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Recensione Fatal Fury: City of the Wolves

di: Marco Russi

Il mondo dei picchiaduro sta vivendo una fase di grande confusione: dopo anni di rinascita e successi, molti grandi nomi stanno inciampando nel tentativo di rendersi più accessibili a un pubblico ampio, spesso snaturandosi. In questo scenario turbolento, Fatal Fury: City of the Wolves prova a risorgere dalle proprie ceneri, scegliendo una strada a metà: fedeltà al gameplay tecnico delle origini da una parte, discutibili concessioni commerciali dall’altra.

Il risultato? Un gioco che, se da un lato fa brillare il sistema di combattimento, dall’altro si perde in scelte di roster inspiegabili e in una veste tecnica che non rende giustizia al suo nome leggendario.
Vediamo allora cosa funziona davvero e cosa, purtroppo, affossa l’ultima fatica di SNK.

Tradizione che resiste, innovazione che fatica

In un panorama dei picchiaduro confuso e in crisi d’identità, Fatal Fury: City of the Wolves cerca di ritagliarsi il suo spazio senza stravolgere troppo le basi.

SNK, tra alti e bassi, riesce a confezionare un sistema di combattimento solidissimo: tecnico, stratificato, perfetto per chi ha esperienza nel genere. Chi cercava una formula “semplificata per tutti” troverà invece un prodotto ostico, che offre solo una piccola mano ai novellini grazie allo Smart Style.

Le meccaniche avanzate come il Just Defense, il Braking, l’uso del tasto REV e il sistema Overheat mostrano tutta la cura del gameplay. Nonostante una modalità single player un po’ fiacca e un comparto tecnico datato, il gioco brilla nel combattimento puro, mantenendo lo spirito di Garou con qualche interessante novità.

Anche l’online, basato su rollback netcode, sembra reggere bene:  il matchmaking è buono e la stabilità nelle partite è risultata buona. Se il supporto resterà costante, City of the Wolves potrà contare su una scena competitiva niente male

Scelte discutibili che affondano il roster

Purtroppo, dove SNK cade rovinosamente è nella gestione del roster. Tra i 17 personaggi disponibili, due nomi pesano come macigni: Salvatore Ganacci e Cristiano Ronaldo.

Non importa quanto i due siano “giocabili” o “divertenti da usare”: la loro sola presenza toglie credibilità a una saga che ha sempre vissuto di carisma autentico e di una forte identità legata al suo universo narrativo. L’inserimento di un DJ e di una superstar del calcio mondiale appare come una forzatura commerciale poco elegante, utile solo a strizzare l’occhio a investitori e sponsor. Un vero peccato vedere due slot occupati da guest bizzarri, quando si potevano recuperare storici volti di Fatal Fury o saghe sorelle.

Sebbene sia apprezzabile il fatto che la prima stagione di DLC sarà gratuita, il danno d’immagine sul roster di base rimane evidente. Fatal Fury meritava rispetto, non un’esibizione da baraccone.

Dal punto di vista tecnico, infine, il gioco delude: graficamente si attesta su livelli modesti, con modelli 3D poveri di dettagli e arene piatte, incapaci di avvicinare minimamente il fascino immortale del Garou originale.

Fatal Fury: City of the Wolves combatte con il cuore di un veterano, ma inciampa come un principiante quando si piega alle mode; un degno ritorno nelle mani giuste, un’occasione sprecata per chi cercava l’erede perfetto