Recensioni

Fist of the North Star: Lost Paradise

di: Simone Cantini

Negli anni di militanza nel Tribe ne ho scritte davvero un sacco di recensioni, finendo con il parlare di titoli bellissimi, pessimi, di cui non sapevo niente, oppure di cui sapevo talmente tanto da non lasciare spazio a soprese una volta avviata la partita. Le lettere hanno raccontato dei generi più disparati, alcuni a me congeniali, altri decisamente meno affini ai miei gusti, così come centinaia di personaggi sono passati sotto la mia personale lente indagatoria. Eppure, mai come nel caso di Fist of the North Star: Lost Paradise mi sono ritrovato in estrema difficoltà nell’inanellare le righe che seguono. Sì, perché per il sottoscritto il buon Kenshiro rappresenta una sorta di divinità suprema, il mio unico e solo mito pre adolescenziale (ma anche abbondantemente post, diciamolo), una figura iconica che sin dalla sua prima comparsa sulla più scrausa delle reti locali, finì per stregarmi a colpi di uattà. Pur dicendo ciò non potete che avere una pallida idea della riverenza con cui mi sono avvicinato al titolo SEGA, che tanto per rincarare la dose è stato sviluppato da quei mascalzoni responsabili di una delle mie saghe videoludiche preferite di sempre, quel Yakuza che tante gioie ha saputo regalarmi nel corso degli anni. Insomma, mi sarei sentito più a mio agio ad essere ricevuto nudo dal Papa, accerchiato da una fitta schiera di paparazzi.

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Siamo alla fine del ventesimo secolo…

Spin-off, omaggio, divagazione, stravolgimento: fate un po’ come vi pare, visto che la storia che fa da sfondo a Fist of the North Star: Lost Paradise non fa altro che prendere e rimescolare alcuni elementi della narrazione originale di Hokuto no Ken, solo per modellarli attorno ad un plot originale alla cui base c’è un abbondante dose del più spudorato fan service. E trattandosi di un titolo ispirato ad un manga/anime di successo non c’è neppure da stupirsi. Il tutto prende il via dal duello del maestro di Hokuto con Shin, la nemesi di Nanto responsabile del rapimento dell’amata Julia (non vogliatemene, ma Yuria non riesco proprio a digerirlo come nome, anche se corretto e quanto altro), in quello che è a tutti gli effetti il tutorial della produzione. Terminata questa breve sessione ci spostiamo ai margini di Eden, lussureggiante cittadina che sembra non aver subito gli effetti del disastro nucleare che ha distrutto il mondo: è qua che sembra aver trovato rifugio l’amata di Kenshiro, sottratta a Shin poco prima dello scontro fatale. Entrare in città, però, non sarà facile, in quanto la sua regnante Xsana ha stabilito che le porte non siano aperte a chiunque, il tutto per preservare la ricchezza dell’agglomerato urbano. L’amore, però, è più forte di ogni restrizione e, dopo essere stato arrestato da Jagre, il capo della guardia locale, Kenshiro si ritroverà a combattere nell’arena di Eden, il tutto per poter ottenere il rango di cittadino. Fist of the North Star: Lost Paradise ci mette invero un po’ a carburare, come vuole la tradizione delle produzioni del Team Yakuza, ma anche dopo essersi aperto non raggiungerà mai le vette della saga partorita da Nagoshi-san, limitandosi ad un compitino utile soltanto a mettere sulla scena personaggi noti ed inediti, sorretta unicamente dal carisma dell’eroe tratteggiato da Buronson e Tetsuo Hara. Ciò nonostante, ho apprezzato la volontà di non riproporre per l’ennesima volta un canovaccio già letto, visto e giocato in altre produzioni e che, dopo la cocente delusione dei musou Koei, sono felice di essermi lasciato digitalmente alle spalle. La scelta operata dal team ha pertanto permesso di ampliare il raggio d’azione del titolo, non limitandosi ai consueti e fisiologicamente benvenuti combattimenti, ma arricchendo l’offerta di un cospicuo numero di attività collaterali più o meno attinenti all’universo postatomico della serie, il tutto in perfetto stile Yakuza. C’è chi apprezzerà questo dualismo (presente!), chi invece lo riterrà un’offesa allo spirito originale dell’opera, ma la cosa più importante è che pur se privato di questi arricchimenti (o impoverimenti, fate voi), Fist of the North Star: Lost Paradise rappresenta un titolo che qualunque fan di Hokuto no Ken dovrebbe quanto meno provare.

Ti faccio il colpo uattà

Essendo modellato attorno alle caratteristiche della saga del buon Kazuma Kiryu, Fist of the North Star: Lost Paradise ci vedrà principalmente intenti a girovagare per le strade di Eden, una sorta di dimessa Kamurocho in miniatura, al cui interno avremo accesso alle varie attività presenti nel titolo. La parte del leone, comunque, sarà rivestita dal combat system che, pur apparendo in prima battuta alquanto limitato, con il passare delle ore e con l’aumento del livello del nostro Kenshiro, ci srotolerà sotto i polpastrelli un sistema di mosse e combinazioni alquanti stratificato, capace di esaltare e tratteggiare in maniera estremamente fedele e divertente la devastante potenza dell’Hokuto Shinken. Il tutto si baserà generalmente sull’utilizzo di due attacchi (calcio e pugno), a cui poi si aggiungerà la pressione degli tsubo non appena avremo stordito a sufficienza il nemico di turno. Se saremo sufficientemente abili e veloci daremo quindi il via ad un quick time event, peculiare per ciascuna tecnica utilizzata, che culminerà nella più coreografica delle esplosioni. Tutto il sistema si basa su di una serie di upgrade, suddivisi in quattro distinte categorie, che tramite l’utilizzo di alcune sfere ci permetterà di aumentare forza, resistenza, sbloccare nuove mosse e combinazioni, oltre che ampliare la tipologia ed il numero di Talismani in nostro possesso. Questi sono la vera novità di Fist of the North Star: Lost Paradise rispetto a Yakuza, ed in pratica non sono altro che bonus temporanei, che potremo forgiare presso un apposito personaggio, una volta che avremo incontrato alcune delle figure più iconiche della serie. Ognuno sortirà effetti peculiari, permettendo di ampliare in modo intrigante il parco mosse del nostro Kenshiro, oltre ad andare a rappresentare una sorta di elemento collezionistico della produzione (li voglio tutti!). insomma, sebbene il feeling generale possa apparire almeno all’esterno come un reskin di quanto visto in Yakuza, pad alla mano la giocabilità muta notevolmente, rendendo estremamente fedeli allo spirito originale i vari scontri, capaci di esaltarsi come sempre in occasione dei combattimenti con i boss.

Tu sei già ubriaco!

Laddove Fist of the North Star: Lost Paradise evidenzia maggiormente il suo legame con Kiryu e compagni è, invece, nel set di attività che vanno ad arricchire l’incedere della campagna principale, capaci di mettere assieme un numero di divagazioni non tutte coerenti con l’atmosfera, ma che almeno personalmente mi sono ritrovato ad apprezzare, proprio come dicevo poche righe fa. Si passa dall’utilizzo di una buggy, tramite la quel potremo avventurarci nel deserto che circonda Eden, sia per cercare materiali utili alla creazioni di Talismani, sia per potenziare il nostro mezzo ed avere accesso a nuove aree (sia fondamentali che facoltative), o partecipare ad alcune gare. In questi giorni, avendo ricevuto la copia promo per il test al day one, ho letto molte critiche in merito a questa introduzione, ma una volta al volante confesso che mi sono divertito molto a scorrazzare per le Wasteland e a massacrare gli incauti predoni che osavano intralciare le mie ricerche. Certo, il sistema di guida è molto basilare e dopo aver goduto con Mad Max era lecito aspettarsi qualcosa di più da questo punto di vista, ma siamo comunque ampiamente entro i margini della sufficienza. Non mancano, inoltre, anche numerosi ricercati da uccidere, un batting center postatomico spassosissimo nella sua idiozia, un rhythm game in cui Ken dovrà curare a tempo di musica gli ammalati di Eden, un casino in cui sperperare denaro, un impiego part time come barman, che vedrà il nostro sfruttare l’Hokuto Shinken per creare gustosi cocktail, così come è presente l’oramai immancabile hostess club da gestire. Come dite, non c’entrano niente con Hokuto no Ken? Sì, avete ragione, ma essendo fondamentalmente facoltativi potete sempre far finta che non esistano, tanto le cose da fare più coerenti non mancano. Però non nego di aver trascorso molto tempo a cazzeggiare, sia per allentare la presa tra un massacro e l’altro, sia per accumulare denaro e sbloccare alcune side quest peculiari legate a ciascuna attività. A proposito di missioni secondarie, queste ultime presentano situazioni più affini allo stile talvolta surreale di Yakuza, ma non mancano anche momenti più crudi e cupi capaci di tratteggiare in pochi istanti la brutalità del mondo immaginato da Hara e Buronson. Comunque, se per voi Ken è sinonimo di sganassoni, non mancheranno i consueti incontri casuali in città, così come un’arena al cui interno potremo cimentarci in una serie di scontri dalla difficoltà crescente. La quantità di cose da fare e la loro varietà sono quindi estremamente garantite.

Un mondo in rovina

E veniamo, quindi, come di consueto a parlare anche del comparto tecnico di Fist of the North Star: Lost Paradise, che come forse già saprete è modellato attorno alla vecchia versione del Dragon Engine, pertanto non può beneficiare di tutte le raffinatezze viste in Yakuza 6 e nel Kiwami 2. Questo si traduce in una ricchezza complessiva della scena meno marcata, per quanto abilmente mascherata da un sapiente uso del cel-shading, che comunque non riesce a nascondere del tutto un quadro sicuramente inferiore alle ultime produzioni del team. Le stesse animazioni sono risultate in alcuni momenti alquanto grezze, così come non certo degna della fama del Team Yakuza è risultata essere la recitazione digitale, davvero scadente e legnosa durante gli intermezzi in-engine. Particolare il character design complessivo che, ispirandosi alle ultime tavole di Hara, non ha particolarmente incontrato il mio gusto personale (sono legato alle linee della prima parte del manga). Delude in parte il comparto sonoro, privo di uno qualunque dei temi originali dell’anime, ai quali si sono sostituiti dei brani originali non proprio indimenticabili, anche se devo dire che mentre scorrazzavo per le Wasteland non potevo fare a meno di sparare nello stereo della buggy Receive You. Pur essendo presente il doppio audio inglese/giapponese (al solito i sottotitoli sono solo nell’idioma della perfida Albione), il consiglio personale è quello di sfruttare il doppiaggio originale, che vanta la presenza del cast di Yakuza, con il solito ed ineccepibile Takaya Furoda ad impersonare Kenshiro (certo, Akira Kamiya era un’altra cosa, ma ci possiamo ampiamente accontentare).

Bene, alla fine ce l’ho fatta e la recensione di Fist of the North Star: Lost Paradise è giunta al termine. Sì, ma in definitiva come classifico la produzione SEGA? Non è perfetta, presenta qualche ingenuità, oltre ad un mix di situazioni che potrebbero far storcere la bocca a qualcuno, ma alla fine dei giochi è davvero difficile non inquadrare il tutto come il migliore e più completo titolo su Kenshiro mai realizzato. La paura di trovarsi semplicemente al cospetto di un reskin di Yakuza era tanta e, a ben vedere, in parte è così, ma è innegabile come il team sia riuscito a declinare il suo peculiare estro creativo affinché riuscisse ad adattarsi in modo convincente all’universo dell’opera originale. Menare le mani è esaltante e soddisfacente, così come sono ben implementate alcune delle attività collaterali presenti (per le altre vedere quanto ho già ampiamente detto), inoltre i fan storici non potranno fare a meno di essere soddisfatti dal ritrovare i personaggi più iconici della serie in una nuova e fiammante veste digitale. Certo, la storia non è niente di che, un mero pretesto per accontentare il voyerismo videoludico dei giocatori, ma il tutto si lascia giocare con una semplicità ed una soddisfazione davvero difficili da replicare. Personalmente, partire dall’orrendo Last Battle per C64 (che ai tempi mi sembrava comunque anche meglio dell’anime), passare per i musou, per poi arrivare a Fist of the North Star: Lost Paradise, non può che lasciare sul mio volto il più ebete dei sorrisi nerd. Sorriso che, ne sono sicuro, qualunque fan dell’Uomo dalle Sette Stelle non potrà fare a meno di ritrovarsi stampato sul volto dopo aver mosso il primo passo all’interno della Croce del Sud.