credevamo di desiderare. Sorretta da un gameplay semplice ma estremamente curato, impreziosita da alcune chicche di progettazione davvero notevoli, la produzione Tarsier paga però lo scotto di una longevità un po’ troppo risicata. Uno dei rari casi in cui avremmo voluto restare prigionieri dei nostri incubi ancora per un po’: peccato essersi svegliati così bruscamente.