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Recensione Elden Ring

di: Simone Cantini

Il mio incontro con i soulslike fu davvero casuale, e risale oramai ad una decina di anni fa. Era un periodo di stanca videoludica, almeno per il sottoscritto, ma bazzicando per i vari forum il nome Demon’s Souls aveva finito per attirare la mia attenzione: complici i commenti dell’utenza, che lo definivano un titolo tanto punitivo quanto affascinante, mi decisi ad investire una manciata di Euro per acquistarlo (bei tempi quelli di Zavvi e The Hut), partendo già con l’idea di abbandonarlo alla prima arrabbiatura. Che ci fu, e pure molto rapida, ma complice quel dark fantasy malato che permeava l’opera, mi costrinsi a portalo a termine. Con estremo godimento. Ed oggi, dopo tutto questo tempo, quello che ritenni un genere quanto mai effimero, visto il suo essere totalmente di nicchia, torna con prepotenza assoluta grazie al suo esponente più riuscito, quell’Elden Ring che non vuole saperne di abbandonare il mio pad. Ed i miei incubi di giocatore.

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Anima non morta. Again…

Sempre molto sottintesa, sebbene assai più esplicita che in passato, la narrazione di Elden Ring non si discosta molto dagli stilemi cari a Miyazaki-san, e nonostante l’apporto di George R. R. Martin, ci catapulterà in un mondo dark fantasy abitato dalle creature più assurde. Al solito, anche per giustificare l’esponenziale numero di sconfitte che patiremo, interpreteremo i panni di un’anima non morta, chiamata a recuperare i frammenti di quell’Anello Ancestrale che da il titolo alla produzione. E per farlo dovremo sconfiggere i letali custodi delle Rune, il tutto mentre attraverseremo il più vasto mondo che i soulslike abbiano mai visto. Inutile dilungarsi oltre in tale direzione, dato che a dispetto dei cultori più integerrimi delle produzioni firmate From Software, il sottoscritto ritiene il comparto narrativo sviluppato dal team nipponico quanto mai secondario, con il gameplay ed il level design a rappresentare i veri punti cardine dell’esperienza.

There’s no place like home

Ed il gameplay, ancora una volta, balza prepotentemente all’occhio non appena avremo scelto la nostra classe e dato il via all’avventura. I meccanismi che regoleranno il titolo sono, in buona sostante, i medesimi di sempre, basati sulle meccaniche inaugurate dal citato Demon’s Souls. Ecco quindi tornare per l’ennesima volta la coppia di attacchi normale/pesante, gestiti dalla solita barra del vigore di colore verde. Ed il tutto servirà, oltre a garantirci qualche istante di sopravvivenza aggiuntiva, a falciare orde di nemici in cerca di rune, il corrispettivo delle anime, necessarie ad accrescere il livello del nostro character, con conseguente incremento delle varie statistiche. Un’ossatura, questa, che riprende in toto quanto abbiamo imparato ad amare/odiare lungo questo decennio, ma che si presenta in forma molto più raffinata e versatile che in passato, visto il modo in cui va ad importare meccaniche già testate, a cui se ne affiancano di nuove. La principale è incarnata dalle Ceneri di Guerra, peculiari abilità che è possibile assegnare alle varie armi e che, in maniera analoga a quanto visto in Dark Souls 3, ci permetteranno di dare vita ad attacchi speciali unici. A queste si accompagneranno anche evocazioni attive che, se assegnate ad uno degli slot dei consumabili, ci permetteranno di richiamare in aiuto (in determinate aree) alcune entità spirituali. Presente anche il dual wielding, così come torna l’amata accoppiata parry/backstab. Il più grande elemento di rottura con il combat system storico, però, è rappresentato dall’avvento di Torrente, il nostro fidato destriero spettrale, che ci verrà consegnato dopo pochi momenti di gioco: questi ci consentirà, oltre che di attraversare più rapidamente le zone aperte dell’enorme mappa di gioco, anche di combattere in sella. Un’aggiunta sicuramente interessante, seppur caratterizzata da qualche alto e basso, visto che non sempre sarà semplice sferrare i fendenti con precisione, così come non sempre agevole ed accurato sarà il lancio di eventuali incantesimi. La presenza di Torrente, unita alla possibilità di saltare quando a piedi (alleluia!) modifica però in modo interessante l’esplorazione del mondo, adesso possibile anche in verticale. Il mix che emerge in Elden Ring, in definitiva, è quello di un combat system sicuramente ancor più stratificato che in passato, seppur ancorato ai precetti che ne hanno determinato questo duraturo successo, capace di rappresentare una sfida stuzzicante sia per i neofiti che per i veterani. E per entrambi sarà croce e delizia il dover passare tempo per ottimizzare l’inventario, così da trovare il giusto bilanciamento tra pesantezza e protezione più adatto al proprio stile di gioco. Ed in tal senso non ho potuto che apprezzare la volontà di non presentare un numero di oggetti sin troppo corposo come in passato, sostituito da una serie di equipaggiamenti più contenuti, che al solito sarà possibile potenziare sia presso i fabbri che in autonomia. E proprio per chi ama il fai da te, ecco che è stata inserita anche una componente di crafting che, tramite un menu dell’inventario, ci consentirà di dare vita a svariati consumabili, a patto di aver recuperato gli appositi ricettari. E poi spazio a potenziamenti vari, legati alle Rune ottenute sconfiggendo i boss, incantesimi a profusione, talismani in grado di fornire skill (in sostituzione degli anelli) ed una fiaschetta che torna ad avere un duplice utilizzo, ovvero legato al recupero di energia vitale e punti magia. Ovviamente upgradabile anche essa.

Il fascino dell’oscurità

L’elemento che, però, esce maggiormente glorificato dal lavoro svolto da From Software, è sicuramente quello relativo al world building ed al level design generale: anche per un aficionado del genere come il sottoscritto, abituato alla solita maestria costruttiva dello studio, l’impatto con il mondo aperto della produzione è stato quanto mai destabilizzante, per quanto in senso positivo. Uscire dal primo dungeon (occhio al tutorial!) per ritrovarsi in una zona aperta, apparentemente sconfinata, ha un contraccolpo mozzafiato, complice anche la direzione artistica sublime attorno a cui tutto si muove. La mastodontica mappa di gioco, quasi esplorabile nella sua interezza sin dal principio, corre il rischio di soverchiare il giocatore in un lampo, dato che questi potrebbe letteralmente perdersi nella pura esplorazione (per quanto a rischio costante della vita), tralasciando la main quest. Il modo in cui le varie zone di gioco si intrecciano e si collegano tra loro, così come la loro varietà assoluta, è uno dei motivi per cui è davvero difficile non finire per essere letteralmente rapiti da questo mondo oscuro e decadente, in cui i designer giapponesi hanno dato fondo a tutte le loro abilità. La varietà di situazioni ed ambienti è palpabile ad ogni passo, e rappresenta quasi una summa di quanto realizzato sino ad oggi, con sezioni che richiamano alla mente con veemenza le suggestioni dark fantasy delle origini (in cui l’influenza del compianto Kentaro Miura trasuda da ogni pixel), alternate alla gotica decadenza del decantato Bloodborne. Un viaggio affascinante, un’eterna scoperta di luoghi e situazioni cesellate con perizia invidiabile, a cui si accompagnano i legacy dungeon (le mappe legate alla progressione principale) cervellotici ma coerenti come non mai, capaci di stordire il giocatore per la loro complessità, per poi ricompensarlo con shortcut sempre intelligenti. Un mondo vastissimo, spiazzante in apparenza, ma che complice una distribuzione generosissima di checkpoint, capaci di sbloccare sin dal principio il fast travel, risulta decisamente più accessibile e godibile che in passato, pur senza che venga meno il proverbiale tasso di sfida caro al genere. Tale grandezza, però, sarebbe quanto mai fine a se stessa se non accompagnata da un nutrito numero di cose da fare, ma anche in tal senso c’è da stare tranquilli: ad una main quest corposa ed impegnativa, difatti, si accompagna una pletora nutrita di attività collaterali, che tra dungeon e boss opzionali, oltre a quest secondarie ora più leggibili che in passato, richiederanno ben oltre le proverbiali sette camice per portarci a completare tutte le attività al 100%.

Tentennare con stile

Insomma, tutto molto bello, applausi e per tutti e champagne come se piovesse? Beh, non proprio, visto che ogni medaglia ha sempre il suo rovescio che, anche in questo caso, per From Software risponde al nome di prestazioni tecniche. Se è palese che muovere critiche alla direzione artistica generale sia quanto mai pretestuoso, visti gli altissimi livelli visivi raggiunti, discorso diverso deve essere fatto per le performance generali, soprattutto su console current gen (ho effettuato la prova su PS5). Pur capendo la natura crossgenerazione di Elden Ring, pertanto foriero di una complessità generale nata per essere fruibile anche sulle vecchie macchine, è alquanto fastidioso constatare i soliti problemi di frame rate che, sin dagli albori, affliggono i giochi del team giapponese. Sulla nuova macchina Sony, difatti, sia che si scelga di giocare in modalità prestazioni che qualità, la fluidità non è mai impeccabile, con alcuni fastidiosi ed evidenti sbalzi. Certo, non siamo mai ai livelli della celeberrima Città Infame (e vorrei anche vedere!), ma dopo tutti questi anni e con un nuovo hardware a disposizione, avrei voluto assistere ad un altro scenario. A completare il quadro abbiamo un pop up di elementi a tratti davvero marcato che, seppur non vada ad inficiare sulla qualità generale, è in parte sgradevole da vedere. Tolte queste classiche criticità, comunque, siamo lontani dall’essere al cospetto di un titolo ingiocabile, ma spiace vedere macchiata una produzione così sontuosa dai soliti, vecchi, problemi. Magagne che affliggono anche il comparto multiplayer, soprattutto cooperativo, con fallimenti di evocazioni sin troppo frequenti, mentre non ho riscontrato le medesime criticità in presenza di sessioni PvP. Applausi, invece, per il comparto sonoro, che può vantare la consueta ed impeccabile colonna sonora, in grado di accompagnare in modo magistrale gli scontri più epici e serrati.

From Software dimostra con ancora più forza di essere l’artefice di quel fenomeno videoludico chiamato soulslike, e lo fa consegnandoci il suo titolo più complesso e riuscito di sempre. Elden Ring, difati, si incunea con prepotenza all’interno del genere di riferimento, grazie ad una struttura capace di espandere e raffinare ulteriormente i cardini della visione creativa di Hidetaka Miyazaki, che assieme al suo team riesce a dare vita ad un’esperienza massiccia ed indimenticabile. Caratterizzato da una progressione sempre ostica, ma sicuramente più accessibile che in passato, il lavoro del team nipponico è un’avventura tanto affascinante quanto complessa, capace di rapire senza riserve tutti coloro che riusciranno a domare e a scendere a patti con il suo tasso di sfida più elevato del normale. Una volta invischiati in questo vortice di morti sequenziali, però, Elden Ring saprà ricompensarci con un gioco in cui nessun tassello è lasciato al caso, ed in cui ogni piccolo passo fatto verso la sua conclusione rappresenta un traguardo indimenticabile. Poi siete sicuramente liberi di non apprezzarlo e ritenerlo il più sopravvalutato dei videogame, ma per quanto mi riguarda non ho di sicuro dubbi su quello che sarà il mio GOTY 2022. Salvo improbabili, quanto gradite, smentite.