Recensione Inscryption
di: Simone CantiniEssendo oramai lontano dal gaming PC da svariati anni, leggere il nome di Daniel Mullins accanto ad Inscryption non aveva fatto accendere alcuna lampadina. Dopo aver portato a termine l’ultimo lavoro del designer canadese, però, mi sono ripromesso di mettere mano quanto prima su Pony Island e The Hex, ovvero i titoli che hanno anticipato l’uscita di questa piccola (grande) perla indipendente. Sì, perché per andare dritti al sodo, senza perdersi nell’inutile mare di caratteri che seguono queste parole, è bene sottolineare subito come Inscryption sia un titolo pazzesco, imperdibile, un vero capolavoro di scrittura e costruzione ludica che, in cambio di un esborso davvero modico (€19,99), saprà catturarvi senza riserve, oltre che stupirvi in più di un’occasione. E dire che parliamo, in fondo, di un banale (ah ah ah!) gioco di carte.
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Giocare a carte con la morte
Lo ammetto, sto continuando a scrivere unicamente per dovere, per poter dire di aver realizzato una vera e propria recensione di Inscryption, e dare in pasto al distributore una prova tangibile in grado di giustificare l’elargizione del codice PS5 giunto in redazione. In realtà non ci sarebbe davvero bisogno di andare oltre, visto che il voto e quanto detto nell’introduzione non dovrebbero lasciare spazio a dubbi, e convincere anche i più scettici a fiondarsi sul PlayStation Store e procedere all’acquisto. E poi c’è il problema, non certo accessorio, che il dilungarsi in una analisi approfondita del lavoro di Mullins potrebbe rovinare la sorpresa, e scoprire (letteralmente) le carte che il gioco ha in serbo per il player. Mi limiterò, pertanto, a darvi in pasto qualche piccola nozione in quanto alla sua apparente natura che, come già detto, è quello di un titolo deck builder, farcito con una spruzzata di elementi roguelite e sezioni ad enigmi in stile escape room. Essendo cresciuto in compagnia di Magic, Kult e (soprattutto) Mutant Chronicles, sono sempre rimasto estremamente affascinato dalle versioni digitali dei GDC che hanno accompagnato la mia gioventù, ed anche Inscryption, in tal senso, non fa eccezione. A maggior ragione se a regolarne il flow ludico è un insieme di meccaniche intriganti e stratificate, che si srotolano poco a poco sotto gli occhi del giocatore, e che ci costringeranno a cambiare ed adattare di continuo il nostro punto di vista e le nostre strategie. L’avventura legata alla raccolta di carte, fulcro puramente ludico dell’esperienza, ha l’indubbio pregio di non venire mai a noia, a dispetto delle porzioni roguelite che ne scandiscono parte della progressione, complici proprio gli stratagemmi narrativi e giocosi che Mullins ha adottato nel dare vita alla propria creatura: quello che ne viene fuori è una sorta di eterna caccia, come un gatto che gioca con il topolino, in cui il player si illuderà continuamente di essere riuscito a domare le regole, salvo poi venire colpito dall’ennesimo ribaltamento di prospettiva.
Perso nella tradizione, ma chi se ne frega!
Un gioco di incastri che, però, non si limita al solo gioco di carte, ma che in senso più ampio va ad abbracciare l’intera costruzione che risponde al nome di Inscryption. Senza addentrarsi in pericolosi spoiler, il gioco finirà per assumere ben presto contorni assai più sfaccettati e complessi, simile ad un sadico groviglio di scatole cinesi, capace di spazzare via in un lampo ogni singola certezza che credevamo di essere riusciti faticosamente a conquistare. In più di un’occasione ci ritroveremo a chiederci chi stia davvero giocando con chi, spiazzati dalle rivelazioni e dagli escamotage metaludici con cui Mullins ha cosparso il codice di gioco. Ed in tal senso è un vero peccato che quello arrivato su PS5 sia solo un porting del lavoro originale che, per ovvi motivi legati al suo essere un titolo pensato con in mente il PC, va perdendo alcune delle sue caratteristiche più sorprendenti, che trasportate in maniera posticcia all’interno dei confini di una console, hanno finito per perdere parte della loro efficacia. Ed il giungere a distanza di tempo dalla release ufficiale, ha inoltre eliminato l’incursione che Inscryption ha concretamente avuto nel mondo reale, grazie ad un gioco in realtà aumentata che ha spinto migliaia di giocatori ad andare letteralmente a caccia di indizi e prove tangibili (come testimonia questo video). È proprio in questo suo continuo tentativo (riuscito) di rompere la quarta parete che risiedono parte dei meriti del lavoro di Mullins, che si è dimostrato capace di dare vita ad una vera e propria esperienza dall’elevato tasso di coinvolgimento. Alla luce di tutto quanto, nonostante, come già detto, la versione console soffra un poco di questa sindrome da lost in translation, il modo in cui si è riusciti ad adattare il tutto alla fruizione con pad e TV è comunque assolutamente pregevole, e non è riuscito in alcun modo a scalfire la grandezza delle idee partorite dal designer. Passano in secondo piano, pertanto, le analisi relative al comparto tecnico, quanto mai secondarie ed inopportune, e che potrei quasi considerare offensive dato il modo in cui potrebbero spostare malauguratamente il focus dell’analisi. Ed infatti passerò bellamente oltre, ed andrò dritto al commento finale.
Inscryption è un capolavoro, una perla, un titolo imperdibile, quindi smettete di leggere ed andate a comperarlo sul PlayStation Store. Mi devo dilungare ancora per molto? Giusto per dare un po’ di corpo a questo paragrafo, mi limiterò a ripetere alla nausea quanto già abbondantemente detto: non lasciatevi ingannare dalla sua subdola natura di gioco di carte, il titolo di Daniel Mullins nasconde molto di più sotto questa suadente superficie, basterà solo avere la pazienza di andare oltre le apparenze. Quindi non indugiate oltre, la ricompensa che vi attende sarà quanto mai appagante. Ok, direi che ora ho davvero e finalmente finito…