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Recensione Little Big Adventure – Twinsen’s Quest

di: Simone Cantini

C’è stata molta Francia nella mia adolescenza videoludica, quando mi dividevo tra l’Amiga 500 ed il PC. Difficile non incrociale il joystick, in quel periodo, con Another World e Flashback (ma anche Fade to Black, dai), oppure lasciarsi spaventare da quei poligoni di Alone in the Dark, il primo survival horror che si ricordi (con buona pace di Mikami e soci). E dietro Villa Derceto si nascondeva l’estro creativo di Frédérick Raynal, che dopo l’orrore lovecraftiano decise di colpire nel segno con un titolo che, a livello puramente personale, ho sempre portato nel cuore. E che torna oggi a solleticate la fantasia grazie a Little Big Adventure – Twinsen’s Quest.

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Viva la rivoluzione!

È un mondo bizzarro quello che funge da cornice a Little Big Adventure – Twinsen’s Quest, in cui i due soli gemelli attorno a cui orbita il pianeta Twinsun (ma guarda un po’!) hanno dato vita ad un globo diviso in due da una massa ghiacciata che circonda l’intero equatore. Tra le isolette che punteggiano questa distesa azzurra troviamo quella in cui vive il nostro eroe, ovvero il Twinsen presente nel titolo, che diventerà (suo malgrado) l’unico in grado di liberare il mondo dal giogo del tirannico FunFrock e del suo esercito di cloni. Una trama avventurosa e tutto sommato prevedibile, che però non lesina alcuni interessanti spunti, soprattutto in chiave sociale e politica. Considerando il periodo in cui è uscito il gioco, si tratta di un qualcosa di davvero particolare, e la scelta di puntare ad un remake (ma non troppo) 1:1 non può che essere un ben in tal senso. Purtroppo, però, questa decisione si porta in dote anche un bel po’ di lati negativi, che finiscono per ridimensionare non poco la portata del titolo riproposto dal team [2.21].

Un mondo da vivere

A livello di gameplay, Little Big Adventure – Twinsen’s Quest ripercorre in maniera decisamente fedele l’installazione originale, riproponendo il suo mix di fasi platform ed enigmi in chiave isometrica. Al di là dell’affascinante ambientazione, che in virtù anche del suo peculiare aspetto tecnico (per l’epoca) aveva sin dal principio attirato le attenzioni dei giocatori, l’elemento più interessante era il suo sistema di progressione. Il gioco richiedeva una buona dose di attenzione e ragionamento per essere portato avanti, dato che i passi da compiere per proseguire non erano sempre resi evidenti in modo marcato: controllare il diario, ricordare un dialogo o anche solo esplorare le varie zone, rendevano il tutto molto immersivo e libero, privo di indizi palesi come spesso accade oggi. E tali meccaniche sono rimaste immutate in Little Big Adventure – Twinsen’s Quest, che non fa nulla per coccolare il player e lo lascia completamente in balia degli eventi. Un qualcosa davvero spiazzante per l’utenza moderna, che si troverà a prendere confidenza con il mondo di gioco ed il suo protagonista indiscusso senza che vi sia il benchè minimo tutorial. Ad eccezione di una brevissima e stringata fase iniziale.

Superato questo scoglio, ad attenderci troveremo un mondo intrigante, in cui il nostro Twinsen farà la conoscenza di un variegato numero di personaggi, ma anche di avversari, che potrà sconfiggere per mezzo di una palla magica, ereditata dal padre. Sono questi momenti più action, uniti alle fasi platform davvero terribili, a far emergere con prepotenza i limiti di un concept ludico vecchio di 3 decadi che, complice un gameplay a tratti molto grezzo, difficilmente riuscirà a fare breccia nel cuore delle nuove leve. Si tratta di storture difficilmente avvertibili nel 1994, ma che una volta calate nella nostra contemporaneità, senza che siano state applicate sufficienti limature, finiscono per affievolire non poco la bellezza della creatura che fu di Raynal. Superate queste perplessità, quello che resta è un racconto intrigante e più maturo e complesso di quello che può trasparire ad un’occhiata superficiale, a patto di avere sempre in mente il momento storico per il medium a cui appartiene.

Note dolenti

Il lavoro di revisione e pulizia di cui è stato oggetto Little Big Adventure – Twinsen’s Quest è risultato essere molto rispettoso del materiale di partenza, a partire dal puro aspetto grafico. Il design generale, ovviamente più ricco in quanto a dettagli e colori, mantiene tutta l’essenzialità dell’installazione originale, che ancora oggi gode di un appeal particolare. Ai tempi dell’uscita, l’attenzione era tutta rivolta alla scelta di proporre una grafica a base di poligoni ellittici, una vera rivoluzione per il periodo (sublimata in maniera ancora più marcata da un certo Andrew Spencer con il suo Ecstatica, sempre del 1994). Il risultato, complice anche un set di animazioni eccellenti per Twinsen, fu davvero d’impatto e tutto sommato resta molto gradevole ancora oggi. Le tirate di orecchie sono da rivolgere ad un codice non proprio pulitissimo, che si porta in dote alcune incertezze e qualche sporadico bug minore. L’elemento più imperdonabile, però, è l’aver rimosso completamente l’eccellente colonna sonora originale, che caratterizzava alla perfezione ogni momento del gioco, sostituita da dei brani davvero anonimi e privi di mordente.

Little Big Adventure – Twinsen’s Quest non riesce, purtroppo, a rappresentare il degno ritorno di una serie simbolo degli anni ’90, ed i motivi sono da ritrovare nell’aver voluto presentare una fedelissima riproposizione 1:1, piuttosto che un vero e proprio remake. Al di là di un aspetto tecnico rinnovato, ma comunque in linea con l’originale, sono le meccaniche base a rappresentare il vero limite del lavoro firmato [2.21], che riproposte in maniera praticamente identica hanno finito per stridere non poco una volta calate nella nostra contemporaneità. Pur con questi fisiologici limiti, l’avventura di Twinsen gode sempre di un fascino particolare, più incline a scavare nei ricordi di chi già la conosce, piuttosto che a mietere nuovi successi tra chi non ha mai affrontato il malvagio FunFrock.