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Recensione Indika

di: Simone Cantini

Mi piace sempre quando un titolo si dimostra in grado di spiazzarmi, proponendo un insieme di elementi che mi portano costantemente a chiedermi cosa stia effettivamente giocando. Era successo con quella figata assoluta di Inscryption e, giusto in questi giorni, anche con quel bizzarro elemento che risponde al nome di Indika. La produzione Odd Meter, pur non raggiungendo le vette dissonanti del capolavoro di Daniel Mullins, si diverte a contaminare in modo assai straniante il suo essere una “semplice” avventura narrativa, dando vita ad un concentrato di elementi che, per quanto non completamente a fuoco nell’insieme, non può certo passare inosservato.

Fede, speranza e carità

Il titolo ci accoglie all’interno di un monastero sperduto nelle lande russe, dove la nostra Indika vive la sua vita da religiosa in compagnia delle proprie consorelle. Un gruppo che, per quanto dovrebbe in teoria rappresentare la summa della carità e dell’amore, sembra disprezzare a tutto tondo la protagonista del racconto. Sarà colpa del suo comportamento non sempre consono ai canoni monastici (causato da alcune allucinazioni che troveranno parziale risposta nel corso del gioco), oppure è il passato della ragazza a celare al proprio interno i germi di questo astio mai troppo velato? La verità prenderà corpo poco alla volta, non appena Indika verrà incaricata di consegnare una missiva ad un monastero vicino, compito che ci permetterà di entrare più da vicino in contatto con i dubbi e le angosce che le attanagliano la coscienza. Ed in tal senso un ruolo di spicco l’avrà il fuggitivo Ilya, capace di amplificare con la sua fede cieca i già numerosi interrogativi che si accavallano senza sosta nella mente della giocane suora.

Quello che emerge è un racconto capace di incrinare le certezze della religione e, in parte, della società, attraverso una narrazione interessante e ben scritta che, complice un setting costantemente in bilico tra il reale e l’assurdo, ci permetterà di scendere a patti con l’oscuro passato di Indika, unico elemento in grado di fornirci una chiave di lettura per quella voce demoniaca interiore che, di tanto in tanto, diverrà la nostra subdola compagnia di viaggio. Una storia che ha al centro le velleità del presunto libero arbitrio, che finiranno per scontarsi con l’aleatorietà del destino, che si erge maestoso in netta contrapposizione con quella religione così smaccatamente presente per tutte le circa 5 ore necessarie a giungere ai tioli di coda.

C’è un diavolo in me

Come detto in apertura, Indika può essere frettolosamente descritto come un’avventura narrativa di stampo classico, il cui incedere sarà di tanto in tanto intervallato da una spruzzata di piccoli enigmi ambientali, mai troppo invasivi o complessi da sviscerare. Eppure, al netto di ciò, i ragazzi di Odd Meter si sono divertiti ad impreziosire il tutto con alcuni elementi presi di peso dal mondo degli RPG, sublimati dalla presenza di un inutile (come ci viene ricordato dal gioco stesso) sistema di power up ed abilità, legato a task e collezionabili. A prendersi la scena, in una manciata di occasioni, è anche il passato di Indika, presentato in forma giocabile attraverso alcuni spezzoni ludici realizzati per mezzo di una pixel art gradevole, a cui si accompagnano meccaniche platform e racing game arcade. Non mancano, in aggiunta, momenti in cui è il demone interiore della ragazza a rendere manifesti i tormenti interiori, deformando lo spazio ed aprendo la strada ad un puzzle solving sempre interessante.

Il quadro generale, considerando la linearità dell’esperienza, è davvero spiazzante ed interessante, grazie anche ad un world setting in cui le situazioni a tratti fuori dalla norma, così come la geografia generale, non vengono certo lesinate. Emblematica, in tal senso, è la sessione all’interno della fabbrica del pesce, i cui elementi architettonici finiscono per rendere Indika ed Ilya simili a dei giocattoli. Che le mani che le muovono siano quelle del player o del divino, non ci è dato saperlo.

Nella botte piccola…

A dispetto delle dimensioni contenute del team, l’impatto estetico di Indika ha alcuni elementi davvero sorprendenti, in primis per quanto concerna la resa dei volti dei personaggi (la protagonista è realizzata in modo splendido) e la realizzazione delle cinematiche, davvero molto pregevoli, sia per stile che per regia. Lo stesso dettaglio generale, pur in presenza di alcuni elementi sottotono, si presenta in forma assai convincente, in virtù di un azzeccato design generale. Il lato oscuro della medaglia è dato dagli stacchi davvero netti, e brutti da vedere, che caratterizzano il passaggio tra una porzione di gioco e l’altra, situazione che crea degli scossoni non proprio esaltanti in ottica di fluidità. Eccellente, invece, il lavoro svolto sul fronte sonoro, sia che si parli di doppiaggio (inglese e russo) che di colonna sonora. Quest’ultima si affianca all’elenco già corposo degli elementi stranianti, grazie al suo mood elettronico in salsa 8-bit capace di creare una distonia piacevolissima, un ulteriore estensione del caos mentale che alberga nella mente di Indika. Peccato che latiti la localizzazione in lingua italiana che, in produzioni del genere, fa sempre piacere trovare, anche per immergersi più semplicemente nelle tematiche del racconto.

Durante le mie circa 5 ore in compagnia di Indika mi sono costantemente chiesto dove il gioco Odd Meter volesse andare a parare, visti i repentini cambi di registro che ne caratterizzano la progressione. E devo dire che, al netto di una non sempre agile leggibilità delle situazioni, il risultato si è rivelato essere molto piacevole. Il merito è da ritrovare prevalentemente nella qualità del racconto, capace di imbastire una storia fatta di contrasti e tormenti, in cui luci ed ombre si accavallano sulla scienza, dando vita ad un quadro generale sempre accattivante e decisamente peculiare. L’amalgama generale non è sempre perfetto, anche a causa di alcuni tentennamenti tecnici, ma chi è in cerca di un’avventura narrativa sicuramente meno scontata del solito, difficilmente potrà restare deluso.