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Recensione Kingdom Come: Deliverance II

di: Luca Saati

Quello di Daniel Vávra è forse una personalità che non tutti i videogiocatori conoscono, eppure il suo nome è associato indissolubilmente a un videogioco di culto dei primi anni 2000: il primo capitolo della serie Mafia. Se tutti noi ci siamo appassionati alla storia di Tommy Angelo, il merito è proprio di Vávra, che era il capo del team di sceneggiatori. Lo stesso dicasi per Mafia II, ad eccezione del finale, che è stato cambiato, ma questa è un’altra storia. Dopo aver raccontato le epopee criminali di due differenti periodi storici (proibizionismo e dopoguerra), Vávra ha fondato Warhorse Studios e spostato le sue attenzioni verso un altro setting: il medioevo di Kingdom Come: Deliverance. Il lancio non fu dei più semplici e i diversi problemi tecnici hanno forse oscurato eccessivamente le qualità dell’opera prima di Warhorse che, fortunatamente, sono venute fuori col tempo, premiando la storia di Henry di Skalica con oltre 8 milioni di copie vendute. Una storia che, però, non aveva visto la fine e che, sette anni dopo, viene ripresa dal suo sequel, Kingdom Come: Deliverance II, uscito sulle console di attuale generazione da qualche settimana.

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Guerra e politica

Kingdom Come: Deliverance II inizia esattamente dalla fine del primo capitolo e, per questo, è doveroso fare una precisazione. Sì, è possibile giocare Kingdom Come: Deliverance II senza aver vissuto il suo predecessore, con il gioco che fa il suo nell’introdurre adeguatamente il giocatore alle vicende narrate; tuttavia, si perde chiaramente qualcosa senza conoscere a menadito gli eventi precedenti. Insomma, sta a voi scegliere se approcciarsi direttamente con questo secondo capitolo o meno, ma se volete un mio consiglio, recuperate quella perla del primo capitolo ormai disponibile a pochi spicci sugli store digitali (ho visto la Royal Edition in offerta a 4 euro).

In Kingdom Come: Deliverance II ritroviamo il protagonista, Henry, al seguito di Sir Hans Capon in missione per consegnare una lettera in grado di dare una svolta alla guerra tra Venceslao e il suo fratellastro Sigismondo. Un compito all’apparenza semplice, ma che nei fatti si trasforma in una missione quasi mortale per Henry e il suo signore, caduti dopo l’attacco di alcuni banditi. Perso in una regione sconosciuta, il protagonista deve ricostruire la sua reputazione e portare a termine la sua missione. Dedicandosi alla sola quest principale, Kingdom Come: Deliverance II è un gioco che tiene impegnati per abbondanti 50 ore; tuttavia, sarebbe uno spreco non vivere appieno la ricostruzione medievale dei ragazzi di Warhorse. Tra la partecipazione a un matrimonio reale e la difesa di una fortezza, ci si può imbattere per caso in una miniera che cela un oscuro segreto, o svolgere compiti per i tanti cittadini che hanno bisogno dell’abilità di Henry di adattarsi a ogni situazione.

Ciò che emerge nelle oltre 80 ore che ho dedicato a Kingdom Come: Deliverance II è la grande abilità di Vávra e soci nella caratterizzazione del protagonista e dei tanti personaggi secondari che incontra nel suo tragitto, oltre a restituire quel senso di epicità di cui tutti i grandi racconti hanno bisogno. Questo non è solo evidente nella quest principale, ma anche in quelle secondarie. Certo, non mancano compiti più leggeri e meno impegnativi, come le classiche scazzottate nei peggiori bar e stalle della regione, tornei di spade, cacce al tesoro e così via.

Come ritrovare un vecchio amico

Una volta preso il controllo di Henry, pad alla mano, ho avvertito le stesse sensazioni restituitemi dal primo capitolo che, tra l’altro, ho rigiocato di recente proprio per fare un recap, e la transizione al suo sequel è avvenuta in modo molto naturale. Warhorse Studios non ha snaturato la sua creatura, semplicemente ha apportato piccole modifiche per smussare gli angoli che rendevano la sua opera prima talvolta legnosa, a partire da un sistema di controllo più in linea con gli standard odierni.

Le animazioni sono sensibilmente migliorate, riflettendosi specialmente nel combattimento, rendendolo molto più piacevole e meno spigoloso, grazie anche all’aggiunta di nuove mosse e combo. Il sistema di combattimento resta sempre ancorato al posizionamento della propria arma mediante la levetta analogica destra, ma è stato snellito da cinque a quattro direzioni: su, giù, destra e sinistra. Le spade usano tutte e quattro le direzioni, mentre altre ne hanno solo tre, un aspetto che può cambiare il proprio stile di gioco. Adesso si attacca solo con il tasto RT o R2, non c’è più la stoccata con il tasto RB (R1) che è stata spostata all’attacco direzionale giù. Inoltre, la stoccata è sempre legata all’arma che si sta utilizzando; ad esempio, non è possibile usare la punta di una mazza per colpire un avversario e per questo motivo, con armi di questo tipo, le direzioni disponibili sono destra, su e sinistra. Quando si combatte contro più nemici, è possibile bloccare i loro attacchi, a patto di averli sempre di fronte. Sono sempre presenti il blocco perfetto e il colpo da maestro, ma rispetto al primo capitolo sono più difficili da attivare e gli avversari hanno delle contromosse anche per quelli. Nel complesso, il sistema di combattimento si rivela molto più dinamico e variegato, spronando ad avere un atteggiamento più aggressivo e votato all’attacco rispetto al difensivismo eccessivo del primo capitolo. Il tutto senza dimenticarsi della gestione della stamina, fondamentale per avere la meglio sugli avversari.

Per gli attacchi a distanza, sono state introdotte le balestre e le prime armi da fuoco. Il gioco è ambientato nel 1403, anno in cui c’erano bocche da fuoco molto primitive come gli schioppi che richiedevano tantissimo tempo per essere ricaricate. Tuttavia, se utilizzate nei momenti opportuni, possono provocare non pochi disagi ai nemici, che per la paura possono scappare. Anche la furtività è stata rivista, richiedendo la pressione del tasto di attacco al momento giusto per completare perfettamente un accoltellamento alle spalle. Ci sono poi tutta una serie di migliorie alla quality of life, tra cui spicca la possibilità di avere tre preset di equipaggiamento impostati e passare dall’uno all’altro con la pressione di un tasto, facendosi così trovare sempre pronti: ad esempio, io ne ho impostato uno corazzato per i combattimenti all’arma bianca, e uno leggero e oscuro per infiltrarmi di notte senza essere visto e senza fare rumore nelle case e negli accampamenti degli altri personaggi.

Si cade per rialzarsi

L’incipit della caduta di Henry ha un impatto anche sul gameplay, dato che sostanzialmente si resettano gran parte delle sue statistiche, partendo quasi da zero. Dico “quasi da zero” perché alcune capacità il protagonista le ha comunque conservate, ad esempio la capacità di leggere e la base del combattimento che ha imparato precedentemente. Inoltre, alcune piccole scelte effettuabili a inizio gioco permettono di indirizzarlo verso uno stile di gioco; io, ad esempio, ho propeso per il dialogo. La crescita delle statistiche del protagonista avviene con la pratica: ad esempio, più Henry passa il tempo in groppa al suo cavallo, più migliora nell’arte del cavallerizzo; commettendo furterie varie si migliora l’abilità furtività; combattendo migliorano statistiche come forza, arte bellica e quella relativa all’arma in uso (spada, arma pesante, ecc.); e così via per tutte le altre capacità come l’artigianato, l’alchimia, la sopravvivenza e persino una dedicata alla resistenza all’alcool. E se proprio si vuole saltare la pratica, basta investire qualche moneta per farsi insegnare da uno dei tanti maestri sparsi per la mappa di gioco, migliorando così più velocemente. Inoltre, ciascuna statistica ha al suo interno una serie di talenti sbloccabili mano a mano che si avanza, che altri non sono che le classiche abilità passive che offrono alcuni vantaggi. Da notare che talvolta lo sblocco di un talento ne impedisce lo sblocco di un altro, costringendo quindi a fare delle scelte in base al proprio stile di gioco.

La crescita delle statistiche di cui sopra va però di pari passo con altri aspetti di cui tenere conto. Non basta aver sviluppato le abilità di dialogo del protagonista per avere la meglio in ogni discussione, dato che contano anche altri aspetti come la reputazione e il vestiario: ad esempio, se si vuole apparire minacciosi, converrà equipaggiarsi di una possente armatura e avere un certo grado di forza; se si vuole apparire nobili, è consigliabile avere abiti di un certo prestigio. Più in generale, spesso capita che anche altre abilità del protagonista possano rivelarsi utili nei dialoghi, come quando si cura un malato, dove alchimia, erudizione e sopravvivenza hanno la loro utilità, o la furtività quando si ha a che fare con un ladro, e così via.

Medieval Simulator

Insomma, Kingdom Come: Deliverance II non è solo un RPG nel vero senso del termine, ma è anche un simulatore di medioevo in cui il realismo permea tutta l’esperienza di gioco. Un realismo a tratti estremo che probabilmente farà storcere il naso a qualcuno (ancora me le ricordo le lamentele sull’eccessivo realismo di Red Dead Redemption 2, bestie di satana), ma che restituisce un senso di gratificazione raro nelle produzioni videoludiche odierne. Basti vedere la nuova meccanica del fabbro che permette di creare un’arma seguendo passo dopo passo ciò che un vero fabbro farebbe, ovvero riscaldare la lama nel fuoco, batterla col martello e, infine, temprarla. O l’alchimia che, come nel precedente capitolo, richiede di seguire passo dopo passo la ricetta, dosando le erbe, ed eventualmente pestandole al mortaio, tenendo il calderone sul fuoco il tempo necessario con tanto di clessidra da girare, e, perché no, addirittura distillare l’intruglio se al suo interno c’è dell’alcool. Armi, armature, vestiti e pozioni hanno un grado di qualità che va da 1 a 3 (più un quarto se si sblocca l’opportuno talento in artigianato e alchimia per armi e pozioni). Il crafting, quindi, ricompensa in modo soddisfacente solo quando si seguono correttamente i passaggi e se si è abbastanza bravi in quella mansione.

E ancora ci sono quei piccoli dettagli che fanno di Kingdom Come: Deliverance II un’opera incredibile: ad esempio, se commetti troppi crimini e vieni arrestato, Henry verrà marchiato pubblicamente, cosa a cui reagiranno gli NPC di tutto il mondo, i negozianti si rifiuteranno di servirlo e la sua reputazione si ridurrà all’istante con ogni personaggio; e se si continua con i crimini più gravi, si rischia addirittura l’impiccagione con tanto di cutscene che porta al Game Over; i personaggi cambiano le serrature di bauli e porte se “perdono” le loro chiavi e se notano qualche movimento sospetto vanno subito ad assicurarsi che non ci sia stato qualche furto; e guai a farsi vedere con indosso merce rubata nella stessa città in cui si è commesso quel crimine. Insomma, Kingdom Come: Deliverance II è pieno di così tante di quelle piccole chicche che rendono il suo mondo di gioco autentico, alcune di queste probabilmente neanche avrete modo di scoprirle se deciderete, ad esempio, di interpretare il ruolo del buon samaritano.

C’è il viaggio rapido, ma, come nel predecessore, non è il classico teletrasporto degli altri videogiochi, quanto piuttosto un vero e proprio spostamento con la pedina che si muove sulla mappa e il tempo che scorre. Le pozioni fanno miracoli nel curare le ferite, potenziare temporalmente alcune statistiche o addirittura far passare immediatamente la sbronza. Henry e il suo cavallo, specie nelle fasi avanzate, possono trasportare un quantitativo di peso da far invidia probabilmente a un furgoncino. C’è persino la grappa del salvatore, utile per salvare la partita. Questo per dire che va bene il realismo, ma, come è giusto che sia, l’opera di Warhorse Studios non si dimentica mai la sua natura di videogioco.

Inizialmente può sembrare ostico, ma con il prosieguo e la crescita di Henry, il gioco si fa fin troppo facile. Ecco, una cosa che ho notato è che, se nel primo bisogna partire da 0 trasformando l’Henry ragazzo in un uomo, in questo secondo capitolo l’approccio iniziale è decisamente più morbido, complice il fatto che Henry ha comunque raggiunto una certa maturità e delle conoscenze di base. Tutto comunque a servizio di un’esperienza di gioco coesa e sempre coerente con se stessa, in cui l’interpretazione del ruolo, come in ogni RPG che si rispetti, è fondamentale. Il gioco accompagna in modo intelligente il giocatore, ma senza mai prenderlo per mano e, anzi, lasciandogli il massimo della libertà.

Il bello di Kingdom Come: Deliverance II sta proprio in questo, nel restituire un’esperienza differente da giocatore a giocatore. Ad esempio, io inizialmente mi sono specializzato nell’arte del fabbro per creare ferri di cavallo e armi da rivendere al mercante per racimolare qualche gruzzoletto, ma poi ho abbandonato la retta via specializzandomi nella furtività e andando così a rubare nei negozi e nelle case per sgraffignare gli oggetti più preziosi e rivenderli fuori città così da non farmi scoprire e fare soldi facili da investire nell’acquisto di un cavallo migliore, di un’armatura di qualità massima e di un rifugio nel centro della città di Kuttenberg. Il tutto mentre in pubblico mi mostro una persona onesta di cui nessuno sospetta (per la serie “era una brava persona, salutava sempre”). Insomma, non c’è un modo giusto o sbagliato di giocare l’opera di Warhorse, c’è solo il modo che si preferisce per vivere questo splendido simulatore di vita medioevale.

Boemia

Le due mappe di gioco sono grandi il doppio rispetto a quanto visto nel primo capitolo, ma Warhorse non si è limitata a ingrandire il mondo: lo ha reso denso di attività e di vita propria, con i villaggi e le città che sono dei veri e propri microcosmi di persone che svolgono attività quotidiane. C’è chi va a lavoro, chi si picchia davanti alla locanda attirando l’attenzione degli altri cittadini, chi chiacchiera degli ultimi avvenimenti, chi si ferma a guardare gli altri giocare a dadi e chi commenta le condizioni di Henry, magari perché talmente sporco da puzzare, o perché ubriaco, o perché la sua reputazione, buona o cattiva, lo precede.

Visivamente, Kingdom Come: Deliverance II non setta nuovi standard, ma si difende egregiamente, regalando panorami in cui è facile perdersi, città costruite con dovizia di particolari e vaste e dense aree boschive, a tratti fotorealistiche. Il tutto è supportato dal meteo dinamico e dal ciclo giorno-notte, con un sistema d’illuminazione di grande qualità dove ogni elemento su schermo che riflette la luce, e di notte è davvero buio, tanto da rendere impossibile vedere oltre il proprio naso se non si possiede una torcia. C’è qualche sgradevole fenomeno di pop-in e bug, e più in generale la pulizia tecnica necessita di qualche ritocco qua e là, ma niente da rendere ingiocabile il titolo. Questo sequel si presenta al lancio in una forma decisamente più smagliante del suo predecessore e con prestazioni di tutto rispetto. Ho giocato su Xbox Series X perlopiù in modalità Performance, godendomi i 60 fps con qualche lieve, e non troppo fastidioso, calo di fluidità. Ecco, sorvolando su qualche piccolo neo normale per giochi così grandi, Kingdom Come: Deliverance II l’ho trovato talmente convincente da un punto di vista tecnico da farmi chiedere come mai il CryEngine di Crytek sia un motore così bisfrattato dalle compagnie di sviluppo terze parti.

La recitazione degli attori è di ottimo livello ed enfatizzata da cutscene dirette e realizzate con grandissima cura. Stesso discorso per il sonoro, con un doppiaggio di qualità e una colonna sonora sempre azzeccata in ogni momento.

Audentes Fortuna iuvat

“Audentes Fortuna iuvat” non è solo il motto di Henry, ma deve esserlo anche dei ragazzi di Warhorse Studios, considerando i risultati ottenuti con questa epica saga. Kingdom Come: Deliverance II è un’opera maestosa e la naturale evoluzione del primo capitolo. In un periodo storico per l’industria videoludica fatto di titoli troppo omologati, Kingdom Come: Deliverance II è una vera e propria boccata d’aria fresca con il suo realismo e la sua essenza da medieval simulator.