Recensione Hopiko
di: Simone CantiniSi può essere bastardi in una manciata di secondi? Riuscire a far incavolare senza pietà in un battito di ciglia? Ora non usciamocene, al solito, con la consueta cantilena che inizia con Dark e finisce con Souls, visto che la cattiveria, a ben guardare, riesce ad albergare anche al di fuori dei confini della produzione nipponica. E Hopiko è proprio qua a dimostrarlo.
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Malattie digitali
Forse non lo sapete, ma le nostre amate console funzionano non per bontà divina o grazie alla sapienza informatica di chissà quale genio. No, niente di tutto questo. In realtà a garantire il corretto funzionamento delle nostre amate scatolette non sono altro che delle minuscole creature che popolano laboriose i nostri plasticosi case. Almeno fin quando una serie di fastidiosi virus non decide di stabilirsi felicemente tra microchip e transistor, mandando in fumo il nostro divertimento digitale. Ed è a questo punto che le speranze non possono che riversarsi in lui, l’agile Hopiko che da il nome al titolo in questione. Spetterà a questo agile esserino, tra un salto, un lancio ed un’abbondante dose di imprecazioni, riportare l’ordine. Non prima di averci fatto perdere le staffe un numero spropositato di volte.
Semplice crudeltà
Riassumere il gameplay di Hopiko è quanto mai semplice: i vari stage, ognuno della risicata durata di una manciata di secondi, ci vedranno impegnati a saltare fino a colpire il nucleo centrale del virus. Per farlo potremo contare sulle doti acrobatiche del nostro agglomerato di pixel. Con gli analogici potremo indirizzarlo in una particolare direzione, mentre tramite uno dei grilletti gli faremo compiere un balzo in linea retta. Queste peculiari abilità serviranno per aggrapparsi alle sparute piattaforme, evitare gli ostacoli elettrici ed attivare degli interruttori simili a cannoni. I primi secondi di gioco potrebbero trarre facilmente in inganno, facendoci credere di essere al cospetto dell’ennesimo titolino facilino e amico dei bambini nutellosi, ma basta anche solo morire una volta per capire di essere al cospetto di un piccolo concentrato pura malvagità. Ognuno dei dieci mondi in cui è suddiviso ciascun livello, difatti, è a sua volta frammentato in cinque piccole porzioni collegate tra loro che occorre completare senza mai sbagliare, pena il dover ricominciare la sezione da capo. È vero che si tratta di ripetere solo pochi secondi di gioco, niente in confronto alle creative forme di denominazione deiforme causate dalle opere di Miyazaki-san, ma seppur in forma ridotta le sensazioni suscitate da Hopiko sono molto simili. Vuoi per la struttura intelligente, per quanto minimal, degli stage, vuoi per la voglia di far vedere chi comanda davvero, superare i vari agglomerati di stage ha un gusto tutto particolare, che non mancherà di soddisfare i gamer più incalliti. E se masochismo è il vostro secondo nome, perché non cimentarsi nelle modalità alternative che è possibile sbloccare, lanciandosi in folli corse all’interno dei livelli bonus, oppure cercando di completare tutti gli stage senza mai morire. In Hopiko l’unico limite all’autolesionismo è da ritrovare dentro la vostra anima contorta.
Tornare all’essenza
Come si dice in questi casi? Conta il gheimplei, non è vero? Bene, quindi freghiamocene della grafica sfacciatamente pixellosa, della soundtrack prepotentemente 8-bit e del minimalismo dei controlli. Tutto passa in secondo piano quando tra noi ed il successo si frappongono soltanto una manciata di click ben dosati. Evitate di dare giudizi semplicemente osservando od ascoltando (anche se al netto della sua voluta povertà le musiche sono fantastiche) e scegliete più saggiamente di provare con mano Hopiko: potreste ritrovarvi a trascorreci assieme molti più minuti di quanto avreste mai immaginato.
Cattivo, immediato, ipnotico. Hopiko è un brillante concentrato di crudele gameplay che potrebbe riservare ben più di una sorpresa a coloro che avranno l’ardire di concedergli una chance. Lontano dai riflettori ammalianti di una grafica fotorealistica e di una colonna sonora cristallina, la produzione Laser Dog spinge forte sul pedale del suo essere soltanto un validissimo gioco. E di questi tempi non mi pare una cosa da sottovalutare.