Recensione Foul Play
di: Luca SaatiC’era un tempo in cui il teatro era uno dei massimi esponenti dell’intrattenimento. Al giorno d’oggi tra il cinema e la TV probabilmente il teatro ha perso un po’ tutte quelle attenzioni che aveva in precedenza ma, ammettiamolo, ha sempre il suo fascino. Un fascino che possiede anche in ambito videoludico, basti pensare a quella piccola perla di Puppeteer uscito su PS3. Mediatonic prende il mondo teatrale, così poco utilizzato nei videogiochi, cercando di far notare Foul Play tra la massa di indie che hanno invaso gli store digitali delle nostre console. Operazione riuscita?
Si cala il sipario
Come dicevamo un attimo fa, Foul Play è strutturato come se fosse una messinscena teatrale. Il protagonista e narratore della vicenda è il demonologo Barone Dashfort accompagnato dal suo collaboratore Scampwick. I due vivranno una serie di avventure collegate tra loro da un unico filo conduttore in cui affronteranno demoni e altre strane creature. La storia è composa da poco più di venti livelli suddivisi in cinque recite che vi terranno impegnati per una manciata di ore.
La particolarità di Foul Play, come dicevamo, è la sua struttura. Essendo ambientato in un teatro nell’avanzare di un livello vedremo la scenografia cambiare dinanzi i nostri occhi con tanto di corde e contrappesi ben in vista e comparse che interpretano nemici indossando vestiti rattoppati che tra l’altro vediamo sgattaiolare via una volta sconfitti. L’effetto è davvero piacevole e riesce a strappare un sorriso al giocatore visto che Foul Play non si lascia prendere troppo sul serio ma anzi cerca sempre di mantenere un tono leggero e ironico.
Dal punto di vista del gameplay ci troviamo dinanzi un classico picchiaduro a scorrimento in cui affrontare grandi gruppi di nemici, mini-boss e boss alla fine di ogni livello. Il pubblico svolge un ruolo fondamentale nell’economia del gioco. Non esiste infatti una barra della vita per i nostri protagonisti sostituita da una barra che indica il gradimento del pubblico. Più colpi subiamo e più il pubblico non apprezzerà lo spettacolo arrivando al punto da costringere a calare il sipario e ricominciare dal checkpoint. Per far divertire il pubblico bisogna quindi realizzare combo sempre più lunghe e spettacolari, ad esempio completando una scena senza subire neanche un colpo ci permette di ottenere consensi con gli spettatori in sala che applaudono le nostre gesta. Alla fine di ogni livello otteniamo un punteggio che va da una a cinque stelle che indica il gradimento del pubblico. Troviamo inoltre una serie di sfide da completare che talvolta ci vengono richieste proprio dagli spettatori che interagiscono con il nostro protagonista.
Questo sistema è molto piacevole e aiuta Foul Play a differenziarsi quel tanto che basta dai numerosi picchiaduro a scorrimento. Il problema del gioco è la sua eccessiva ripetitività e semplicità. Nei primi livelli sblocchiamo una serie di combo ma alla fine ci troviamo ad utilizzare sempre le solite due o tre in quanto più efficaci per ottenere le agognate cinque stelle. I nemici poi seguono sempre gli stessi pattern di attacco e inoltre sono sempre facilmente contrattaccabili. Ogni volta che stiamo per subire un attacco infatti compare sulla testa dell’avversario di turno un indicatore che ci permette di contrattaccare il colpo con la pressione di un tasto e inveire sul malcapitato. E questo vale sia per i nemici normali che per quelli più grossi. Insomma alla fine della fiera ci si ritrova ad affidarsi a del sano button mashing visto che gli avversari non richiedono particolari tecniche per poter essere eliminati. Dopo poco il gioco rischia di venire a noia, per fortuna che il gioco si riesce a completare in una manciata di ore. Ripetitività ed eccessiva semplicità che colpisce anche il fattore rigiocabilità visto che ottenere le cinque stelle non è poi un’impresa così ardua lasciando al giocatore poca voglia di rigiocare alcuni livelli per ottenere un punteggio più alto.
Tecnicamente Foul Play risulta molto colorato e piacevole da vedere. Artisticamente gli sviluppatori hanno svolto un buon lavoro riuscendo a prendere l’essenza del teatro. Le scenografie dinamiche che cambiano mentre avanziamo nei livelli sono ben realizzare e adatte al contesto delle cinque differenti recite. Buon lavoro svolto anche dal punto di vista sonoro con il pubblico che applaude o inveisce contro di noi e una colonna sonora azzeccata.
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Foul Play risulta in parte un’occasione sprecata. Durante i primi livelli credevamo di trovarci dinanzi a una piccola perla dello sviluppo indipendente ma purtroppo non è così. Abbiamo amato l’idea di essere protagonisti di una messinscena teatrale e l’ironia con la quale il gioco non si lascia prendere troppo sul serio. Davvero un peccato quindi che un livello di difficoltà troppo permissivo e una poca varietà non fanno di Foul Play un piccolo capolavoro.
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Concept di gioco originale
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Gameplay semplice e divertente…
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… ma che si esaurisce dopo poche ore a causa di una scarsa varietà
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Livello di sfida troppo basso