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Recensione Dynasty Warriors: Origins

di: Simone Cantini

Cosa c’è di più rassicurante e prevedibile di un musou, sempre pronto ad accoglierci con tonnellate di inermi nemici da falciare, semplicemente premendo a casaccio la consueta coppia di tasti, a prescindere dall’eroe selezionato all’interno del gigantesco roster disponibile? Produzioni che ci fanno sentire subito a casa, grazie a meccaniche prevedibili ed abusate, che necessitano soltanto di una manciata scarsa di secondi prima di essere ricaricate nella nostra memoria. Un flow eterno ed immutabile, figlio di un modus giocandi squisitamente nipponico, che pare prediligere l’iterazione forsennata di una sparuta manciata di cliché. Ecco, se anche voi la pensate così, fareste bene a rivedere decisamente le vostre convinzioni una volta avviato Dynasty Warriors: Origins. E meno male, mi sento spassionatamente di aggiungere…

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Vecchi amici e nuove storie

Se non avete mai sentito parlare della Cine dei Tre Regni, i casi sono due: o mi prendete in giro, oppure non avete davvero mai incrociato il pad con la serie Omega Force. A prescindere dalla vostra categoria di appartenenza, a non cambiare sarà il setting di Dynasty Warriors: Origins che, ancora una volta da quando la serie nacque su PS2, vedrà proprio al centro delle gigantesche battaglie questo turbolento periodo storico. Preparatevi, dunque, a ritrovare volti e nomi familiari, quali Lu Bu e Cao Cao, passando per Diao Chan e Liu Bei, senza dimenticare tutti gli altri che, nel corso degli anni, abbiamo più o meno imparato a conoscere e ricordare. Le novità per il titolo Tecmo Koei, però, iniziano a trapelare già da questo aspetto che credevamo immutabile: stavolta a tirare le fila del racconto troveremo un personaggio inedito, sfortunatamente muto e non personalizzabile, del quale potremo soltanto decidere il nome, ma che dopo una manciata di scontri inizierà ad essere conosciuto come Ziluan.

Una modifica apparentemente marginale, ma che avrà un duplice e significativo impatto sull’economia della produzione. Il primo riscontro è avvertibile in ottica puramente narrativa, dato che l’introduzione di un nuovo protagonista ha permesso al team di ampliare e sviluppare in maniera più articolata la sceneggiatura, che oltre a presentare un punto di vista inedito, è caratterizzata da un respiro più ampio ed in grado di caratterizzare maggiormente i personaggi canonici e le vicende che pensavamo di conoscere a menadito. Naturalmente non parliamo di uno script sontuoso, pregno come è della consueta pomposità nipponica in fatto di epica, ma per lo meno si riesce ad andare oltre il mero avvicendamento di scontri tutti uguali tra di loro. Una campagna longeva e corposa che, tra missioni principali ed incarichi secondari opzionali, ci porterà via una trentina di ore, garantendo anche una buonissima rigiocabilità qualora si decida di sviscerarne ogni anfratto. A partire dal terzo atto, difatti, il nostro Ziluan sarà costretto a compiere una scelta cruciale, che andrà ad aprire uno dei tre archi narrativi conclusivi, ognuno caratterizzato dalle proprie missioni peculiari. Sarà, pertanto, necessario rigiocare queste porzioni per vedere tutto quanto Dynasty Warriors: Origins ha in serbo per il giocatore.

Uccidere non basta

L’uso rinnovato del cast storico della serie, si porta appresso anche una massiccia revisione del gameplay oggetto di Dynasty Warriors: Origins, che abbandona la possibilità di impersonare direttamente decine e decine di eroi, in favore di un singolo protagonista giocabile, come avevo già accennato in occasione della prova diretta della build disponibile al TGS 2024. Pur con i suoi bravi distinguo. Sarà Ziluan a scendere in campo, coadiuvato dal classico combat system action basato sull’alternanza dei due attacchi (leggero e pesante), in grado di dare vita a spettacolari combo. A queste si abbineranno delle skill uniche, che potremo attivare riempiendo l’indicatore del Coraggio, e legate alla pressione dei pulsanti frontali del pad unitamente al dorsale destro. A chiudere il cerchio troveremo la classica modalità Collera, che potremo attivare una volta riempito l’apposito indicatore, oltre all’attacco speciale, utilizzabile premendo Cerchio/B sempre dopo aver accumulato una cospicua quantità di uccisioni.

Tutto prevedibile, dunque? Beh, non proprio, visto che Ziluan avrà a disposizione anche una comoda schivata ed un sistema di parry che si rivelerà indispensabile per avere la meglio sui nemici più tosti, dei quali dovremo svuotare la barra della resistenza prima di poter scatenare letali finisher. A ciò si accompagnano anche 9 armi differenti, sbloccabili man mano che avanzeremo nell’avventura, ciascuna dotata del proprio moveset unico e da un set di abilità speciali dedicato (ovviamente ampliabile aumentando la padronanza della lama in questione). A chiudere il cerchio delle possibilità di offesa, da un certo punto in poi, troveremo anche tattiche di battaglia che, sfruttando i nostri alleati in campo, ci consentiranno di dare vita a spettacolari attacchi collettivi. Quello che emerge, a dispetto delle previsioni, è un combat system ancora più raffinato e dinamico, che sacrifica fortunatamente il button mashing più sfrenato in favore di un approccio maggiormente ragionato e tattico. A questa svolta, inoltre, contribuisce anche la struttura delle missioni principali, caratterizzate da obiettivi più dinamici del previsto, in grado di andare oltre la canonica conquista delle basi nemiche (che ci sono, sia chiaro) e alla mattanza sfrenata della carne da macello che infesta lo schermo.

Gettarsi a capo basso nella mischia, difatti, si tradurrà spesso in un game over prematuro, complice anche un innalzamento della difficoltà complessiva, che rende le sfide ancora più appassionanti e stratificate. Sarà pertanto necessario tenere sempre d’occhio lo stato delle forze in campo, tramite la mappa di gioco, così da sapere sempre dove convogliare la nostra furia e ribaltare così le sorti degli scontri. Tutto, in Dynasty Warriors: Origins, appare quindi più raffinato e strutturato, rendendo l’esperienza appagante e divertente, segno evidente di come Omega Force si sia impegnata a rendere questo suo nuovo lavoro l’ideale punto di ingresso per i nuovi fan, senza però lesinare una ventata di aria fresca ai suoi sostenitori più fedeli.

Eroi in panchina

E proprio questi ultimi potrebbero, in prima battuta, storcere la bocca al cospetto dell’assenza del canonico roster di eroi giocabili che, in questa avventura, potranno scendere in battaglia solo come comprimari in determinate missioni della campagna. Non controllabili direttamente in prima battuta, tali personaggi potranno dare una mano diretta ampliando le nostre combo, finendo per divenire parte attiva, seppur per un breve lasso di tempo, una volta riempito l’indicatore legato allo switch del personaggio attivo. Si perde, in tal senso, un po’ dell’epicità tipica della serie, oltre a vedere azzerato il piacere di collezionare personalità sempre differenti tra loro.

Il rovescio della medaglia, come detto, è rappresentato da una struttura di gioco più raffinata e riuscita, capace di andare oltre l’assillante e martellante sequela di scontri tutti uguali tra di loro, in cui ci spingevamo a falciare anonimi ammassi di poligoni unicamente per vedere ingrossare le fila della nostra panchina di guerrieri. Personalmente, trovando la formula tipica dei musou oramai davvero abusata e poco interessante, non posso che applaudire alla coraggiosa scelta operata dal team nipponico, che si è dimostrato assai propenso a mettersi in gioco, tra l’altro con risultati davvero apprezzabili.

La morte si fa bella (finalmente)

C’è un altro aspetto su cui Dynasty Warriors: Origins è riuscito ad intervenire in maniera davvero massiccia, andando a scardinare una consuetudine che sembrava oramai destinata a fiaccare in eterno il genere: sto parlando del comparto tecnico ella produzione Omega Force, finalmente in grado di proporre soluzioni visive degne dell’attuale generazione di console. È innegabile sin dal primo avvio, difatti, come il colpo d’occhio generale abbia subito un boost notevole, presentandoci una scena interessantissima dal punto di vista puramente visivo (sono presenti i due classici preset Qualità/Prestzioni, con il secondo da preferire). La grafica è pulita ed estremamente dettagliata, con i modelli principali ricchi di particolari, oltre che finemente modellati. Non è però da sottovalutare anche tutto ciò che li circonda, a partire dalle arene di gioco che, per quanto abbastanza schematiche, sono assai piacevoli da attraversare, oltre che dotate di un layout mai troppo banale, e che non lesina anche alcuni spunti verticali.

Ad impressionare in positivo, però, è l’enorme numero di personaggi su schermo che il motore di gioco riesce a gestire senza alcun tentennamento anche nelle situazioni più concitare, in cui è possibile affrontare anche centinaia di avversari contemporaneamente (tra l’altro animati e realizzati in modo alquanto dignitosa). Certo, il rovescio della medaglia è caratterizzato da una difficile leggibilità dell’azione in simili frangenti, superata comunque dal galvanizzante senso di onnipotenza che accompagna queste mattanze epocali: lanciarsi alla carica contro gli eserciti più massicci è un’esperienza alquanto esaltante. Sul fronte audio abbiamo la presenza del solito doppiaggio in lingua giapponese (sicuramente da preferire a quello inglese), accompagnato dalla localizzazione testuale in italiano e dalla consueta soundtrack rockeggiante, che sebbene crei una certa distonia data l’abbondante utilizzo di chitarre distorte, è innegabile come riesca ad accompagnare a dovere la spettacolarità degli scontri.

Lo confesso, era dai tempi di Hokuto No Ken su PS3 che non mi divertivo così tanto con un musou, anche se in quell’occasione a tenermi incolato al pad era principalmente il mio amore nei confronti del personaggio creato da Buronson e Tetsuo Hara. Nel caso di Dynasty Warriors: Origins, invece, le ore trascorse a girovagare per l’ennesima volta nella Cina dei Tre Regni sono figlie di un gameplay rinnovato a dovere, che è riuscito a coniugare il senso di scala degli scontri tipici del genere con meccaniche decisamente più raffinate ed appaganti. Ad un combat system divertente e ben strutturato, si accompagnano missioni dinamiche ed impegnative, capaci di andare oltre il button mashing scacciapensieri. Si potrebbe criticare la scelta di mettere in netto secondo piano il consueto e gargantuesco roster di personaggi giocabili, ma se questo è riuscito a rendere Dynasty Warriors: Origins un’ottima ripartenza per la serie, oltre che uno dei musou più divertenti e meglio realizzati (anche dal punto di vista puramente tecnico), direi che ci possiamo ritenere ampiamente soddisfatti delle scelte compiute da Omega Force.