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Recensione Like A Dragon: Ishin!

di: Simone Cantini

Durante i miei viaggi in Giappone, uno degli acquisti obbligati sono sempre stati i videogames mai sbarcati al di fuori dell’arcipelago, magari legati a serie o personaggi a me cari. È così che, tra una vacanza e l’altra, sono riuscito ad accaparrarmi, tra gli altri, un beat’em up per PS1 con i personaggi Tatsunoko, l’action di JoJo dedicato a Vento Aureo e lo spin-off Ishin delle avventure del buon Kiryu. Un modo, questo, per poter testare con mano produzioni intraviste solo sul web, conscio del fatto che mai sarebbe stato possibile gustarseli in versioni linguisticamente più potabili. La cara e vecchia SEGA, però, sembra sempre più intenzionata ad invertire questa sgradevole tendenza, come dimostrano i numerosi porting, giunti anche ad anni di distanza, che hanno preso a popolare i nostri scaffali. E a cui si è aggiunto da pochissimi giorni proprio Like A Dragon: Ishin!.

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Un tuffo nella storia

Ambientato nella seconda metà dell’800, più precisamente nel 1866, ovvero in pieno periodo Bakumatsu, Like A Dragon: Ishin! narra le vicende si Sakamoto Ryoma, personaggio realmente esistito che, manco a dirlo, in questa sua iterazione digitale ha le fattezze del buon Kiryu. Tutto ha inizio quando l’uomo fa ritorno alla città di Tosa, dopo un periodo di addestramento tenuto ad Edo (l’antica Tokyo). È qua che si troverà a scontrarsi contro due joshi (samurai di rango elevato), responsabili di alcuni maltrattamenti nei confronti di una inerme donna. Imprigionato e oramai prossimo alla sua esecuzione, Ryoma verrà tratto in salvo da suo padre adottivo, Yoshida Toyo, magistrato del governo la cui ambizione è quella di porre fine alla rigida distinzione tra classi che caratterizza il Giappone. Le sue aspirazioni verranno bruscamente interrotte nel corso di una riunione tra Ryoma e suo fratello adottivo, Takechi Hanpeita, per mano di un misterioso uomo mascherato. Ritenuto responsabile dell’omicidio, Ryoma si troverà costretto a rifugiarsi nella città di Kyo (Kyoto), nel tentativo di scoprire l’identità dell’assassino, maestro del letale stile di combattimento Tennen Rishin. Per farlo si arruolerà tra le file della Shinsengumi, uno speciale corpo di polizia istituito per porre un freno all’invasione occidentale, i cui capitani sono proprio maestri di tale arte. Perennemente in bilico tra finzione videoludica e reali eventi storici, la narrazione che fa da sfondo a Like A Dragon: Ishin!, in perfetto stile Yakuza, è estremamente avvincente e ricca di colpi di scena, grazie anche alla consueta presenza di un cast di personaggi al solito ben caratterizzati e sfaccettati. Un gruppo che, al pari di una vera e propria compagnia teatrale, potrà contare su volti noti ai fan della serie, che si troveranno ad interagire con versioni tardo ottocentesche di Majima, Date, Akiyama, Taiga e molti altri. Tra tutti, però, non può che svettare Ryoma/Kiryu, un character capace di bucare letteralmente lo schermo, grazie al suo indubbio carisma (con buona pace di Yagami ed Ichiban), complice anche la sempre eccellente performance attoriale della sua controparte vocale, Takaya Kuroda. Un plot corposo, capace di tenere incollati per 30ina di ore, a cui si accompagna la consueta dose di attività secondarie, capaci di raddoppiare senza problemi il tempo che ci separa dai titoli di coda.

Danza letale

Trattandosi del remaster di una produzione uscita originariamente nel 2014, su PS3 e PS4, le fondamenta del gameplay affondano nel pieno della tradizione ludica cara a Yakuza, caratterizzata in primis da una massiccia presenza di combattimenti in perfetto stile brawler. Data la particolarità del periodo storico in questione, il combat system adottato si è prestato ad un interessante processo di revisione, che lo configura come uno dei più sfaccettati ed intriganti del ciclo narrativo che ha per protagonista Kiryu. Al canonico stile a mani nude, simile in tutto e per tutto a quanto già visto nella serie, si accompagna l’uso della katana, di una pistola e di una combinazione delle due armi. Sarà possibile alternare la modalità impiegata in qualsiasi momento durante gli scontri, semplicemente ricorrendo al d-pad, così da dare vita a sequenze di colpi sempre più letali e spettacolari. Ciascuno stile, inoltre, potrà contare sul proprio percorso di crescita che, per mezzo di alcune sfere ottenibili al termine della lotta, ci permetteranno di ampliare poco a poco il parco mosse a disposizione. In tal senso, un peso importante, assai più che nei capitoli convenzionali, è rivestito dall’equipaggiamento che, in perfetto stile ruolistico, ci permetterà di accedere ad un corposo numero di oggetti, che potremo sia acquistare che forgiare presso il fabbro: tra lame, bocche da fuoco e protezioni, il numero di possibilità offerte è davvero sostanzioso, e data anche la possibilità di infondere potenziamenti specifici per ciascun oggetto, è evidente come le modalità di personalizzazione del nostro loadout siano davvero soddisfacenti. Ad ampliare le possibilità di offesa, inoltre, ci penseranno anche 4 differenti dojo, ognuno dedicato ad uno degli stili disponibili, che per mezzo di prove ad hoc ci consentiranno di mettere le mani su abilità uniche, non ottenibili semplicemente livellando. A livello puramente bellico, pertanto, Like A Dragon: Ishin! sembra proprio non aver accusato il passare degli anni, dato che nonostante il tempo trascorso, risulta davvero fresco e piacevole da giocare.

Voglio andare a vivere in campagna

Dato che parliamo di un esponente del brand Yakuza, per quanto spin-off, sarebbe stato strano non vedere affiancata alla main quest tutta una serie di digressioni ludiche, capaci di tenere incollato il giocatore per un numero consistente di ore. Abbandonati gli hostess club o le agenzie immobiliari viste nella serie regolare, Like A Dragon: Ishin! ha nella modalità Another Life la sua punta di diamante. Ad un certo punto della storia Ryoma farà la conoscenza della giovane Haruka, proprietaria di una fattoria sull’orlo del fallimento. Decisi ad aiutarla, ecco che ci troveremo al cospetto di una sorta di simulatore agricolo, in cui ci dovremo occupare del raccolto, della cucina e degli ordini dei clienti, oltre che del benessere di alcuni animali che potremo incontrare nel corso dell’avventura. Si tratta di una modalità che, senza accorgervene, diverrà una piacevole tappa obbligatoria tra un evento e l’altro, e che sarà caratterizzata da una propria storyline. Non mancheranno, comunque, vecchie conoscenze come l’immancabile karaoke, declinato in salsa squisitamente enka, un minigioco di ballo assai spassoso (e difficile), le sale di mahjong, le corse dei galli (!), una sorta di baseball a base di palle di cannone, arene di lotta, l’immancabile pesca e molto altro. Così come non potevano mancare missioni secondarie in quantità industriale che, tra un gaijin che ambisce a diventare un sammerai (sic), bambini ghiotti di verdure e ciarliere donne di mezza età, sapranno condire la seriosità della main quest con una serie di divagazioni decisamente più leggere e spassose, dando vita ad un equilibrio di situazioni sempre apprezzabile. Insomma, tutto quello che era presente nel lavoro originale lo ritroviamo in questa versione occidentale di Like A Dragon: Ishin!, con pochissime novità rispetto al codice nato nel lontano 2014. La più macroscopica è quella relativa ad una delle digressioni ludiche del materiale di partenza, ovvero le carte soldato che erano legate alle missioni secondarie della Shinsengumi. In occasione di questi combattimenti all’interno di vari dungeon, era possibile equipaggiare il nostro Ryoma con le card di alcuni soldati, fino ad un massimo di 4 per ciascuno stile di lotta. Ogni guerriero è dotato di peculiari abilità, sia passive che attive, con queste ultime che possono venire impiegate in seguito al riempimento di un apposito indicatore. La differenza principale rispetto all’Ishin! originale, è che ora questa meccanica, una volta sbloccata, si andrà ad applicare anche nel gioco base, andando così ad aumentare il potenziale di Ryoma anche al di fuori del suo ruolo all’interno della Shinsengumi.

Non chiamatelo Kiwami

Naturalmente, visto che parliamo comunque di un titolo nato quasi due generazioni fa, non tutto è invecchiato al meglio e, complice il lavoro di pulizia operato dal team, non certo al top, è inevitabile incappare in qualche ingessatura di troppo delle meccaniche e delle situazioni, tra cui spiccano alcuni menu di gioco sin troppo ridondanti. Lo stesso comparto tecnico non può essere certo paragonato alle operazioni Kiwami che hanno investito i capitoli più vecchi della serie regolare, situazione che porta ad un colpo d’occhio incapace di tradire le proprie vetuste origini, pur presentando una grafica non disprezzabile. Impossibile, però, non far cadere lo sguardo su texture sin troppo slavate e modelli dei personaggi secondari assai dimessi, così come non mancano alcuni episodi di pop-up e rallentamenti vari, anche se mai davvero invasivi. È sul fonte sonoro, però, che impossibile muovere critiche, data la sempre eccellente prova attoriale del cast originale, capace di conferire uno spessore in più alle anime digitali del cast. Fiore all’occhiello della release occidentale di Like A Dragon: Ishin!, almeno per il nostro mercato, è la completa localizzazione testuale in italiano della produzione che, sebbene non tradisca qualche errore di battitura di troppo, non può che essere accolta come oro colato, data anche la difficoltà intrinseca nell’adattamento di un’opera di tale tipologia. E che sino a pochi anni fa sarebbe stato davvero impensabile veder attraversare i propri confini.

No, Like A Dragon: Ishin! non può essere considerato un remake al pari dei vari Kiwami, ma dato che parliamo di un gioco che mai ci saremmo sognati di poter giocare in una lingua che non fosse il giapponese, non possiamo che ringraziare SEGA del lavoro svolto. Certo, tecnicamente si poteva fare molto di più, ma data l’eccellente bontà del lavoro di partenza, almeno in fatto a struttura ludica, si può tranquillamente chiudere un occhio al cospetto di un comparto tecnico incapace di nascondere la propria natura cross-gen PS3/PS4. Una volta isolato questo aspetto, però, quello che resta è un’esperienza solida e divertente, capace di declinare le meccaniche care a Yakuza in un contesto sicuramente inedito (almeno per noi), che è stato il responsabile dell’introduzione di uno dei combat system più divertenti e stratificati della serie. Un’opera avvincente e ricca di colpi di scena, che è impossibile non consigliare a tutti coloro che sono fan di Kiryu e compagni, ma che proprio in virtù del suo essere uno spin-off completamente slegato dal mood della saga, può anche rappresentare l’ideale punto di partenza per tutte le nuove leve. Ora non resta che sperare nell’arrivo di Kenzan e dei due Black Panther: in fondo sognare non costa nulla…