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Recensione Gylt

di: Luca Saati

C’era una volta Google Stadia e le sue esclusive. Con la chiusura della piattaforma cloud di Google, quelle poche esclusive hanno rischiato di finire nel dimenticatoio, ma per fortuna gli sviluppatori sembrano aver avuto la possibilità di riprendere le loro creazioni e pubblicarle su altre piattaforme così da permettere a un nuovo pubblico di goderne. Gylt è uno di questi casi che recentemente è approdato su console.

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Back to School

Dopo aver dato vita al poetico Rime, i ragazzi di Tequila Works hanno voluto dare con Gylt la loro visione di horror. Una visione che ci mostra un horror per un pubblico più giovane piuttosto che un pubblico fatto da chi mangia pane e Resident Evil (tanto per citare una serie horror che va per la maggiore).

Protagonista della vicenda è Sally, una bambina che è alla disperata ricerca di Emily, la sua cuginetta ormai scomparsa da settimane. I primi momenti vedono Sally appendere i manifesti di Emily per tutta la citta fin quando un giorno, nel tentativo di scappare dai bulli, si ritrova inspiegabilmente in una dimensione alternativa infestata dai mostri. Qui Sally vede la sagoma di sua cugina all’interno della scuola e inizia la sua missione di ricongiungersi a lei e scappare da questo sottosopra di strangerthingsiana memoria.

Il problema di Gylt è che risulta sin dai primi momenti molto scontato e prevedibile a livello narrativo. L’opera di Tequila Works tocca una tematica delicata come quella del bullismo, ma sin dai primissimi secondi appare chiarissimo come si svolgerà il racconto nelle restanti 5/6 ore per arrivare ai titoli di codatutto e non ci prova neanche minimamente a intraprendere una strada diversa da quella tracciata. Neppure i tre finali differenti, che cambiano in base all’unica scelta morale da effettuare alla fine, possono salvare la situazione rendendo quindi Gylt un prodotto pensato solo per un pubblico di giovani. La forza e la poetica di Rime, precedente videogioco dello studio di sviluppo spagnolo, sono un lontanissimo ricordo.

L’Alan Wake dei giovani

Una scontatezza che ritroviamo anche sul lato del gameplay in Gylt. Per farvela breve vi basti sapere che ci troviamo dinanzi a un’avventura stealth in terza persona in cui nei panni di Sally dobbiamo esplorare l’ambiente e eventualmente nasconderci dai mostri poiché indifesi. L’esplorazione ambientale è ovviamente l’elemento fondamentale dell’esperienza di gioco per poter avanzare e risolvere i semplici e immediati puzzle ambientali. Ovviamente esplorando a fondo gli ambienti troverete anche i classici collezionabili che svelano alcuni retroscena sulla storia o consentono di raccogliere dei speciali biglietti che si rivelano fondamentali per sbloccare uno dei tre finali sopracitati.

Le sequenze stealth sono molto tradizionali e vedono la protagonista sfruttare lo scenario per aggirare le mostruosità o creare un diversivo per distrarle lanciando ad esempio una lattina. L’intelligenza artificiale e il cono visivo delle creature a dirla tutta non fanno molto per aggiungere quella giusta tensione che si addice a un horror. E poi a un certo punto si entra in possesso di una torcia che non fa altro che semplificare ulteriormente questi momenti poiché Sally, come la figlia illeggittima di Alan Wake, è in grado di sfruttare la luce per colpire i punti deboli delle creature e così distruggerle a patto di avere sufficiente batteria. E se proprio ci tenete a non farvi scoprire, vi è sempre possibile sgattaoilare alle spalle dei mostri e colpirli con un fascio di luce a distanza ravvicinata per eliminarli a patto di sacrificare un terzo della batteria (mediamente con una batteria carica si eliminano tre nemici in stealth). L’idea è anche carina e nella sua semplicità funziona anche, il problema è che di batterie se ne trovano a iosa nello scenario eliminando innanzitutto qualsiasi componente survival nel risparmiarle per sfruttarle nei momenti di maggiore bisogno, e soprattutto non c’è un vero vantaggio nello sfruttare l’attacco stealth dato che consuma più batteria di quanta se ne consuma attaccando normalmente un nemico. Qualcuno potrebbe dire, giustamente, che però così non scatta l’allarme e non si viene attaccati da tutti i nemici, ma il numero esiguo di minacce e il livello di sfida tarato verso il basso spingono più a procedere a testa bassa piuttosto che in maniera furtiva. Da metà gioco in poi si sblocca un’altra arma che semplifica ulteriormente questi momenti.

Il momento migliore del gioco è rappresentato da una manciata di boss fight che, pur nella loro classicità, restituiscono quel minimo di tensione necessario per un horror. E poi c’è il discorso del comparto tecnico che non si può di certo dire sfrutti al massimo le console di attuale generazione, anzi, ma la sua semplicità ben si adatta al contesto videoludico proposto da Tequila Works tratteggiando un’ambientazione sufficientemente variegata che va ben oltre le semplici mura scolastiche. Musiche e doppiaggio in italiano sono nella norma.

Commento finale

Gylt è quel classico gioco appena sufficiente che prende di peso elementi dei classici dell’horror e li trasporta in un’opera che punta a un pubblico di giovanissimi, quasi a voler essere un entry level del genere horror. Il problema è che tutto ciò che fa è molto basilare e derivativo a partire dalla trama fino a un gameplay spogliato di qualsiasi elemento survival e di quella tensione classica del genere. Un’occasione sprecata, specie considerando che i ragazzi di Tequila Works qualche anno fa ci deliziavano tutti con il poetico Rime, era lecito aspettarsi qualcosa in più.