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Recensione Last Labyrinth

di: Simone Cantini

Quando ti trovi davanti un team di programmatori che ha in curriculum produzioni come The Last Guardian, ICO, Shadow of the Colossus e Puppeteer, viene subito facile pensare ad un titolo in grado di mettere al centro della scena un legame profondo tra il giocatore ed un’altra entità digitale. Ed il ragionamento prende ancor più consistenza non appena si apprende che il lavoro in questione, Last Labyrinth, si appoggerà al PSVR, strumento ultimo quando si parla di immedesimazione totale con il medium videoludico. E per certi aspetti le supposizioni si sono concretizzate nell’opera prima di Amata K.K., anche se non nel modo in cui, visto il pedigree delle menti coinvolte, sarebbe stato più lecito pensare.

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Voglio fare un gioco…

Rispetto ai giochi citati nell’incipit, difatti, Last Labyrinth non presenterà un’avventura nel vero senso del termine, ricalcata sui canoni classici del genere, ma preferirà declinare il proprio gameplay all’interno delle pareti di un escape room game. Noi impersoneremo un individuo che, per un qualche oscuro motivo, si ritroverà imprigionato su di una sedia a rotelle, imbavagliato e con mani e piedi legate. Ben preso scopriremo, però, di non essere soli, bensì in compagnia di una giovane ragazza, di cui però non potremo comprendere in alcun modo l’idioma. La giovane, difatti, si esprimerà in una lingua sconosciuta, come tante volte ci è capitato di udire nelle produzioni del Team ICO, pertanto l’unico modo che avremo per comunicare con lei, visto che come detto saremo impossibilitati a muovere la bocca, sarà per mezzo di un piccolo dispositivo che ci ritroveremo tra le mani: questi non sarà altro che un semplice telecomando, in grado di illuminare un puntatore laser ospitato sopra la nostra testa, che potremo sfruttare per indicare alla giovane gli ambienti dello scenario con cui interagire. L’azione di gioco, difatti, si svolgerà all’interno di una serie di stanze, ognuna delle quali presenterà un differente enigma, che dovremo risolvere per poter aprire la porta e proseguire oltre. E così spetterà a noi, quasi come se ci trovassimo di fronte ad un’avventura punta e clicca 2.0, sfruttare la giovane come se fosse un’estensione dei nostri arti inutilizzabili, facendole premere interruttori, spostare oggetti e molto altro ancora. Capiterà, inoltre, che di tanto in tanto Katia (questo il nome della nostra compagnia) ci chieda conferma, prima di eseguire l’azione richiesta, pertanto potremo annuire o meno muovendo fisicamente la testa. Trovare il bandolo della matassa, come prevedibile, ci farà proseguire sino al prossimo enigma, oppure ad uno dei molteplici finali che Last Labyrinth ha in serbo per noi. Fallire, invece, porterà inevitabilmente a conseguenze fatali, tanto per la nostra giovane amica che, ovviamente, per noi, in un crescendo di situazioni letali che strizzano fortemente l’occhio alla saga di Saw, pur allentandone la brutalità esplicita. E vista la difficoltà media degli enigmi saranno molte le morti di cui ci ritroveremo protagonisti, anche se come tutti i puzzle game del caso il tempo necessario a venire a capo dei vari indovinelli varierà da persona a persona, anche se data l’estrema varietà della proposta, sono sicuro che ciascun giocatore riuscirà a trovare pane per i suoi denti: Last Labyrinth, difatti, propone una sfida quanto mai variegata, con enigmi sempre e regolati da meccanismi inediti per ciascuna stanza che visiteremo. Va da sé che, di conseguenza, la longevità generale della produzione è alquanto soggettiva, anche se mediamente la run completa dovrebbe attestarsi attorno alle 7 ore complessive.

Evadere con lentezza

La natura fondamentalmente statica di Last Labyrinth ha reso possibile presentare una scena quanto mai curata, con un dettaglio ed una pulizia generali ben accentuati. La ristrettezza del campo di azione, però, è stata sfruttata principalmente per spingere sulla realizzazione tecnica di Katia, oltre che dell’altro personaggio che, di tanto in tanto, comparirà sullo schermo (e qua non dico nulla per non rovinare la sorpresa): la giovane gode di animazioni estremamente curate e, pur essendo protagonista di fugaci sessioni, empatizzare con lei verrà estremamente naturale, dato il modo convincente con cui agisce su schermo. Gli unici difetti che mi sento di riscontrare, giunti quasi al termine della disamina, sono relativi ad una accentuata lentezza dell’azione di gioco, proprio a causa del peculiare sistema di interazione proposto che, dovendo contare su Katia come tramite, rende a tratti inutilmente prolisse alcune azioni. Il fattore è estremamente evidente ogni qual volta ci ritroveremo a dover ripetere un enigma fallito, magari proprio ad un passo dalla soluzione. Un’altra pecca risiede nella lunghezza di alcune sezioni, laddove il dover replicare più e più volte le stesse meccaniche evidenzia una lieve dilatazione dell’esperienza (quanto ho odiato quella stramba partita a scacchi!).

Tolte queste ultime magagne, e scesi a compromessi con un prezzo un po’ troppo elevato (€ 44,99), Last Labyrinth rimane comunque un’esperienza senza dubbio interessante ed originale, che farà sicuramente la gioia degli amanti dei puzzle game. Sfruttando un peculiare sistema di interazione, difatti, i ragazzi di Amata K.K. hanno confezionato un’avventura stimolante ed in grado di mettere in difficoltà anche i solutori più esperti.