Recensioni

Recensione Lifeless Planet

15 anni persi nelle buie e silenti profondità siderali. Il cuore che batte al rallentatore, il corpo immerso in un sonno artificiale, indispensabile per proteggere l’organismo nel corso di questo viaggio che pare eterno. Il tempo si dilata inesorabilmente, mentre ammassi stellari sfrecciano al fianco della nave spaziale che va sempre più avvicinandosi alla propria meta. Poche migliaia di chilometri ci separano da questo nuovo, lussureggiante, mondo: la nostra nuova casa. D’improvviso si accende una luce rossa, poi un’altra ed un’altra ancora. Gli strumenti sembrano come impazziti, mentre disperate sirene di allarme squarciano il silenzio, incapaci però di destarci dal nostro sonno artificiale.

di: Simone Cantini

15 anni persi nelle buie e silenti profondità siderali. Il cuore che batte al rallentatore, il corpo immerso in un sonno artificiale, indispensabile per proteggere l’organismo nel corso di questo viaggio che pare eterno. Il tempo si dilata inesorabilmente, mentre ammassi stellari sfrecciano al fianco della nave spaziale che va sempre più avvicinandosi alla propria meta. Poche migliaia di chilometri ci separano da questo nuovo, lussureggiante, mondo: la nostra nuova casa. D’improvviso si accende una luce rossa, poi un’altra ed un’altra ancora. Gli strumenti sembrano come impazziti, mentre disperate sirene di allarme squarciano il silenzio, incapaci però di destarci dal nostro sonno artificiale.

Siamo soli nell’immenso vuoto che c’è?

Uno schianto e poi il buio, sino al nostro risveglio, abbandonati in una landa desolata lontana anni luce da casa e da tutte le nozioni che ci avevano inculcato. Dove sono gli altri due membri del nostro equipaggio? E perché quello che, stando agli studi, doveva essere un fertilissimo e prospero pianeta, ideale per ospitare la razza umana, altro non è che una brulla distesa di rocce? E poi c’è quel sibilo sinistro, orribile segnale che ci avverte di una perdita di ossigeno. Spinti dall’istinto di sopravvivenza ci affrettiamo a raggiungere una delle navette di supporto per fare rifornimento del prezioso gas, prima di iniziare ad esplorare questo nuovo mondo, in cerca dei nostri compagni e, soprattutto, di risposte. Non c’è che dire, seppur raccontato in maniera decisamente grezza e brusca, l’incipit di Lifeless Planet non è privo di quel fascino che ci ha spinto a seppellire, purtroppo per breve tempo, le iniziali perplessità. È stato, difatti, sufficiente riprendersi dallo stupore scaturito dall’imbattersi nei resti di quella che era una colonia russa (ma non doveva essere disabitato questo mondo?) per far cadere preda della noia e delle meccaniche di gioco appena abbozzate tutti gli intriganti interrogativi che si sono rapidamente accavallati nella nostra testa. Ed è un peccato, perché al netto di alcune ingenuità e di una narrazione sin troppo frammentata e caotica, le premesse per fare di Lifeless Planet un piccolo capolavoro c’erano tutte.

L’erba del vicino è sempre più letale

La creazione di David Board può essere schematicamente identificata come un gioco di esplorazione, frammentato da alcune sezioni di blando platforming a cui si accompagnano rari puzzle ambientali, anche se data la loro inesistente difficoltà occorre fare un notevole sforzo di immaginazione per definirli tali. Ad essere onesti anche la fase esplorativa sarà ridotta ai minimi termini dato che, fondamentalmente, nel corso delle quasi quattro ore necessarie per arrivare ai titoli di coda, non dovremo fare altro che percorrere un lungo corridoio, le cui rare e brevi diramazioni saranno utili unicamente a reperire alcuni minerali (ininfluenti sia ai fini ludici che narrativi). Tale scelta stride fortemente con gli ambienti di gioco che, pur nella loro scarna costruzione, trasudano una apparente libertà di azione, libertà che viene prepotentemente meno dopo soli pochi minuti di gioco. Durante il nostro vagare potremo imbatterci in alcune zone in cui sarà necessario contare sul nostro jetpack per attraversare baratri o raggiungere luoghi apparentemente fuori dalla nostra portata: purtroppo tali momenti sono inficiati da una fisica dei salti decisamente approssimativa, fattore che rende ostico anche il più semplice dei balzelli. Una volta recuperato un braccio meccanico faranno la loro comparsa anche i già citati “enigmi”, i quali non ci chiederanno altro che di raccogliere sfere energetiche da rilasciare all’interno di apposite strutture. Talvolta l’appendice robotica servirà per aprire anche dei portali, premendo nella giusta sequenza alcuni interruttori. Peccato che in entrambi i casi il tempo che impiegherete a venire a capo della matassa sarà decisamente inferiore a quello trascorso a leggere queste ultime due righe. Discorso analogo può essere fatto anche per l’ossigeno che, casualmente, tenderà ad esaurirsi sempre in prossimità di una stazione di ricarica, mandano così a gambe all’aria ogni aspetto survival: perché introdurre una simile feature se poi non viene assolutamente sfruttata? Appare subito chiaro come il senso di sfida sia praticamente prossimo allo zero, finendo con il basare tutta l’esperienza unicamente attorno alla narrazione. Peccato che anche questa, al di là del fascino di fondo, venga portata avanti in maniera completamente sconclusionata, tramite repentini cambi di setting affatto collegati tra loro: una dissolvenza, zero spiegazioni e di punto in bianco potremo passare dal giorno alla notte senza battere ciglio.

Il fascino della solitudine

Tecnicamente parlando, tenendo conto che Lifeless Planet è stato sviluppato unicamente da una singola persona, c’è da essere più che soddisfatti, almeno per quanto concerne l’ispirazione artistica: seppur apparentemente prive di vita, le varie sezioni del pianeta non lesineranno scorci interessanti, capaci di trasmettere un senso di solitudine e abbandono che ben si sposa con le tematiche trattate. Azzeccatissimo l’accompagnamento sonoro, ad opera di Rich Douglas, capace di sottolineare con sapienza i momenti topici dell’avventura.

Purtroppo è decisamente difficile promuovere Lifeless Planet. Al netto delle sue indubbie qualità di fondo, la produzione di David Board paga il dazio di una struttura ludica deficitaria sotto tutti i punti di vista: a meno di non essere completamente assorbiti dalla narrazione, vagabondare per ambienti desolati limitando al minimo l’interazione rischia di stancare dopo soli pochi minuti e questo è davvero un peccato. Se difatti fosse stato supportato da una maggiore cura per quanto concerne il level design e le meccaniche di gioco, Lifeless Planet sarebbe potuto essere una piccola gemma digitale. Così come è, soprattutto alla luce di un prezzo decisamente sproporzionato (€ 19,90), l’esperienza di David Board si è dimostrata priva di quella scintilla vitale che già il titolo suggeriva.