Recensione Gears of War Ultimate Edition
Se oggi ci troviamo in una fase storica in cui il mercato di massa è dominato dalle console Microsoft e Sony, almeno per quanto riguarda quelle domestiche, la ragione va cercata probabilmente nei dodici mesi che seguirono il lancio della Xbox 360, nel novembre del 2006. La Microsoft arrivava dall'esperienza della prima Xbox e doveva sfruttare il ritardo della concorrenza per convincere gli appassionati, non solo grazie alla potenza della nuova console in alta definizione ma soprattutto grazie a titoli rivoluzionari, sia dal punto di vista tecnico che da quello del gameplay. Quel titolo fu senza dubbio Gears of War, uno sparatutto in terza persona sviluppato da Epic Games sotto la direzione di Cliff Bleszinsky e Rod Fergusson: fu subito chiaro che Gears segnava il punto del non ritorno, un parametro di riferimento per tutto quello che sarebbe venuto dopo. A quasi nove anni di distanza ci ritroviamo nuovamente nel pianeta Sera con la squadra Delta, questa volta sulla Xbox One, grazie a Gears of War Ultimate Edition, il cui sviluppo è stato affidato a The Coalition, studio interno a Microsoft capitanato dal buon Rod Fergusson.
di: Giovanni MancaSe oggi ci troviamo in una fase storica in cui il mercato di massa è dominato dalle console Microsoft e Sony, almeno per quanto riguarda quelle domestiche, la ragione va cercata probabilmente nei dodici mesi che seguirono il lancio della Xbox 360, nel novembre del 2006. La Microsoft arrivava dall’esperienza della prima Xbox e doveva sfruttare il ritardo della concorrenza per convincere gli appassionati, non solo grazie alla potenza della nuova console in alta definizione ma soprattutto grazie a titoli rivoluzionari, sia dal punto di vista tecnico che da quello del gameplay. Quel titolo fu senza dubbio Gears of War, uno sparatutto in terza persona sviluppato da Epic Games sotto la direzione di Cliff Bleszinsky e Rod Fergusson: fu subito chiaro che Gears segnava il punto del non ritorno, un parametro di riferimento per tutto quello che sarebbe venuto dopo. A quasi nove anni di distanza ci ritroviamo nuovamente nel pianeta Sera con la squadra Delta, questa volta sulla Xbox One, grazie a Gears of War Ultimate Edition, il cui sviluppo è stato affidato a The Coalition, studio interno a Microsoft capitanato dal buon Rod Fergusson.
Ritorno a Sera
Anche se parliamo di un titolo appartenente alla categoria sempre più folta dei “remastered”, nonostante tutte le precisazioni che andremo a fare, è opportuno fare qualche breve cenno alla trama che fa da canovaccio alla moltitudine di squartamenti. Non siamo certamente davanti a chissà quale virtuosismo letterario, anzi, la narrazione del primo Gears lasciava aperti parecchi buchi e non riusciva caratterizzare al meglio alcuni protagonisti, come succede invece nei capitoli successivi. Ci troviamo nel pianeta Sera, una colonia sconvolta da una guerra civile, la Pendulum Wars, scatenata da fazioni rivali per conquistare le risorse della materia energetica più importante, l’imulsion; il peggio deve però arrivare, dal sottosuolo emerge una razza aliena, le Locuste, il cui unico obiettivo è eliminare la razza umana e prendere controllo del pianeta. Nel giorno della Emersione gran parte della razza umana viene sterminata e la salvezza è legata all’intervento dei COG (Coalition of Ordered Governments), un partito politico armato nato prima delle Pendulum. Il protagonista delle nostre vicende è un soldato COG, Marcus Fenix, condannato a 40 di detenzione per insubordinazione ma la cui abilità ed esperienza in battaglia sono troppo importanti per farlo marcire in cella. Fenix è un tizio bello grosso, così come i suoi compagni di viaggio, Dom, Cole e Baird, ma l’ipertrofia muscolare è una scelta di stile che caratterizza Gears, non c’è spazio per i mingherlini e i pochi che ci sono fanno ben presto brutta fine. Per assaporare al meglio l’essenza del gioco, l’avventura va affrontata ad un livello di difficoltà avanzato, non è lunghissima anche se questa riedizione propone missioni extra e la famosa sfida con il Brumak, in passato riservata alla versione PC- Windows.
Coprirsi fa bene, sparare ancora di più
Non è certo per la trama che Gears ha avuto così tanto successo ma per un sistema di gioco estremamente coinvolgente e, all’epoca, rivoluzionario: se a distanza di tutto questo tempo, rappresenta ancora un titolo con i quale qualsiasi sparatutto in terza persona deve confrontarsi e ci sono intere comunità che giocano online ogni giorno, non può certamente essere un caso. Gears of War appartiene appunto alla categoria dei TPS, anche se l’inquadratura molto ravvicinata, praticamente da sopra la spalla con zoomate in fase di fuoco aveva fatto pensare alla così detta “seconda persona”; a parte a definizione del genere, che lascia come sempre il tempo che trova, gli elementi che contraddistinsero Gears furono la diversificazione degli attacchi (a lunga distanza, media e breve) e soprattutto il sistema di copertura: se ci si muove per l’ambientazione senza aver studiato bene le possibili zone di riparo e comunque senza avere i riflessi pronti per “nascondersi”, si diventa carne macellata. Frenetico ma al punto giusto, molto meno dei capitoli successivi, è necessario imparare ben presto a spostarsi da una copertura all’altra, sfruttare la scenografia e usare sempre le armi che, qui, meglio si adattano; fucile da cecchino, arco, boomshot sono davvero devastanti ma trovarsele in mano davanti ad una locusta in degli spazi stretti, è morte certa. Meglio dunque un bel fucile a pompa o un’arma d’assalto come il Lancer, dotato anche di una bella sega circolare il cui effetto sulla carne nemica rimane sempre un bel godimento. Il feeling è rimasto sempre lo stesso, coinvolgente, adrenalinico, il sistema di controllo è praticamente perfetto anche se ancora è possibile rilevare qualche imprecisione, soprattutto quando si spara in copertura, zoomando, il bersaglio sembra libero, inquadrato dal mirino, mentre in realtà è coperto. L’intelligenza artificiale della squadra Delta in fase di attacco è ancora molto lacunosa, e soprattutto a livello di difficoltà avanzato i COG compagni sono utili solo come bersagli per tenere impegnate le locuste: il fido compagno Dominic Santiago è di uno scarso unico, cade nei momenti meno opportuni e risulta più un intralcio che un aiuto. Anche da questo punto di vista l’esperienza di gioco non è cambiata, non sappiamo se per scelta o meno, ma aspettarsi qualcosa in più era comunque lecito. Abbiamo detto quanto la IA dei propri compagni lasci parecchio a desiderare ma quella dei nemici non è da meno, i pattern di attacco sono di facile lettura e se si ha pazienza nella tattica copertura-fuoco-avanzamento-copertura terminare il gioco ai livelli più avanzati di difficoltà non è una faccenda per soli esperti, anzi. Almeno per quanto riguarda la modalità single player, è proprio sotto quest’aspetto che Gears sente inesorabilmente il peso degli anni.
Ritorno alle origini
Con tutti i difetti che si portava dietro (matchmaking imbarazzante, mancanza si server dedicati, host power tra i più famigerati) Gear of War rappresentò comunque un vero fenomeno multiplayer tanto che anche dopo l’uscita dei due capitoli successivi in molti preferivano ancora le meccaniche più crude e rozze del capostipite. La Ultimate Edition ci riporta indietro nel tempo almeno per quanto riguarda il feeling e le meccaniche ma per tutto il resto è quasi un gioco nuovo; è possibile giocare la campagna in co-op, sia in locale che online, ma solo in due giocatori, ospitare partite in locale sia a schermo condiviso che in rete. Nei match non classificati sono previste tre modalità di gioco (deathmatch a squadre, re della collina e zona di guerra) mentre in quelle classificate si aggiungono esecuzione, blitz, assassinio e esecuzione gnasher 2 vs 2. Fisso, in basso allo schermo, viene indicata la latenza con i vari server. Diciannove mappe storiche ridisegnate sono un piacere per gli occhi ma il vero fiore all’occhiello sono i 60 fps che fanno davvero tutta la differenza del mondo, riuscendo a regalare sensazioni di gioco inedite almeno per i fan della saga e fanno ancor più pensare alle differenze con la campagna, almeno da questo punto di vista. Senza dubbio, il comparto online è il fiore all’occhiello di questa produzione e, per chi è rimasto legato alle dinamiche di gioco di Gears, basta e avanza per ributtarsi in mischia.
Ultimate Engine
Due sono gli aspetti su cui comunque si sono focalizzate tutte le attese, il comparto online e la realizzazione tecnica. Per GOW Ultimate Edition, The Coalition non si è limitata a migliorare le texture originali adattandole alla potenza della Xbox One, ma ha deciso di sfruttare le possibilità offerte dal Unreal Engine 4 riscrivendo gran parte del gioco, dalle scenografie alle animazioni dei protagonisti, e facendo delle scelte sulle palette cromatiche che si discostano in modo abbastanza evidente rispetto all’originale. Il risultato è davvero notevole, sotto tutti gli aspetti della realizzazione grafica, tanto che spesso ci è capitato di non riconoscere molte ambientazioni; le animazioni sono più fluide e credibili, niente sembra lasciato al caso, anche nei primi piani è possibile capire l’umore di Fenix e compagni grazie alle loro espressioni. Dal punto di vista della “ricostruzione” e del dettaglio generale non possiamo che essere soddisfatti ma purtroppo non è tutto oro quel che luccica e la produzione di The Coalition mostra tutte le sue debolezze in uno degli aspetti che più aveva attirato l’interesse degli appassionati: il framerate. I famigerati 60 fotogrammi al secondo sono riservati esclusivamente alla modalità multiplayer dal momento che per la campagna è stato deciso di bloccarli a 30; se già questo delude parecchio figuriamo quando nella fasi più concitate (come usando la troika) il calo dei fotogrammi è evidente fino addirittura stopparsi per frazioni di secondo. Dobbiamo sperare che i problemi vengano risolti dai prossimi aggiornamenti.
Richiamo ai COG?
La domanda ovvia dietro a produzioni di questo tipo non può che essere: si tratta solo di un’operazione per vecchi nostalgici o c’è qualche valido motivo in più per riarmasi di lancer e gnasher? La verità, come spesso accade, sta nel mezzo: certamente chi ha speso ore e ore del proprio tempo libero sui vari Gears of War, in particolare sul primo capitolo, e apprezza ancora quel tipo di meccaniche, può benissimo andare ad occhi chiusi. Tutti gli altri si trovano davanti un “pacchetto” che propone una campagna single player divertente ma invecchiata nelle sue dinamiche e un comparto multiplayer che, piaccia o non piaccia, continua per molti versi ad essere un parametro di riferimento nel genere degli shooter in terza persona. Non averlo mai provato, per un appassionato di videogiochi, è un delitto.
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Gears, bello rozzo come una volta
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Gameplay ancora divertente
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Ricca modalità multiplayer a 60 fotogrammi al secondo
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Notevole restyling grafico a 1080p
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Valanga di extra
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IA a tratti ridicola
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Le dinamiche della campagna soffrono di scarsa varietà
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Problemi di rallentamenti nelle fasi più affollate
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30 fotogrammi della campagna sono una delusione