Recensione Horizon Forbidden West
di: Simone CantiniL’inizio di questo 2022 sembra partire in quarta per Sony, con un trittico di produzioni di tutto rispetto, che tra febbraio e marzo, andranno a rimpolpare le ludoteche dei possessori di PS4 e PS5. Per un Sifu già disponibile da qualche settimana e con un Gran Turismo 7 oramai in dirittura di arrivo, tocca ad Aloy occupare la posizione mediana di questo terzetto, grazie all’atteso (e già rimandato) Horizon Forbidden West. Il sequel del fortunato e, per certi versi sorprendente, Zero Dawn, sarà riuscito ad alzare l’asticella, così da soddisfare le aspettative della platea videoludica?
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Salvare il futuro
A dispetto dei 5 anni che ci separano da Zero Dawn, gli eventi narrati in Horizon Forbidden West prendono il via 6 mesi dopo la chiusura del capitolo originale. In seguito alla battaglia di Meridiana, che ha portato alla sconfitta di ADE, Aloy è ancora in cerca di una copia di backup di GAIA, l’IA sviluppata dai Predecessori e destinata alla terraformazione di questo futuro alternativo. Ricerche infruttuose, quelle dell’eroica guerriera Nora, che la poteranno nuovamente nella capitale Carja, spinta da un misterioso segnale, proveniente proprio dalla guglia che simboleggia la sconfitta di ADE. Un ritorno, questo, che assumerà presto i contorni della beffa, quando una trasmissione non meglio precisata finirà per trasferire verso ovest quanto rimasto dell’IA impazzita. Inutile dire come Aloy, non affatto intenzionata ad abbandonare il progetto della dottoressa Sobeck, si metterà rapidamente in marcia in direzione di quel Fornidden West da cui il gioco prende il nome. Un viaggio lungo ed impervio, che la porterà ad intrecciare relazioni (ed armi) con le selvagge tribù che abitano la porzione occidentale di questi Stati Uniti alternativi, fiaccati da una guerra civile di cui la ragazza finirà, come prevedibile, per divenire parte integrante. Assai stratificata e corposa, oltre che molto più corale rispetto agli esordi della serie, la sceneggiatura imbastita dai ragazzi di Guerrilla Games parte sicuramente in modo più lento rispetto al passato, forse anche per dare modo ai neofiti di entrare gradualmente all’interno del mondo di gioco. Una main quest longeva, anche se forse meno sorprendente di quanto assaporato in Zero Dawn, e che vive a stretto contatto con tutto il florilegio di attività collaterali, presenti in quantità a tratti soverchiante, che popolano la vasta area di gioco. Un binomio, questo, in grado di andare oltre il semplice incremento del monte ore, dato che ogni divagazione accessoria ha il compito di contribuire a tratteggiare questa futuristica umanità ideata dal team, con ciascuna side quest che riesce a fornire un tassello ulteriore di questo complesso mosaico socioculturale.
In tal senso è lodevole anche il modo con cui si è spinti al puro cazzeggio che, pur in abbondanza di punti interrogativi che sembrano comparire senza sosta, non è quasi mai caratterizzato da attività in grado di rappresentare un mero ed artificioso scollamento dagli eventi. La modalità in cui campagna principale e side quest si intrecciano, dà vita ad una struttura fortemente organica, il cui successo non era certo scontato. E poco importa se sceglieremo di scalare un Collolungo, lanciarci in corse a cavallo di macchine, affrontare avversari in delle arene oppure giocare a Batosta (il minigioco presente nella produzione), ogni attività sarà utile per immergersi ancor di più in questo sfaccettato universo. Un mondo capace di raccontare e raccontarsi in ogni piccolo dettaglio, sia esso la struttura di una delle nuove macchine, una pittura di guerra impressa sulla pelle di un Tenakth, oppure un rudere appartenente al nostro presente, adesso divenuto drammatico passato. Questa capacità di coinvolgere in modo trasversale, è resa possibile anche grazie al miglioramento della recitazione digitale, tra gli aspetti più criticati all’epoca in Zero Dawn: l’upgrade è evidente in modo marcato soprattutto durante i vari dialoghi, non più asettici scambi di battute tra manichini immobili, ma adesso vere e proprie cutscene (più o meno complesse a seconda della loro importanza).
Questione di ritmo
Lo sgrossamento delle criticità passa, come lecito aspettarsi, anche attraverso il combat system, adesso decisamente più fluido e reattivo che in passato. Sia che si parli di attacchi melee che ranged, il modo in cui Aloy riesce a danzare agilmente sul campo di battaglia è sicuramente più riuscito ed omogeneo che in passato. A ciò contribuiscono indubbiamente le nuove capacità belliche della nostra Nora, che potrà contare su di un set di combo per il corpo a corpo, oltre che su alcune armi nuove di zecca. Rivisto anche lo skill tree a lei dedicato, suddiviso in sei distinte specializzazioni, ognuna volta a sviluppare determinate caratteristiche, che siano legate allo stealth, agli scontri ravvicinati o al controllo delle macchine. Spendere punti in tali alberi ci permetterà di sbloccare abilità dedicate passive, oltre ad alcune Cariche Valorose: queste sono dei buff temporanei, ottenibili riempiendo un apposito indicatore, attivabili tramite la ruota delle armi. Ne potremo equipaggiare una alla volta, pertanto sarà opportuno variare a seconda della situazione l’abilità assegnata. Ed è proprio in questa volontà di spingere il giocatore a modificare con frequenza il proprio approccio, che si può riscontrare una delle prime criticità di Horizon Forbidden West. Elemento lampante è la discutibile scelta di assegnare un singolo attacco elementale a ciascuna arma (dite addio alle munizioni condivise), situazione che costringerà il giocatore a switchare di continuo lo strumento di offesa attivo. Se questo si nota poco in occasione di scontri con nemici singoli, in caso di gruppi più numerosi può portare ad una interruzione forzata del flow di gioco, oltre a causare squilibri qualora non avessimo portato con noi la dotazione più adatta. Una scelta decisamente incomprensibile. Fortunatamente, al netto di ciò, i combattimenti si sono rivelati sempre divertenti ed impegnativi al punto giusto, soprattutto grazie alle ottime routine comportamentali che gestiscono le varie macchine, capaci di spiazzare in più frangenti il giocatore. Questo è evidente in modo marcato in occasione delle varie boss fight, sempre spettacolari e mai del tutto scontate. Migliorata, seppur senza particolari guizzi, anche l’IA degli avversari umani, sebbene il loro livello di intelligenza tattica sia abbondantemente al di sotto delle minacce meccaniche.
Tra cielo e mare
La volontà di dare vita ad un seguito bigger and better del capostipite emerge anche dal level design della produzione, capace di vantare una verticalità ed una libertà di esplorazione ampliate. Questo si è tradotto in un sistema di arrampicata più snello e coerente che, seppur non abbandonando in toto la presenza di percorsi guidati (ciao indicatori gialli!), che potrebbero far storcere la bocca ad alcuni giocatori, offre comunque superfici caratterizzate da un numero di appigli sensibilmente aumentato. Ciò da vita a scalate meno lineari e schematiche, sostituite da fasi sicuramente più libere e meno vincolate. Non si vive, però, di sole altezze, dato che con Horizon Forbidden West Guerrilla ha visto bene di dare in pasto ai giocatori anche interessanti sezioni sottomarine. Queste, pur non sfociando mai in chissà quale momento di pura esaltazione, hanno il pregio di variare il senso della scoperta del player, oltre a fornire nuove opzioni stealth grazie alla possibilità di permetterci di sfuggire agli occhi dei nemici semplicemente immergendoci. E visto che il team olandese sembra aver voglia di ampliare l’orizzonte esplorativo dell’utenza, ecco che a corroborare questa volontà troveremo un aliante, che ci permetterà di planare per lunghe distanze, oltre alla possibilità di cavalcare alcune creature volanti (da un certo punto in poi dell’avventura).
Dipinto sporco
Guerrilla Games è da sempre rinomato per essere uno tra gli studi più solidi e all’avanguardia per quanto concerne il mero aspetto tecnico/grafico, ma con Horizon Forbidden West ha finito per tradire in parte questo retaggio. Se è vero che l’impatto estetico è di primissimo livello, soprattutto grazie ad una direzione artistica assai ispirata, va anche detto che il sense of wonder generale è inferiore rispetto a quello avvertito con Zero Dawn. Al netto di un’abbondanza quasi orgiastica di particellari ed effetti in generale, a cui si accompagna una densità di elementi su schermo sempre notevole, spiace constatare come il quadro generale sia sporcato da alcune incomprensibili cadute di stile: al netto delle patch uscite sino ad oggi, permangono uno sporadico pop-up di elementi, qualche glitch grafico e sonoro, oltre ad alcune animazioni non sempre ben amalgamate tra di loro. Sicuramente è lecito chiedersi cosa avrebbe potuto essere il gioco se non fosse stato costretto ad uno sviluppo crossgenerazionale, con il team obbligato a focalizzarsi soltanto su PS5. Tolti questi sassolini dalla scarpa, comunque, le prestazioni generali si attestano su livelli buonissimi, sia che si scelga di giocare in modalità grafica che prestazioni, con i caricamenti visti sul nuovo hardware Sony tra i più veloci sperimentati sino ad ora. Molto buono, seppur non al livello di Returnal e dell’ultimo Ratchet & Clank, il supporto al DualSense, con i trigger adattivi chiamati a replicare la tensione dell’arco ed altre azioni contestuali. Di altra pasta la resa del feedback aptico, sempre presente in modo efficace e discreto, in grado di far percepire a dovere le varie sollecitazioni subite da Aloy. Eccellente la soundtrack, forte di brani in grado di spaziare da ritmi tribali a sezioni più elettroniche, passando per partiture dai toni più distesi e dilatati, ma sempre in grado di sottolineare a dovere i vari momenti di gioco. Nulla da dire anche in merito all’ottimo doppiaggio in lingua italiana, ben recitato e calzante.
Tra i dolorosi rinvii che hanno caratterizzato il 2021, era davvero difficile non inserire Horizon Forbidden West, ma ora che il titolo Guerrilla Games è finalmente giunto tra noi, riteniamo sia giusto festeggiare. Se è vero che la nuova esclusiva PlayStation non è quel titolo perfetto che tutti si aspettavano/auguravano, è comunque palese come i passi avanti rispetto al predecessore siano palpabili e consistenti. Tutto appare ampliato e migliorato: sia che scelga di analizzare la componente narrativa ed il world building, che il gameplay vero e proprio, sarebbe davvero miope non sottolineare e premiare gli sforzi compiuti dal team. Una voglia di strafare che, però, rappresenta anche uno dei talloni d’Achille della produzione, dato che questa abbondanza di innovazioni ha finito per dare vita ad un insieme non sempre omogeneo ed amalgamato. Anche sul fronte tecnico si registra qualche veniale sbavatura (nulla che non sia risolvibile tramite i prossimi update), ma soprattutto su PS5 si avverte il peso dello sviluppo cross-gen, capace di tarpare in parte le ali ad un impatto scenografico comunque di assoluto spessore. Un titolo che, pur mostrando di ambire all’eccellenza, ha finito soltanto per sfiorarla, ma visto comunque il risultato complessivo, ci sono davvero pochissimi motivi per lamentarsi con estrema convinzione.