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Recensione Jotun: Valhalla Edition

di: Giovanni Manca

Sei uno di quelli a cui piace scavare in quello che chiameresti underground videoludico solo per trovare qualcosa di davvero particolare? Ah si? Bene, allora hai già sentito parlare di Jotun fin dai tempi della campagna su Kickstarter, quando Wlliam Dubè cercava finanze per il suo coloratissimo action game vichingo che lo avrebbe portato ad un discreto successo critico e commerciale. Jotun sbarca su Xbox One e Ps4 in versione Valhalla, trecce rosse al vento e scure sempre pronta.

Thora Thora Thora!

Non si dovrebbe fare in una recensione ma noi ve lo diciamo subito, Jotun deve tutto il suo successo a tre fattori chiave: trama, boss battle e caratterizzazione artistica. Tutto il resto è contorno, inclusa la fase esplorativa che all’inizio potrebbe sembrare il fulcro principale del titolo. Ma andiamo per gradi e andiamo a conoscere Thora e le sue vicende. Jotun ci porta nelle atmosfere della mitologia norrena, le leggende e i miti religiosi dei paesi scandinavi; la protagonista, Thora appunto, è una guerriera vichinga sconfitta in battaglia e annegata nelle oscure e gelide acque del mare del nord. All’ombra del Yggdrasil, l’albero del mondo, è conscia del fatto che la sua morte disonorevole non le consente di accedere al paradiso, il Valhalla. Odino ha pietà di lei e rispetto del suo desiderio, così le propone un patto: sconfiggendo gli Jotum, semidei avversi ad odino, Thora ha la possibilità di impressionare gli altri dei ed accedere così al regno dei morti. Questo canovaccio è interessante ma non ha nulla che lo eleverebbe dalla massa, la particolarità sta infatti non nella trama in se ma nel modo in cui viene narrata: poco alla volta, sarà la stessa protagonista a raccontare le sue vicende e, soprattutto, a descrivere luoghi e leggende, senza mai travolgere il giocatore con una valanga di informazioni inutili e pesanti. L’empatia che si raggiunge così risulta davvero notevole.

Alla ricerca dei Jotum

Le impressioni che il titolo inizialmente trasmette sono fuorvianti dal momento che il gameplay sembrerebbe incentrato sull’esplorazione delle splendide scenografie piuttosto che sui puzzle e sul combattimento. Ben presto però ci si rende conto che l’aspetto esplorativo è quello più debole dell’intera esperienza di gioco e ciò è dovuto al level design estremamente semplice e alla povertà di elementi di interazione in cui ci si imbatte, che siano nemici, puzzle o tesori. Si può in fin dei conti interpretare come una fase di passaggio tra una boss battle e l’altra, queste sono il vero elemento cardine del titolo grazie ad una originalità invidiabile che ricorda grandi classici come Zelda e Shadow of the Colossus. Sconfiggere i boss più avanzati è davvero impegnativo e obbliga ad un continuo backtracking alla ricerca di rune nascoste che consentano di acquisire abilità fondamentali. Potrebbe sembrare un po’ poco forse, ma vi assicuriamo che il divertimento è assicurato e, aspetto da non sottovalutare, le debolezze della fase esplorativa sono praticamente annullate da una realizzazione grafica e artistica da capogiro: il desiderio di appagare la voglia di ammirare la bellezza di una grafica disegnata a mano stimola il giocatore ad andare sempre avanti, dimenticandosi quasi quale sia l’obiettivo del gioco. Ciò non toglie che molti giocatori possano essere comunque annoiati dalla pochezza degli elementi di queste fasi e preferiscano per questo la modalità Vahalla che permette di divertirci con i boss senza passare per la fase esplorativa.

Vahalla

E’ chiaro che non siamo davanti ad un capolavoro epocale ma il titolo di Dubè è in grado di lasciare una traccia importante in uno scenario videoludico sempre più affollato: realizzazione artistica, narrazione e boss battle di alto livello regalano un’esperienza di gioco notevole. Il rischio è di annoiarsi durante le fasi di esplorazione ma è un rischio che vale la pena correre