Recensione Like a Dragon: Infinite Wealth
di: Simone CantiniBigger is better è una frase che non sempre mi trovo a condividere, soprattutto quando si parla di videogiochi. Spesso, difatti, le manie di grandezza si traducono in esperienze sin troppo dilatate, capaci di disperdere la bontà dell’idea di partenza in un mare di elementi superflui. Fortunatamente, però, ci sono i ragazzi del Ryu ga Gotoku Studio, che dopo aver passato anni a reinventare un universo assai ridotto, in quanto a metratura (virtuale), si sono dimostrati capaci di rendere giustizia a quello che, senza ombra di dubbio, è il loro gioco più massiccio. E per come avevo accolto l’esordio sugli schermi di Ichiban Kasuga, l’incrociare il pad con Like a Dragon: Infinite Wealth è stata davvero una piacevolissima sorpresa. Pur con qualche riserva.
accettare i cookie con finalità di marketing.
Mare, profumo di mare
Sono passati oramai tre anni dallo scioglimento del clan Tojo, evento che ha visto la scomparsa della yakuza per come era conosciuta sino ad allora, e dopo aver appeso la sua fidata mazza da baseball al chiodo, Ichiban è ora un impiegato modello della Hello Works. Il nostro protagonista di Like a Dragon: Infinite Wealth, si occupa adesso di trovare un lavoro onesto agli ex criminali, la cui nuova esistenza è messa a dura prova dalle leggi che regolano la vita giapponese. Tutto sembra scorrere a meraviglia, con Ichiban felice del suo nuovo ruolo, che lo vede pronto a tendere una mano a chiunque sia in difficoltà. Naturalmente si tratta solo di un breve momento di serenità, dato che in seguito ad un video diffuso da un canale internet, la rinnovata vita dello spettinato eroe di Yokohama finirà per andare a rotoli: accusato di accettare tangenti, si vedrà licenziato senza preavviso, finendo con lo sprofondare nello sconforto e nell’apatia. Passano 12 mesi, caratterizzati anche da una cocente delusione d’amore, prima che il nostro si veda offrire una nuova possibilità da Jo Sawashiro, il redivivo ex capitano della famiglia Arakawa, che lo pregherà di raggiungere al più presto le Hawaii per incontrar Akane Kishida, la madre che Ichiban credeva oramai morta da anni. L’arrivo ad Honolulu non sarà certo roseo, con il nostro che si ritroverà ben presto spogliato di tutto (letteralmente) e pronto ad essere incarcerato dalla polizia locale. Salvato dalle manette da Kazuma Kiryu, anche lui sull’isola per ordine dei Daidoji, Ichiban si troverà invischiato ancora una volta in una situazione più grande del previsto, che lo porterà ad unire le forze con vecchi e nuovi compagni, nel tentativo di salvare la madre ed una giovane orfana dalle grinfie delle gang locali.
Caratterizzata da un ritmo completamente sballato, oltre che fiaccata dall’introduzione più lunga ed inutile della serie, la sceneggiatura che funge da cornice al gameplay di Like a Dragon: Infinite Wealth sembra quasi non voler mai ingranare la marcia, trascinandosi stancamente troppo a lungo prima di prendere il volo. Tra sezioni inutili e ridondanti, passaggi a vuoto e continui avviluppamenti su se stessa, la trama non lesina passaggi confusi e a tratti incoerenti, presentando situazioni al limite del plausibile, che sembrano quasi essere state assemblate tra loro senza un preciso disegno. Ci si ritrova a trascorrere intere porzioni a girovagare senza uno scopo apparente in lungo ed in largo per quella che è la mappa più ampia di sempre della saga, sommersi costantemente da una marea di minigiochi che finiscono, soprattutto nelle battute iniziali, per interrompere in modo quasi fastidioso la campagna principale. I nuovi personaggi introdotti per l’occasione, inoltre, navigano tra alti e bassi, alternando elementi di caratterizzazione assai interessanti ad altri che non potranno fare a meno di far inarcare con veemenza un sopracciglio. Se già ero rimasto scottato dal precedente capitolo, che aveva sancito definitivamente la perdita della relativa credibilità delle situazioni presentate, con Like a Dragon: Infinite Wealth ho finito per sotterrare tutte le mie aspettative in fatto di scrittura: sono lontani i fasti di Song of Life o del capitolo 0, perfetti in ogni loro incastro, pur non lesinando gli eccessi e le esagerazioni tipicamente nipponici. L’assolata avventura di Ichiban merita di essere giocata non tanto per ciò che vuole raccontare, ma per il modo in cui ci accompagna, ludicamente parlando, lungo le spiagge di Honolulu (e non solo).
Resta poi, ma anche qua sconfino nel puramente personale, il contrasto tra la figura di Kasuga e quella del Drago di Dojima, entrambi protagonisti delle loro storyline parallele, capaci di evidenziare in modo marcato la grandezza del personaggio di Kiryu rispetto a quella del suo erede. Sarà stato il voler quasi chiudere (definitivamente?) il cerchio attorno allo storico protagonista, grazie ad un abbondante spruzzata di fan service, capace di mandare in sollucchero i fan più affezionati, ma il Kiryu-san ingrigito ed invecchiato che emerge in Like a Dragon: Infinite Wealth non può che colpire al cuore per l’intensità della sua caratterizzazione, stavolta malinconica e commovente come non mai.
Labor limae
Non avevo mancato di criticare il cambiamento di impostazione che aveva caratterizzato il settimo episodio della serie SEGA, che aveva sancito il passaggio ad una formula jrpg dopo anni di scazzottate in salsa brawler. I motivi erano da ritrovare in una certa superficialità del tutto, unita a quel velo di assurdità che un simile stravolgimento aveva portato in dote, con Ichiban vittima di visioni allucinatorie, in grado di tramutare i comuni criminali in assurdi personaggi. Ed in tal senso anche Like a Dragon: Infinite Wealth non manca di presentare una simile dissonanza, ma per lo meno stavolta lo fa dopo aver rifinito a dovere le sue fondamenta ludiche. Per quanto non stravolto, il combat system basato sulla scansione a turni torna con prepotenza, mettendo però in mostra una maggiore profondità della sua natura, che ha nella rinnovata importanza del posizionamento in campo uno dei punti di forza: studiare il piazzamento dei nostri personaggi prima di sferrare gli assalti, difatti, rivestirà un ruolo di spicco, in virtù della possibilità di dare vita a combo varie e danni a cascata, in caso di urto con altri avversari. Lo stesso vale per le abilità ad area e gli attacchi combinati, che escono corroborati dalla nuova impostazione.
Torna, come prevedibile, anche il sistema di job, ancora non troppo incisivo in quanto a varietà, dato che non si avvertirà mai la necessità di utilizzare una certa specializzazione per andare avanti, situazione che porterà a prediligere più per estetica un lavoro ad un altro. Le possibilità sono comunque varie e ben distinte tra di loro, pertanto ci si potrà sbizzarrire a dovere, grazie anche alla presenza di un corposissimo numero di oggetti equipaggiabili, che potremo sia comprare nei negozi che creare presso le officine. Presente ancora una volta la funzione Pestamici che, in cambio di un esborso in denaro, ci consentirà di richiamare al nostro fianco, per un tempo limitato, gli alleati più disparati, a patto di averli sbloccati gironzolando per le mappe di gioco.
Bigger is better (stavolta sì)
Ed ho usato il plurale non a caso, dato che come già detto Like a Dragon: Infinite Wealth mette sul piatto il mondo di gioco più vasto mai proposto all’interno della saga, che ad Ijincho e Kamurocho va ad affiancare Honolulu, che già da sola è in grado di superare per estensione le altre due zone sommate assieme. Questo si traduce in una mole di attività accessorie da affrontare davvero gargantuesca, che tra side quest narrative e minigiochi vari, saprà sorprendere ad ogni passo: ai già sperimentati arcade, ufo catcher e Pedalatta si vanno ad aggiungere attività nuove di zecca, come la caccia fotografica a maniaci esibizionisti, la raccolta dell’immondizia e le consegne in stile Crazy Taxi (per quanto a bordo di una bicicletta). La parte del leone, però, la fanno le due attività accessorie più macroscopiche, capaci di rappresentare dei veri giochi nel gioco: parlo della caccia ai Sujimon e dell’isola di Dondoko. Nel primo caso, come lascia intuire il nome, ci troveremo davanti ad un vero e proprio clone dei Pokemon, con Ichiban che potrà catturare un numero impressionante di nemici, da impiegare poi per sfidare altri avversari ed i vari capo palestra, proprio come vuole la tradizione della serie Nintendo.
Nel secondo caso, invece, ci troveremo al cospetto di una sorta di clone in salsa Yakuza di Animal Crossing, con Ichiban che dovrà riportare all’antico splendore un resort abbandonato. Tra creazione di arredi, pesca e raccolta di risorse, Kasuga si dovrà anche premurare di accogliere e soddisfare i voleri dei turisti, il tutto mentre dovrà tenere testa ad una banda di pirati inclini allo smaltimento non autorizzato dei rifiuti. Si tratta di due feature capaci da sole di portare via un numero impressionante di tempo, così da far schizzare ad oltre 100 ore il contatore di gioco (come se non bastassero le circa 50 necessarie a giungere al termine della campagna). Se questo non dovesse bastare, ci penseranno i dungeon opzionali, utilissimi per grindare come se non ci fosse un domani, ma anche per mettere le mani su armi e materiali di creazione più preziosi.
Drago sfiancato
Se è vero che, almeno a livello puramente ludico, ci troviamo al cospetto del capitolo più corposo e riuscito di sempre, il trascorrer del tempo sembra non aver giovato al comparto tecnico di Like a Dragon: Infinite Wealth, aspetto che sembra essere rimasto sin troppo ancorato al passato della serie. Dopo aver gironzolato in lungo ed in largo per il mondo di gioco, tanto a piedi quando a bordo di un segway, è evidente come per il Dragon Engine sia giunto il momento di andare meritatamente in pensione. O magari di subire un corposo aggiornamento. Per quanto sempre coloratissimo e appagante, almeno ad un colpo d’occhio superficiale, è innegabile come l’aspetto grafico del gioco non sia più in grado di tenere testa agli standard estetici attuali. Se poco si può obiettare in merito ai personaggi di gioco principali (e alle solite, pregevolissime cutscene), un occhio attento non potrà che notare modelli secondari assai dimessi, così come rivedibili sono le texture e l’effettistica generale. Le stesse animazioni generali odorano pesantemente di riciclo selvaggio, con alcuni elementi che sono presi di peso dai Kiwami e mai più aggiornati. E per un titolo che si presenta all’appello ad inizio 2024, si tratta di aspetti davvero in grado di rovinare l’idillio. Lo stesso frame rate non risulta sempre impeccabile, anche in modalità performance, segno evidente di come il team abbia veramente cavato il sangue dal suo engine proprietario.
Sul versante audio, invece, ci troviamo al cospetto della solita eccellenza, con il doppiaggio in lingua giapponese (perché quello inglese NON esiste!) sempre centrato e coinvolgente, oltre che sottotitolato in modo efficace nella nostra lingua. Ottimo anche l’accompagnamento sonoro, che ha nella chicca del player audio personalizzabile da utilizzare mentre si va a zonzo, un piccolo plus: peccato che si interrompa non appena succeda qualcosa e durante i combattimenti, situazione che lo rende di fatto fastidiosissimo da utilizzare. Vabbè, ci consoleremo con le canzoni del karaoke, presenti in quantità davvero massiccia.
Se è vero che un porno non si guarda certo per la trama, lo stesso non si può dire per un titolo della serie Yakuza, in cui la sceneggiatura rappresenta da sempre uno dei maggiori punti di forza. Purtroppo Like a Dragon: Infinite Wealth sembra essersi dimenticata di questo assunto, dato che ci presenta la narrazione più fiacca e scollegata che il brand SEGA abbia mai regalato ai propri fan. Ad un difetto così macroscopico ed imprevisto, però, si accompagna la proposta ludica più azzeccata e gigantesca di sempre, capaciedi travolgere il giocatore con un numero di attività semplicemente impressionante. Se già i minigiochi vecchi e nuovi potrebbero rappresentare un vero must, a nutrire senza pietà il monte ore necessarie ad accantonare il titolo ci pensano la caccia ai Sujimon e l’isola di Dondoko, realtà da sole in grado di valere il prezzo del biglietto. Al cospetto di tanta, felice abbondanza, resta pertanto l’amaro in bocca causato da quella scrittura non sempre efficace come sarebbe lecito aspettarsi. Snobbare per questo l’avventura balneare di Ichiban e Kiryu sarebbe però un imperdonabile errore.