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Recensione Kill Strain

di: Simone Cantini

18Ricordati dal grande pubblico prevalentemente per gli sportivi legati al brand MLB: The Show, i ragazzi di San Diego Studio sono uno dei team first party più longevi di Sony, con alle spalle un curriculum decisamente variegato, al quale si è da poco aggiunto Kill Strain.  Proposto con l’oramai consueta formula free to play, questo particolare shooter competitivo sarà in grado di catalizzare la vostra attenzione?

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Dottore, ho la febbrA!

La trama di Kill Strain è quanto mai esile e funge unicamente da molla utile a scatenare la furia della battaglia: in un non meglio specificato futuro inizia a diffondersi per il globo un letale morbo, chiamato Strain, in grado di trasformare gli esseri umani in ripugnanti mutanti. Spetta dunque ad un manipolo di mercenari tentare di arginare la piaga, debellando ove possibile la diffusione dell’infezione e, possibilmente, riuscendo a riportare a casa la pelle. È in questo scenario che, all’avvio di ogni match, tre squadre distinte si troveranno a darsele di santa ragione, nel tentativo di uscire vincitori. La formula di gioco è quanto mai particolare, dato che si troveranno a fronteggiarsi due team composti da quattro umani, ai quali si aggiunge un ulteriore gruppo composto da due mutanti. Lo scopo principale di ogni partita sarà quello di distruggere la base avversaria o, nel caso ci si trovi a rimpolpare le fila delle ripugnanti creature, semplicemente sopravvivere sino allo scadere del tempo. I mercenari, ognuno dotato di un set di abilità peculiari ciascuno, potranno contare su alcune torrette difensive poste a protezione del loro avamposto e, accumulando un certo numero di capsule recuperabili presso un apposito punto di stoccaggio (a patto di averlo conquistato), potranno tramutarsi per alcuni secondi in un possente mech dall’elevata potenza distruttiva. I mutanti, invece, seppur inizialmente inferiori come numero, potranno contare su di una maggiore resistenza oltre al fatto di poter contaminare lo scenario per mezzo dello Strain: quest’ultimo elemento sarà fondamentale per la loro sopravvivenza, dato che il contatto con l’infezione potrà renderli temporaneamente invisibili e permetterà loro di curare rapidamente le proprie ferite. Lo Strain, oltre a ferire ogni mercenario che vi entri in contatto, giocherà anche un ruolo fondamentale nel bilanciamento delle forze in campo. Ogni volta che un soldato viene ferito mortalmente passeranno alcuni secondi prima che questo passi a miglior vita: se in tale lasso di tempo un mutante riesce ad afferrarlo e farlo entrare in contatto con lo Strain, questi subirà una trasformazione ed andrà ad unirsi al team delle creature fino al termine del match. L’idea, almeno sulla carta, è quanto mai interessante, dato che la volontà di rendere così dinamico il flusso delle forze in campo è sicuramente originale. Peccato che simili propositi si scontrino brutalmente con un bilanciamento di gioco ed una caoticità di fondo che rendono le partite di Kill Strain un’esperienza quanto mai personale, sacrificando sull’altare dell’originalità i meccanismi di cooperazione che sono alla base dei MOBA, seppur declinati in salsa fortemente action come in questo caso.

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Scontro impari

Già l’assenza di una qualunque chat in-game rende impossibile il coordinamento delle unità, fattore che fa diventare quanto mai ostico il perseguimento dell’obiettivo principale di ogni partita. Lo stesso gioco, inoltre, non fa nulla per fomentare un simile approccio ludico, dato che i punteggi (per ovvie ragioni) sono gestiti a livello di singolo e non di team, così come al singolo utente in grado di assestare l’eventuale ultimo colpo alla base nemica viene assegnata la vittoria. La stessa scelta di lasciare ai mutanti la possibilità di limitarsi anche solo ad ostacolare gli umani, cercando solo di arrivare allo scadere del tempo a disposizione, sposta brutalmente gli equilibri di gioco dalla loro parte, anche in virtù del fatto che basta che un solo elemento venga catturato per compromettere il corretto bilanciamento delle forze in campo. Chiude il cerchio la scelta di dare loro la vittoria a tavolino qualora si arrivi alla fine del match senza che almeno una base avversaria sia distrutta. Di sicuro sono tutti aspetti che potranno essere eventualmente limati tramite i futuri update, magari per mezzo dell’introduzione di nuove modalità di gioco, ma al momento l’offerta di Kill Strain, complice anche l’unica mappa giocabile presente nel pacchetto, è decisamente insufficiente.

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Economia funzionale

Anche sul versante tecnico la produzione del team americano non fa gridare al miracolo: il gioco fila prevalentemente liscio a 60 frame al secondo, ma non sono stati rari alcuni fastidiosi scatti, così come non è sembrato solidissimo il netcode che, in alcune situazioni, ha evidenziato sporadici fenomeni di lag. E questo non può che essere un peccato, dato che pad alla mano le meccaniche mutate dai twin stick shooter funzionano alla grande, così come non è parso troppo invasivo il sistema di microtransazioni presente nel titolo, dato che armandosi di buona pazienza è possibile acquistare senza spendere un Euro reale ogni elemento fondamentale di gioco.

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Su console il mercato dei free to play si sta facendo sempre più presente ed aggressivo e, proprio in virtù di questo scenario, l’arrivo di Kill Strain non può certo essere salutato calorosamente. Il titolo San Diego Studio, al netto di un’idea originale e potenzialmente interessante, cade proprio quando questa viene applicata al pad. Non neghiamo che futuri aggiornamenti potrebbero sicuramente ribaltare il giudizio finale, però allo stato attuale delle cose Kill Strain non rappresenta certo un esperimento da consigliare spassionatamente.