Recensione Hotel Infinity
di: Simone CantiniL’apparenza spesso inganna, lasciandoci percepire elementi e situazioni che, almeno ad uno sguardo superficiale, non dovrebbero assolutamente esistere. Ed è proprio attorno a questo particolare concetto che Studio Chyr ha costruito il suo particolarissimo e affascinante Hotel Infinity, un puzzle game davvero particolare che si diverte a prendere in giro i sensi del giocatore. Tra geometrie e geografie impossibili, cambi repentini e impensabili di scena ed un corposo numero di allucinazioni spaziali, il brevissimo viaggio tra le stanze di questo silenzioso albergo riserverà più di una sorpresa. Peccato che tra queste ci sia anche la sua risicata, risicatissima longevità.
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Stanza 1408
Non ci sono storie particolari a sorreggere la struttura di Hotel Infinity, che non si abbandona affatto a didascaliche descrizioni o superflui dialoghi. Nulla è dato da sapere in merito alla struttura in cui ci troveremo ospiti, un luogo davvero impossibile per pura concezione costruttiva, onesto però nel mettere subito in chiaro la propria natura: una volta avviato il gioco, difatti, preparatevi ad affrontare il check-in concettualmente più improbabile e assurdo che mai vi capiterà di fare. Si tratta dell’antipasto di ciò che ci attenderà lungo l’oretta e mezza necessaria a giungere ai titoli di coda, lasso di tempo in cui la nostra concezione dello spazio canonica verrà costantemente messa alla prova, oltre che presa in giro dal sadico level design di questo particolarissimo puzzle game.
Superato questo scoglio iniziale e comprese le regole che gestiscono questo bizzarro universo, sarà un vero spasso scoprire cosa ci aspetti lungo quei corridoi costantemente pronti ad avvilupparsi su di loro, così da dare vita a percorsi inimmaginabili, capaci di ingannare i nostri sensi. Tutto il fascino di Hotel Infinity risiede proprio qua, nel suo saper costruire un contesto straniante e inquietante allo stesso tempo, pur nella sua silenziosa ed asettica messa in scena: nonostante non vi siano minacce pronte ad attentare alla nostra sanità mentale (per quello è sufficiente il design generale), si avverte sempre un senso di angoscia mentre si cerca vanamente di non perdere l’orientamento tra le varie aree dell’hotel.
Scatole cinesi
Ludicamente parlando, Hotel Infinity gioca tutte le proprie carte nel proporre una prospettiva distorta della realtà, dando vita ad un edificio perennemente pronto a mettere in discussione la costruzione dello spazio. Simili ai disegni di Escher, le zone che ci troveremo ad attraversare non risparmiano percorsi impossibili, in cui una porta o un corridoio non porteranno mai dove la logica vorrebbe. In questo labirinto impossibile dovremo interagire con bizzarri apparecchi, tirare leve o scoprire oggetti da posizionare, solo per poter mettere le mani su dei globi oscuri, da collocare all’interno della nostra stramba valigia.
Un viaggio che, una volta appresa la non certo elevata complessità degli enigmi proposti (tutti decisamente molto semplici da comprendere e sviscerare), avrà proprio nel suo bizzarro incedere il maggiore elemento di stupore: girare l’angolo di una stanza, solo per ritrovarsi a rimirare dalla distanza il luogo in cui eravamo solo un passo prima, o anche soltanto varcare una porta per scoprire di essere nuovamente al punto di partenza, è un’esperienza difficile da descrivere a parole. Ed in tal senso la realtà virtuale offre indubbiamente il miglior modo per assaporare questa particolarissima, per quanto assai esile, esperienza.
Soggiorno fugace
Ed è proprio la longevità il maggior difetto che si può imputare a Hotel Infinity, che per durata effettiva assume quasi i contorni di una stuzzicante e velleitaria tech demo, piuttosto che di un gioco vero e proprio. I motivi di questa critica sono da ritrovare proprio nella bontà del concept ludico, che avrebbe indubbiamente meritato un monte minuti almeno doppio per poter condurre il giocatore ai titoli di coda senza lasciargli in bocca un senso di delusione. Perché è vero che un bel gioco dura poco, ma si poteva osare un pizzico in più.
Non mancano anche alcune magagne di tipo più tecnico, principalmente relative alle compenetrazioni frequenti in cui è possibile incappare (ho testo il gioco in modalità statica, anche se è prevista l’opzione stanza intera): tra mura che è possibile attraversare e mani che scompaiono di tanto in tanto, il sentore di un codice non ottimizzato alla perfezione è stata avvertita in più di un’occasione. Per il resto tutto funziona, con un’estetica minimale che strizza l’occhio allo stile liberty che funziona a dovere, a cui si aggiunge un accompagnamento sonoro anche esso assai rarefatto, ma che sa sempre come acuire quel senso di tensione a cui accennavo in apertura.
Hotel Infinity è un piccolo enigma architettonico che vive della sua capacità di destabilizzare e sorprendere, un viaggio breve ma intenso tra corridoi che si piegano su sé stessi e stanze che sfidano la logica. È un’esperienza che lascia il giocatore sospeso tra meraviglia e frustrazione: da un lato l’incanto di un concept brillante, dall’altro la delusione di una durata che non rende giustizia alle sue potenzialità. Più che un vero soggiorno, sembra un check-in fugace in un albergo impossibile, che ti accoglie con eleganza e ti congeda troppo presto. Eppure, proprio in quella brevità risiede anche il suo fascino: un ricordo straniante, come un sogno che svanisce appena inizi a comprenderlo.