Recensione Everhood: Eternity Edition
di: Simone CantiniCosa diavolo è mai Everhood: Eternity Edition? Una domanda affatto scontata che, dopo 4 decadi di esperienza nel settore videoludico, non può fare a meno di tormentarmi, adesso che sono finalmente giunto ai titoli di coda, dopo oltre 6 ore in cui sono stato costantemente a chiedermi che cosa stessi giocando. Eppure non è certo il primo videogioco in grado di sorprendermi, dato che il nostro medium preferito non è restio a colpire con veemenza nel segno nelle situazioni più disparate: sia che si parli di grafica, di soundtrack, di narrativa o di espedienti di gameplay, il mondo del gaming è fortunatamente prodigo di esperienze spiazzanti, anche solo in un singolo ambito del loro essere. L‘opera firmata Foreign Gnomes, invece, riesce a concentrare tale stupore in ognuno dei suoi elementi, dando vita ad un titolo assolutamente spiazzante ed imprevedibile, al punto che, come già detto, se cercherete di portare a termine l’avventura di Rosso, anche voi non potrete fare a meno di chiedervi a che cosa diavolo abbiate appena giocato.
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Benvenuti ad Everhood!
Tutto ha inizio con un braccio rubato, non all’agricoltura come vorrebbe il vecchio adagio, ma ad un burattino ridotto in frantumi ed abbandonato nel mezzo di una stilizzata foresta. Un arto, un qualcosa di così semplice e tutto sommato banale, un’entità che nella nostra quotidianità diamo logicamente per scontato, ma che nel mondo di Everhood: Eternity Edition è capace di dare il via alla più lisergica, fuorviante, straniante e folle delle avventure. Sottratto al nostro simil-Pinocchio digitale per ordine del malvagio Porco d’Oro, l’appendice legnosa sarà il pretesto per lanciare Rosso, questo il nome del nostro alter ego (?) videoludico, in un viaggio in cui la realtà e la sua stessa esistenza verranno più volte messe in discussione, così come il nostro ruolo di semplici giocatori. Cosa è mai Everhood e chi siamo noi? Perché ci ritroviamo catapultati all’interno di questo curioso mondo, popolato di bizzarre creature? E quali saranno mai le tre Verità Assolute, al cui interno pare celarsi la chiave per comprendere tutto quanto. Fortemente ispirato al fortunatissimo Undertale, come dichiarato dallo stesso duo di menti che compone Foreign Gnomes, Everhood: Eternity Edition è un racconto contorto e spiazzante, in cui nulla è come sembra ed in cui la prospettiva del giocatore viene costantemente sballottata senza pietà, dando vita ad un caleidoscopico (letteralmente) racconto in cui non mancano anche echi cari a The Stanley Parable. Siamo davvero noi a controllare Rosso e sarà davvero lui il protagonista assoluto di questa storia? Domande che non potranno fare a meno di stuzzicarci senza sosta, nel corso delle circa 6 ore necessarie a giungere ai titoli di coda, le cui risposte continueranno a sfuggirci subdolamente fino alla fine, quasi come in un sadico nascondino, anche quando sembreranno oramai essere alla nostra portata. Un gioco di prospettive distorte che, comunque, non va ad impattare unicamente nel corpo della suggestiva e sibillina sceneggiatura, ma che finisce anche per debordare con assoluta efficacia all’interno dei confini del gameplay, andandone di continuo a scardinare forma e sostanza.
A che cosa sto giocando?
Difficile contenere all’interno di una singola definizione la natura di Everhood: Eternity Edition, dato che il gioco sembra divertirsi a cambiare con insistenza le carte in tavola, quando meno ce lo aspettiamo. Everhood è essenzialmente un rhythm game, ma è anche un racing, un gioco di ruolo, un’avventura grafica, un puzzle game. Everhood è tutto e niente, è un continuo sorprendere per inventiva e costruzione, senza prendersi la briga di fornire troppe certezze al giocatore. Fortunatamente, quasi come se si sentisse magnanimo e volesse tenderci una mano in questo vortice di espressioni, un punto centrale della progressione rimane, ed è incarnato dalla peculiare declinazione che offre nei confronti dei videogame musicali. Questa si basa su di uno schema che non può non richiamare alla mente Guitar Hero e cloni vari, con il nostro Rosso che, in occasione degli scontri, si troverà catapultato all’interno di una griglia a 5 piste, lungo cui andranno a scorrere gli attacchi nemici. Il nostro compito, a seconda delle situazioni, sarà quello di evitarli, oppure di assorbirli per poi scagliarli contro la minaccia di turno, ovviamente seguendo il tempo della base musicale. Eppure, visto che ci troviamo ad Everhood, non tutto può essere così semplice e la follia che permea questo stilizzato universo finisce per contaminare con il proprio tocco ogni singolo aspetto dell’esperienza ludica. Ecco, quindi, che lo schermo si distorce, la prospettiva di confonde ed i bordi si sfilacciano ed allungano, in quello che a tratti ricorda un trip psichedelico straniante e spiazzante, che in più di un frangente mi ha riportato alla mente la follia visiva di Polybius, lisergico lavoro di quel pazzoide di Jeff Minter (a tal proposito sarei curioso di provare Everhood: Eternity Edition in VR, se mai ne esisterà una versione). Un vortice allucinatorio in grado di dare vita ad una sinestesia audio/ludico/visiva assuefacente e a tratti disturbante, perfetta espressione tangibile del caos che il lavoro firmato Foreign Gnomes è in grado di evocare ad ogni suo passo.
Allucinazioni audiovisive
Un mondo che non potrebbe esistere, senza perdere buona parte della sua debordante potenza, se non fosse accompagnato dalla sua peculiare direzione artistica, che sceglie quasi di rimanere consapevolmente in disparte, così da non lasciare alla mera estetica il centro della scena. Per quanto minimale e a tratti sgraziata, la grafica che arricchisce Everhood: Eternity Edition finisce con il funzionare, pur rintanandosi con convinzione tra le mura dell’estremamente essenziale. Una pixel art minimale, lontana dai fasti di un Owlboy qualsiasi, ma più vicina a certe produzioni ad 8 bit viste sullo ZX Spectrum, fatta di linee ed elementi monocromatici, interrotti di tanto in tanto da sprite arricchiti da qualche chiazza di colore. E poi ci sono gli effetti, capaci di stravolgere tutto quanto, dando vita ad un mare di allucinazioni ed espedienti visivi che ricordano tanti miracoli del coding della demoscene anni ’90. Un insieme di piani ed ispirazioni sovrapposti che, pur con tutte le loro brave differenze, finiscono per funzionare a dovere, visto il modo in cui vanno ad assecondare, grazie a questa cacofonia estetica, il frullato di implicazioni autoriali e stilistiche che la sceneggiatura ed il gameplay si portano in dote. Un mix di influenze che non potrebbe funzionare senza un degno accompagnamento sonoro, data anche la natura musicale di gran parte dei momenti: ed anche in questo frangente Everhood: Eternity Edition non può che sorprendere, forte di un nutrito numero di tracce in grado di spaziare tra i generi più disparati, passando dalla tecno, all’hard rock e alle musiche gitane con estrema naturalezza. L’edizione in questione, inoltre, figura tutta una serie di battaglie nuove di zecca, fruibili al di fuori dell’avventura principale, capaci di espandere la portata della playlist grazie al contributo di autori del calibro di David Wise, Disasterpiece e Keiji Yamagishi. E poi, cosa per noi da non sottovalutare assolutamente, tutto è interamente localizzato a livello testuale in italiano. E data l’ingente mole di linee di dialogo, c’è solo da togliersi il cappello.
No, nonostante le ore spese in sua compagnia e le parole vomitate in questa recensione, ancora non ho ben compreso che cosa sia Everhood: Eternity Edition. L’unica cosa che so, fortunatamente, è che quella confezionata da Chris Nordgren e Jordi Roca è un’esperienza unica e mesmerizzante, uno di quei titoli in grado di catapultare il giocatore all’interno di un mondo magnetico ed imprevedibile, capace di mettere in discussione, oltre alle sue stesse fondamenta ludiche, anche il ruolo dell’incauto player. Non è un titolo semplice da comprendere, almeno a livello puramente scrittorio, ma se avrete la pazienza e la forza di accompagnare Rosso lungo il suo viaggio, quello che vi troverete a sperimentare sarà un gameplay convincente e sfaccettato, capace di dispiegare a dovere sotto i vostri polpastrelli un universo complesso ed ipnotico, animato da bizzarri personaggi in cerca della loro vera identità. A cui noi finiremo, dopo solo pochi istanti, per fare compagnia.