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Recensione Here They Lie

di: Simone Cantini

Prendete le suggestioni visive del David Lynch di turno e calatele in un contesto urbano che pare uscito da un bizzarro incrocio tra le atmosfere lovecraftiane, le architetture del Fritz Lang di Metropolis e gli incubi disturbanti che animano i video dei Tool: ecco, solo così avrete una vaga idea dell’idilliaco quadretto dipinto da Here They Lie, esperienza horror sviluppata in esclusiva per il PlayStation VR.

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Frammenti di un incubo

Sviluppato dal neonato team Tangentlemen, con il prezioso e oramai consueto aiuto offerto dai ragazzi di Santa Monica Studio, Here They Lie non è altro che un walking simulator che ci catapulterà all’interno di un contorto e malato viaggio che vedrà Danny, un uomo in cerca della sua ex fidanzata Dana, vagare per le contorte architetture di una città da incubo. Tra fatiscenti edifici, vicoli abitati da demoniache presenze, bordelli e teatri in cui si aggirano animalesche figure, Danny si ritroverà coinvolto in un viaggio allucinato ed allucinante, le cui atmosfere richiamano alla mente la tragica storia di quei James e Mary Sunderland che abbiamo imparato ad amare e comprendere nell’indimenticato Silent Hill 2. Peccato che al titolo Tangentlemen manchi tutta la forza comunicativa ed espressiva del capolavoro della Konami che fu, soprattutto a causa dell’assenza di una leggibilità narrativa che ha finito per rendere il racconto quasi un mero esercizio di stile, figlio di un accostamento quasi casuale di elementi e situazioni sì convincenti, ma prive di una palese ed esplicita coerenza. I vari frammenti, le situazioni e gli ambienti in cui si troverà a muoversi Danny, difatti, sembrano dati in pasto al giocatore solo come se volessero semplicemente mostrargli la maestria del team nel creare situazioni disturbanti. Ben venga la cripticità della scrittura, coadiuvata anche da dialoghi a senso unico e testi deliranti recuperabili nei vari anfratti della città, ma solo se al suo iniziale e voluto effetto straniante venga comunque fornita, anche solo alla fine, una chiave di lettura. Elemento, questo, che dopo le circa quattro ore necessarie a giungere ad uno dei finali di questa passeggiata nell’incubo viene tristemente a mancare, finendo con il lasciare in bocca l’amara sensazione di aver vissuto un mero collage di situazioni prive di un apparente filo logico. E il sentimento è doppiamente accolto con dispiacere una volta che ci si rende conto di come questo orrore, per quanto più mentale che concreto, riesca comunque a fare presa sul nostro animo, lasciandoci andare ad una voglia di scoprirne ogni sfaccettatura passo dopo passo.

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Piccole note di colore

L’assenza di questa quadratura narrativa si rende più evidente e fastidiosa una volta rapportata al gameplay chiamato sorreggerne il peso, decisamente troppo limitato e basilare anche se parliamo di un semplice walking simulator. Camminare, nascondendoci in alcuni sporadici frangenti alla vista delle ferine presenze ostili, sarà l’unica azione che compiremo per tutta la durata dell’esperienza. Nessun enigma da risolvere né insormontabili pericoli da affrontare, ma solo un breve viaggio da percorrere quasi in scioltezza, curandosi unicamente di tenere sempre ben rifornita la scorta di batterie della nostra torcia (il cui uso sarà davvero limitato) ed eventualmente gli occhi aperti in cerca dei già citati testi opzionali. Nulla di più, nulla di meno. Il che non sarebbe neppure un male se la qualità complessiva raggiungesse le vette toccate in altre produzioni simili, ma al di là di un sano senso di angoscia ed inquietudine l’esperienza di Here They Lie sarà decisamente avara di stimoli ulteriori. Anche sul fronte tecnico i sussulti, almeno puramente estetici, saranno davvero rarefatti, principalmente a causa di un impatto visivo non certo esaltante, più vicino ad un DriveClub VR (di cui parlerò tra qualche giorno) che ad un Batman. Peccato, però, che non ci troveremo a sfrecciare rapidi tra vicoli e cunicoli, rendendo di fatto marginale la cornice in cui Danny si muoverà. Anzi, è proprio anche in virtù del suo ritmo decisamente lento e cadenzato che i limiti visivi di Here They Lie saltano prepotentemente all’occhio, seppur un minimo leniti da una direzione artistica davvero ispirata e da un audio che, complice il genere, svolge egregiamente il proprio dovere. Privo di colore, fatta eccezione per alcuni piccoli elementi, il quadro color seppia proposto dai ragazzi di Tangetlemen è risultato davvero coinvolgente, pur al netto della sue pochezze tecniche.

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Here They Lie riflette in pieno la giovinezza del suo team di sviluppo, presentandoci un’idea dalle premesse quanto mai azzeccate ed in grado di fare la differenza grazie all’immersività garantita dalla VR, ma che ha finito per collassare sotto il peso di una pochezza ludica e di una narrativa sin troppo criptica. Il lavoro Tangentlemen, pur al netto di un prezzo davvero contenuto, ha tutto l’aspetto di un’occasione mancata: per l’orrore, quello vero, per il momento conviene aspettare il prossimo gennaio.