Recensione Hellblade: Senua’s Sacrifice
di: Simone CantiniSi può dire tutto dei ragazzi di Ninja Theory, ma non certo che gli manchi il coraggio. Già, perché con un curriculum interamente votato al genere action, pur tra alti e bassi di critica (spesso ingiustificati) era davvero difficile ipotizzare la genesi di un titolo come Hellblade: Senua’s Sacrifice, in cui la frenesia dei combattimenti cede il posto ad un’avventura dai toni più compassati, fortemente incentrata sull’aspetto narrativo. Tutto sta nel capire se la scelta sia stata davvero coraggiosa, o forse semplicemente avventata.
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Wind up toy
Grazie ai numerosi diari di sviluppo diffusi nel corso di questi anni dal team è stato possibile farsi un’idea sommaria delle caratteristiche di Hellblade: Senua’s Sacrifice, ciò nonostante il senso di spiazzamento che mi ha pervaso una volta iniziata questa reinterpretazione al femminile del mito di Orfeo ed Euridice è stato molto forte. A partire dalla messa in scena generale, capace di rappresentare con una violenza visiva feroce e brutale la psicosi che devasta la mente della nostra Senua. Il suo viaggio negli inferi, unica possibilità per riportare in vita l’amato Dillion, coincide con la discesa negli abissi più reconditi della sua psiche tormentata, in cui voci incessanti e distorsioni visive sono le uniche e sadiche compagne di viaggio. Il quadro tratteggiato dal team capitanato da Tameem Antoniades, grazie anche alla consulenza di esperti psichiatri e pazienti afflitti da simili disturbi, rappresenta una delle esperienze più affascinanti e potenti vissute in questa generazione. Mix folle in cui è sempre difficoltoso distinguere la realtà dalle allucinazioni create dalla mente di Senua, reso ancora più credibile ed empaticamente coinvolgente dalla straordinaria prestazione attoriale di Melina Juergens, calatasi realmente per caso nei panni dell’eroina ma capace di donarle uno spessore umano di primissimo livello. Ovviamente tutta questa abbondanza stilistica finirebbe per perdere in un battito di ciglia tutta la sua importanza se non fosse accompagnato da una scrittura di pari caratura, ma è alquanto ovvio come il lavoro di creazione svolto da Ninja Theory non si sia concesso il lusso di sbagliare anche questo importantissimo tassello. Le vicende che ci accompagnano sino ai titoli di coda vantano, difatti, una cura elevatissima, in grado di calare ancor più il giocatore nell’inferno interiore di Senua.
Giocare con la mente
Già, il giocatore, figura che alla luce delle polemiche apparse in rete nei giorni immediatamente successivi alla release di Hellblade: Sena’s Sacrifice sembra essere stata messa in secondo piano dal team inglese. Effettivamente se paragonato ai titoli precedenti dello studio, il suo ruolo appare alquanto sacrificato, ma osservando più nel dettaglio la struttura dell’avventura di Senua questo apparente declassamento trova comunque una sua giustificazione. Sì, perché è palese come in questo caso le velleità di Anoniades e soci fossero quelle, principalmente, di narrare una storia e per farlo è stata scelta una strada alquanto bizzarra, in cui elementi puzzle, action e momenti presi di peso dai walking simulator si fondono in maniera non sempre omogenea. Le circa 7 ore necessarie a completare l’avventura, difatti, sono caratterizzati da alcune evidenti sfasature nel ritmo, concentrate principalmente all’interno di uno dei due percorsi iniziali, ovvero quello legato a Surtr. La situazione si risolleva in maniera marcata nei restanti due tronconi, con la parte terminale dell’avventura capace di stagliarsi in maniera evidente per qualità costruttiva generale: arrivati finalmente ad Helheim si assiste ad un’innalzamento dell’amalgama generale, con enigmi, combattimenti e digressioni narraticve distribuite in maniera più equilibrata e convincente, al punto che sorge spontaneo chiedersi come sarebbe potuto essere Hellblade: Senua’s Sacrifice se tutta l’esperienza avesse potuto contare su di una simile qualità. Se sul versante puramente narrativo una simile escalation può comunque trovare una sua giustificazione, bisogna pur sempre ricordarsi che stiamo parlando di un videogioco e che l’interazione con il giocatore resta uno dei punti cardine del medium. Analizzando più nel dettaglio le meccaniche ludiche, queste ruotano principalmente attorno alla risoluzione di alcuni enigmi ambientali basati sulla prospettiva, in una maniera che ricorda alcuni momenti di The Witness e Echocrome: in pratica dovremo ritrovare all’interno dell’ambiente la forma delle rune utili a sbloccare i vari passaggi, oppure ricostruire fisicamente frammenti dello scenario, una sorta di simbolismo che richiama il tentativo di Senua di fare ordine all’interno della sua mente fiaccata dalla psicosi. Per quanto concerne i combattimenti questi si presentano in forma decisamente semplificata se rapportati agli standard di Ninja Theory, con pochi comandi da assimilare e con un flow che richiama in parte Assassin’s Creed, ed in cui il tempismo nel concatenare attacchi, schivate e parate sarà fondamentale. Seppur volutamente blandi all’inizio, questi si faranno sempre più ostici man mano che avanzeremo, finendo per risultare ben più interessanti durante gli scontri con i boss. In alcuni frangenti, inoltre, sarà fondamentale utilizzare il focus di cui Senua è dotata, capace di attivare una sorta di bullet time utile per rendere visibili alcuni avversari, oppure rallentarne altri. Appare comunque ovvio come chiunque cerchi un action puro farebbe bene a rivolgere le proprie attenzioni altrove.
Ambizioni rispettate
A dispetto delle ridotte dimensioni del gruppo di lavoro, Hellblade: Senua’s Sacrifice non sembra patire affatto una simile ristrettezza sul lato puramente tecnico. La resa visiva, che si appoggia sull’Unreal Engine 4, è decisamente convincente e solida ed ha nella realizzazione di Senua una delle nuove vette della recitazione digitale. Questo comunque non stupisce, dato che Ninja Theory è sempre stata all’avanguardia per quanto concerne le tecnologie di motion capture. Pur al netto di qualche lieve sbavatura per quanto concerne alcune texture, la resa complessiva riesce tranquillamente a rivaleggiare con produzioni che possono vantare risorse umane e monetarie ben più ingenti. Punta di diamante, però, è il comparto audio 3D binaurale che se affiancato ad un home theater, o meglio ancora ad un ottimo paio di cuffie, contribuisce a rendere ancor più palpabile il tormento interiore della protagonista: voci che si accavallano in più direzioni, sussurri, grida ed un accompagnamento sonoro mai invasivo sono capaci di rendere estremamente tangibile l’incubo di Senua. Peccato per i sottotitoli in italiano che non sempre sono sincronizzati con la recitazione in lingua originale, elemento che affievolisce in alcuni punti il pathos delle varie vicende.
Attesa ripagata
Far aspettare tutti questi mesi i possessori di Xbox One, senza avere nulla in cambio, sarebbe stato davvero scortese da parte dei ragazzi di Ninja Theory. Ed ecco, quindi, che per i possessori della console Microsoft il team britannico ha visto bene di riservare alcune opzioni grafiche proprietarie, calibrate per sfruttare pienamente le potenzialità aggiuntive offerte dalla macchina. Gli utenti potranno quindi scegliere tra tre differenti settaggi, richiamabili ed alternabili in qualsiasi momento attraverso il menu di pausa: si potrà optare per giocare il tutto nello splendore dei 4K, a 30 frame al secondo, altrimenti potremo scegliere di far girare Hellblade: Senua’s Sacrifice al doppio dei frame, sacrificando però la risoluzione a 1080p; come ultima possibilità avremo, invece, quella di beneficiare di una soluzione mista, che garantirà una risoluzione di poco inferiore all’Ultra HD, in cambio però di un’effettistica generale migliorata. Ovviamente, qualunque sia la scelta, sarà possibile sfruttare il tutto in abbinamento con l’HDR.
Hellblade: Senua’s Sacrifce è un titolo non semplice da gestire, di sicuro non proprio un’esperienza adatta a tutti i palati. Chi si aspettava il classico action targato Ninja Theory, difatti, non potrà essere soddisfatto, così come cerca un’avventura in perfetto stile walking simulator potrebbe rimanere infastidito dai vari combattimenti. Consigliarlo apertamente ad una determinata schiera di player è decisamente ostico, complice anche un incedere che presta il fianco a qualche critica in fatto di ritmo. Viene però parimenti difficile non premiare il coraggio di presentare la psicosi in una maniera tanto originale quanto visivamente potente, per di più sfruttando un modello di business decisamente inusuale per il mondo del gaming che, per una volta, viene davvero incontro alle tasche dei giocatori, pur non rinunciando minimamente a proporre un’esperienza tripla A. L’unico consiglio che posso darvi, ora che sono giunto alla fine della storia di Senua, è quello di chiedervi se siete disposti a correre questo rischio, consapevoli di come la volontà di narrare sia in questo caso superiore a quella di intrattenere i vostri polpastrelli. Domanda non banale, certo, come è comunque non banale la maniera in cui Senua vi accompagnerà all’interno della sua mente in frantumi.