Recensione Eternal Strands
di: Luca SaatiSe Bioware non se la sta passando molto bene, forse è anche a causa dei suoi nomi storici che hanno preferito mettersi in proprio e dedicarsi a progetti indie dalla portata più piccola. Un chiaro esempio è Mike Laidlaw, storico creative director della serie Dragon Age, che, dopo quasi 14 anni in Bioware, ha fondato Yellow Brick Games a Montreal, in Canada. Ad oggi lo studio conta una sessantina di dipendenti che hanno dato vita a Eternal Strands, un action adventure fantasy con una struttura sandbox che prende un po’ di The Legend of Zelda: Breath of the Wild, un po’ di Shadow of the Colossus e un pizzico di Monster Hunter Worlds per dare vita a un mix molto interessante in questo inizio di 2025.
accettare i cookie con finalità di marketing.
Da maghi a tessitori
La trama si concentra su Brynn, una guerriera e Tessitrice (una sorta di maga), e il suo gruppo di Tessitori vagabondi, che sono stati banditi dalla società dopo che una catastrofe magica nota come Surge, alimentata dagli Arcani, ha devastato la terra. L’avventura di Brynn e soci inizia quando riescono a superare una barriera magica nota come il Velo e inoltrarsi nell’Enclave, un tempo la culla della cultura del suo popolo. Quella che segue è una ricerca per scoprire l’origine di questa catastrofe esplorando queste misteriose terre appena rivelatesi.
La storia di Eternal Strands si poggia su delle premesse non così originali in cui il vero punto di forza sono i suoi personaggi. Laidlaw e soci hanno delineato accuratamente ciascun personaggio a partire dalla protagonista, fino ai suoi compagni di viaggio. Ognuno ha le sue motivazioni e drammi personali con tanto di missioni secondarie che approfondiscono determinati aspetti della loro persona. D’altra parte però non si può nascondere una trama principale che nelle sue poco più di 20 ore risulta un po’ fiacca a causa di un ritmo della narrazione incostante: lento nella prima parte per poi svoltare a metà, ma senza mai quell’epicità che contraddistingue i grandi racconti fantasy. È qui che i limiti produttivi di Eternal Strands emergono: i dialoghi non sono altro che testi doppiati con degli artwork statici che mostrano i personaggi coinvolti nella conversazione. Durante i dialoghi ci sono le classiche scelte multiple, ma la loro utilità risulta piuttosto irrilevante per l’assenza di un sistema morale che influenzi gli eventi della storia. Insomma considerando il curriculum di Laidlaw era lecito aspettarsi quel guizzo in più in termini narrativi, sarà per la natura indie del progetto o sarà che Yellow Brick Games ha concentrato i suoi sforzi su altri elementi della produzione come il gameplay.
Magie e colossi
Dopo aver superato il prologo, Brynn e soci si accampano presso un luogo che sostanzialmente svolge il ruolo di hub in cui parlare con i compagni, iniziare nuove quest e visitare i vari vendor su cui ci torno tra un attimo. C’è poi il portale per il teletrasporto in cui raggiungere una delle tante aree in cui affrontare le quest.
Il mondo di Eternal Strands è suddiviso in diverse aree liberamente esplorabili dalla struttura sandbox. Le similitudini con The Legend of Zelda: Breath of the Wild consistono nella capacità di Brynn di arrampicarsi su una qualsiasi parete tenendo sempre d’occhio una barra della stamina che è abbastanza permissiva da non rendere le scalate così frustranti. Questa libertà rende l’esplorazione piacevole, ma dà presto la sensazione di essere fine a sé stessa dato che non c’è nessuna utilità nell’arrampicarsi sugli alberi o sulle strutture più alte.
Il combattimento all’arma bianca contro i nemici di base non è molto soddisfacente: ci sono solo due tipi di armi da mischia (spada e scudo oppure spadone a due mani) più arco e frecce, ma non si imparano nuovi attacchi, non c’è molta varietà di nemici considerando la durata della campagna, la reattività dei colpi è scarsa e il loro feedback lascia molto a desiderare. Nelle fasi più avanzate si possono anche sbloccare armi infuse di poteri elementali, ma il combattimento non ne giova particolarmente e ben presto si sposta il proprio focus sulle magie che, d’altra parte, rappresentano il punto di forza del gameplay di Eternal Strands.
I tre elementi su cui ruota il sistema di magie sono fuoco, ghiaccio e aria (telecinesi) e si distingue per l’interazione creativa tra i suoi sistemi di poteri. Una delle abilità principali consente di creare un flusso di ghiaccio per congelare i nemici, spegnere incendi o raffreddare armature nemiche fino a renderle fragili. La parete di ghiaccio può persino fungere da ponte o immobilizzare i nemici. Anche la telecinesi è utile, permettendo di lanciare oggetti e manipolare gli scudi dei nemici per creare esplosioni. Il fuoco provoca ovviamente danni da incendio, ma può propagarsi nell’ambiente oltre a essere un utile alleato in quegli ambienti presi d’assalto dal ghiaccio in cui serve un po’ di calore per proseguire. Il tutto è anche legato agli eventi atmosferici che possono cambiare l’approccio sia all’esplorazione che al combattimento stesso. Come in Zelda, anche Eternal Strands presenta un sistema di caldo/freddo con degli abiti che possono aumentare la resistenza a quello o a quell’altro elemento. Il problema è che nel gioco di Yellow Brick è tutto un’incognita, lasciandomi incerto su quanti oggetti indossare per ottenere lo stesso beneficio di una pozione.
Comunque già con le sole magie di base il gioco riesce a regalare non poche soddisfazioni, e con lo sblocco di varianti di quelle stesse magie e la combinazione tra loro le cose si fanno ancora più interessanti. Arriva un certo punto in cui l’unico limite è rappresentato dalla fantasia del giocatore e ben presto si finisce con il posare le proprie armi e fare affidamento interamente sulle magie, facendo ovviamente attenzione a non esagerare dato che fuoco e ghiaccio si propagano nell’ambiente con il rischio di danneggiare la propria salute, oltre a quella degli avversari.
E poi ci sono quelle dinamiche strettamente legate a Monster Hunter e Shadow of the Colossus poiché nel mondo di Eternal Strands ci sono una decina di boss tra mostri e colossi da combattere utilizzando non solo le abilità di cui sopra, ma anche arrampicandosi su di essi per colpirli nei punti deboli. Le magie ovviamente si rivelano utili per colpire le debolezze di questi nemici e per applicare alcune strategie particolari. Ad esempio il primo colosso che ho incontrato aveva la tendenza di sferrare un pugno al terreno e così con i poteri di ghiaccio l’ho immobilizzato in quella posizione quel tanto che basta per arrampicarmi sul suo braccio di esso e colpire i punti nevralgici della sua armatura e scoprire il punto debole da cui assorbire la sua essenza e sbloccare un nuovo potere. Nell’opera di Yellow Brick Games spesso non basta eliminare semplicemente uno dei boss, ma bisogna adoperare determinate strategie per massimizzare l’efficacia di quello scontro. Ad esempio ho eliminato un paio di volte un boss di ghiaccio senza ottenere nessuna ricompensa particolare oltre a qualche materiale per il crafting, mentre nel terzo scontro ho utilizzato la giusta tattica riuscendo infine ad appropriarmi del suo potere e sbloccare una nuova magia di ghiaccio. Se nello scalare questi mostri e scoprire il loro punto debole il gioco ricorda molto da vicino il già citato Shadow of the Colossus, è nella ripetizione di uno scontro e in quel grinding che si trovano le somiglianze con Monster Hunter. Anche uccidendo i nemici di base è possibile ottenere materiali, ma questi cambiano a seconda di come si uccidono quei nemici: ad esempio eliminarne uno col fuoco garantirà materiali differenti dall’eliminazione con arco e frecce.
Il grinding è presente, ma senza mai toccare quegli estremismi della celebre serie di Capcom. Il sistema di per sé è molto interessante e funziona piuttosto bene consentendo di costruire nuovo equipaggiamento la cui potenza varia a seconda dei materiali utilizzati. Ad esempio il medesimo progetto di uno spadone o pezzo di armatura può dare vita a un oggetto dalle statistiche normali utilizzando i materiali di base, o a un oggetto decisamente più potente utilizzando materiali di rarità sempre più alta. Ogni oggetto inoltre può salire di livello spendendo ulteriori materiali, ma con il sistema creato dai ragazzi di Yellow Brick Games si può anche arrivare a fine gioco con una potentissima arma di livello 1 costruita con i materiali più rari. Inoltre nell’hub è possibile sacrificare una selezione personale di materiali per migliorare gli stessi vendor così da sbloccare ulteriori potenziamenti per la protagonista come la possibilità di portare più pozioni o un inventario più capiente.
Sulla carta questo mix di elementi presi da altre serie videoludiche poteva fare di Eternal Strands un’accozzaglia senza capo né coda, ma in realtà nel suo insieme funziona offrendo un gameplay a tratti unico e brillante nonostante diversi punti di debolezza che minano l’esperienza di gioco e talvolta non rendono giustizia a quanto di buono fatto dai ragazzi di Yellow Brick Games. Non sono solo i combattimenti con le armi ad avermi deluso, ma anche dei piccoli problemi con la telecamera negli spazi ristretti contro i colossi, o la fisica che talvolta mi ha giocato brutti scherzi scagliando il mio personaggio inaspettatamente per aria facendomi perdere salute e costringendomi così a ricominciare la sessione. E nonostante si sblocchino con una certa regolarità nuove abilità (sono una decina, come i colossi/mostri da sconfiggere), ben presto quella sensazione di ripetitività incombe a causa di una struttura delle missioni molto banale.
Enclave pieno di colori
Eternal Strands non è un brutto gioco da vedere, anzi con la sua palette di colori super vivaci riesce a regalare anche qualche bello scorcio. Tuttavia non si discosta molto dai tanti titoli che propongono questo stile alla Fortnite che non va ad appesantire le prestazioni nonostante tra incendi, nemici e altri effetti particellari muova diverse cose su schermo. Avrei preferito che il gioco puntasse su uno stile tutto suo, un po’ come quelle piccole sequenze in stile anime che vanno a sostituire le classiche cutscene cinematiche. Decisamente più memorabile la colonna sonora a cura di Austin Wintory che riesce a enfatizzare a dovere quei combattimenti più epici. Ultima nota per i giocatori italiani: manca del tutto una localizzazione nella nostra lingua.
Il destino di una Tessitrice
Eternal Strands è un videogioco che sa essere sorprendente e deludente allo stesso tempo: il combattimento contro i boss è esaltante, ma non si può dire lo stesso dei nemici di base; le magie rendono profondi i combattimenti, ma non sono accompagnati dalla medesima profondità con le armi; la storia manca di epicità e di momenti davvero esaltanti, ma i personaggi sono molto interessanti. Insomma è quel classico videogioco indie che va preso per il verso giusto per goderne pienamente del suo potenziale, a patto di chiudere un occhio sui suoi difetti che alla lunga rischiano di minare il divertimento.