Recensioni

Recensione Dying Light 2

di: Luca Saati

Se c’è una cosa che i team di sviluppo polacchi devono aver imparato di recente è che non si deve mai e poi mai annunciare con grande anticipo un videogioco. CD Projekt RED ne sa qualcosa visto il trambusto con Cyberpunk 2077, ma anche Techland deve aver imparato qualcosa con Dying Light 2. Ricordiamo tutti l’annuncio del gioco nel 2018 con tante promesse da parte di Chris Avellone di voler creare un’esperienza RPG in grado di modificare profondamente il mondo di gioco e la storia tramite le scelte morali. Di acqua sotto i ponti da allora ne è passata: il gioco è sparito dai riflettori e Avellone a seguito di alcune polemiche è stato costretto ad abbandonare lo sviluppo. Che lo sviluppo di Dying Light 2 sia stato travagliato ne siamo consci, eppure dopo 4 anni di attesa siamo finalmente riusciti a tornare nell’universo zombie di Techland.

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Stay Human

Dopo gli eventi di Harran che hanno portato alla cancellazione della città dal mappamondo, l’umanità è riuscita a sconfiggere il virus grazie a un vaccino. Ma l’avidità dell’uomo sappiamo non avere fine e i laboratori del GRE hanno continuato a lavorare al virus fino a quando una variante sfugge un’altra volta diffondendosi a grande velocità nel mondo causando in poco tempo la caduta della civiltà. I pochi sopravvissuti adesso vivono in piccoli insediamenti molto distanti tra loro e l’unico punto di contatto è rappresentato dai Pellegrini, coraggiosi individui che viaggiono tra le terre desolate. Il protagonista di Dying Light 2 è uno di loro, il suo nome è Aiden e raggiunge Villedor, l’ultima città ancora in piedi, per compiere una missione strettamente personale che non vi anticipiamo per ovvie ragioni.

Villedor non è però una città così accogliente e come un’epidemia zombie che si rispetti ci ritroviamo dinanzi a una scenario disastrato. Tre fazioni si contendono infatti il controllo della città: i Sopravvissuti, i Pacificatori e i Rinnegati. I primi vogliono creare una società basata sulla libertà dove ognuno può dare il suo contributo alla comunità; i secondi credono in una società militarizzata; infine il terzo gruppo puntano all’anarchia più totale. Se con Sopravvissuti e Pacificatori ci si ritrova ad avere a che fare in modo più o meno pacifico, i Rinnegati rappresentano la vera e propria minaccia per la città di Villedor. Nel corso della campagna Aiden avrà sostanzialmente a che fare con le due fazioni svolgendo per loro missioni per aiutarli a ottenere il controllo della città e soprattutto eliminare la minaccia dei Rinnegati con la speranza di ottenere il supporto necessario per conseguire il suo obiettivo personale.

Il racconto creato dai ragazzi di Techland è sicuramente ben riuscito rivelandosi capace di regalare qualche inaspettato colpo di scena e di appassionare per tutta la sua durata. La grande critica che però facciamo al comparto narrativo riguarda le scelte morali. L’idea iniziale del team di sviluppo appare qui fortemente ridimensionata e prendere una decisione piuttosto che un’altra non sembra influenzare in modo così profondo e radicato il mondo di gioco. Si sblocca una missione invece di un’altra, ma senza mai delle vere e proprie conseguenze che stravolgono il proseguio dell’avventura. Persino se ci schieriamo spudoratamente dalla parte di una fazione non riusciremo mai a inimicarci del tutto quella contrapposta. Alla fine dunque il grosso delle scelte morali riguardano la decisione di affidare ai Pacificatori o ai Sopravvissuti alcune strutture nevralgiche di Villedor, una per ogni distretto. Affidare un certo numero di distretti a una fazione consente di sfruttare una serie di strutture poste in giro per la città: aiutando i Sopravvissuti ad esempio ci saranno elementi aggiuntivi che semplificheranno il parkour, mentre i Pacificatori riempiranno la città di trappole e altri strumenti in grado di eliminare un gran numero di non morti. Decisioni morali che quindi ricadranno più sul gameplay piuttosto che sulla trama imbastita dal team polacco.

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Pilgrin’s Creed

Dying Light 2 parte dalla base del suo predecessore espandendo una formula che ha funzionato egregiamente. Ci ritroviamo dunque dinanzi nuovamente a un action in prima persona open world con una componente RPG più strutturata e per una spiccata propensione per il parkour. Se dovessimo descriverlo ancora più facilmente pensate a un Assassin’s Creed in prima persona in cui la minaccia principale è rappresentata dagli zombie. Techland ha deciso giustamente di non stravolgere quanto di buono fatto nel primo capitolo, ma piuttosto di affinare ogni componente di gameplay.

Il parkour appare ancora più fluido e dinamico con una serie di mosse aggiuntive che rendono lo spostamento della città ancora più veloce e naturale. Aiden riesce a sfruttare ogni appiglio disponibile per arrampicarsi un po’ ovunque e sfruttare così la verticalità ambientale per evitare le strade piene di insidie e minacce. Inizialmente il protagonista ha a disposizione poche mosse, ma sviluppando un apposito ramo delle abilità su cui ci torneremo tra poco è in grado di sbloccare corse sui muri, salti più efficaci, arrampicate più veloci e altre abilità che rendono il parkour ancora più efficace.

Il combattimento è principalmente all’arma bianca ad eccezione di poche armi a distanza come la balestra o l’arco, e qualche arma da lancio come i coltelli e le molotov. Nel mondo di Dying Light 2 la tecnologia ha fatto numerosi passi indietro, e questo lo si evince tra le altre cose proprio con gli armamenti che possiamo definire primitivi. Ci sono le più disparate armi contundenti e da taglio che vanno da grandi classici come mazze da baseball e machete ad altri strumenti più esotici frutto dell’ingegno dell’uomo. Il combat system è piuttosto semplice e prevede l’uso del grilletto destro per attaccare, del dorsale sinistro per parare e il dorsale destro per schivare. Ad eccezione di alcuni nemici più corazzati e di alcuni boss, i combattimenti non si sono mai rivelati una grossa sfida e il gioco prova a creare qualche grattacapo puntando più sul numero di nemici che sulla loro abilità. Se per gli zombie giustifichiamo la scarsa IA (sarebbe strano il contrario) è per gli umani che non riusciamo ad accettare alcuni limiti che si evidenziano in particolar modo nelle fasi stealth che risultano così banali da spingerci in alcuni momenti a evitarle del tutto e attaccare i nemici a testa bassa per movimentare la situazione.

Lo skill tree suddiviso in due parti: Combattimento e Parkour. I due rami si possono sviluppare in maniera del tutto indipendente dato che i punti abilità da spendere non sono in comune. In pratica più si utilizza il parkour e più punti esperienza si ottengono fino a riempire l’apposita barra che vi permette di ottenere il punto abilità da spendere in quel preciso ramo. Lo stesso discorso si estende al combattimento, più si combatte e più punti XP si ottengono fino ad ottenere l’apposito punto abilità. Salute e Stamina sono un altro fattore determinante per lo sblocco di nuove abilità visto che quelle più avanzate richiedono un certo grado per poter essere sbloccate. Sparsi nel mondo di gioco troviamo degli Inibitori, ogni qualvolta ne raccogliamo tre possiamo decidere se potenziare di 10 punti la salute o la stamina di Aiden. In questo modo non solo possiamo soddisfare i requisiti sopracitati, ma potenziamo il protagonista che potrà dunque sopportare più danni o arrampicarsi più a lungo.

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Il mondo di gioco è ricco di attività da svolgere tra quest principali e secondarie, e luoghi da esplorare alla ricerca dei più disparati materiali. Tra appartamenti, negozi, convogli e laboratori del GRE ci sarà davvero l’imbarazzo della scelta. Alcuni di questi è consigliabile esplorarli di notte poiché nel mondo di Dying Light le creature più pericolose durante il giorno si nascondono dalla luce del sole trovando rifugio in questi luoghi al buio. Durante la notte invece questi mostri abbandonano il loro rifugio per spostarsi sulle strade rendendo così la ricerca di materiali meno pericolosa in alcune aree. Essendo anche Aiden un infetto, non sarà possibile girovagare liberamente per tutta la notte. In questi momenti infatti l’interfaccia di gioco presenta un timer che allo scadere porterà il protagonista a trasformarsi e quindi al game over. Per evitare questo ci si dovrà recare presso i rifugi dove sono presenti le luci UV o sfruttare alcuni oggetti per ricaricarsi. Se inizialmente questo elemento risulta abbastanza limitante, con la progressione Aiden sarà capace di resistere più a lungo. Oltre ai già citati Inibitori, nel mondo di gioco troviamo materiali ed equipaggiamento, ognuno con il classico sistema di rarità a colori presente in ogni RPG. Per quanto riguarda l’abbigliamento, a seconda della rarità i vari pezzi conferiranno al protagonista una serie di abilità passive (consumo ridotto della stamina, danni incrementati, esperienza maggiore ecc). Il livello di rarità delle armi non solo determina la loro effettiva potenza, ma anche la loro durabilità. Come nel precedente episodio infatti le armi finiscono con il rompersi e non si possono recuperare, al massimo è possibile aumentare la loro longevità tramite alcuni sotterfugi come il sistema di crafting. Quest’ultimo permette infatti di investire le risorse per dare vita a numerosi progetti che permettono ad esempio di installare un generatore di elettricità all’arma, di avvelenare la lama e così via per danneggiare ulteriormente i nemici. Altri progetti consentono di creare kit medici, grimaldelli e altri consumabili utili per la sopravvivenza.

Decadenza di Villedor

Ciò che stupisce di Dying Light 2 non è tanto il comparto visivo, ma il suo level design studiato sin nei minimi dettagli che non solo si rivela funzionale al gameplay ma che descrive un mondo in decadenza che si è adattato al nuovo status quo. Villedor è tanto un piacere da esplorare che terrificante (in senso positivo dato che stiamo pur sempre parlando di un gioco zombie). Basta salire sul punto più alto della città per comprendere ciò: per un attimo la calda luce del sole che tramonta distrae dallo scenario fatto di insediamenti umani, avamposti e zombie sulle strade non appena si abbassa lo sguardo. Dying Light 2 conferma quindi la bravura di Techland nella creazione di mondi in rovina, abilità che avevamo già potuto ammirare nel primo Dying Light e ancora prima in Dead Island, la serie da cui tutto è iniziato, con quella dicotomia tra paradiso terrestre e apocalisse zombie. Peccato però che un’ambientazione e un’atmosfera così ben ricreate non vengono accompagnate da una qualità generale altrettanto eccelsa. Non fraintendeteci, Dying Light 2 è davvero piacevole da vedere, tuttavia entrati al secondo anno di vita di queste console di nuova generazione ci aspettiamo quel qualcosa in più che ancora fatichiamo a vedere.

Dying Light 2 propone tre modalità grafiche: Risoluzione, Qualità e Performance. La prima punta alla risoluzione 4K (ma non la raggiunge) con però soltanto 30 fps senza particolari cali di fluidità. La seconda invece mantiene i 30 fps, riduce la risoluzione a 1080p implementando però il ray-tracing e l’occlusione ambientale regalando un comparto visivo sicuramente di maggiore impatto. Infine abbiamo la modalità Prestazioni che blocca la risoluzione a 1080p con però i 60 fps. Dopo un po’ di test la nostra scelta ricade proprio su quest’ultima dato che la maggiore fluidità fadavvero la differenza in un gioco con dei movimenti del protagonista così dinamici e veloci. Ci stupiamo però del fatto che Dying Light 2 a 60 fps non riesca nemmeno a superare i 1080p, probabilmente un po’ di ottimizzazione in più da parte del team di sviluppo avrebbe permesso al gioco di proporre i 4K dinamici.

Ultima nota sul comparto sonoro con un buon doppiaggio in inglese (i testi sono tutti tradotti in italiano) e una colonna sonora che svolge il suo lavoro onestamente senza però restare impressa nella mente del giocatore.

Commento finale

Nonostante un comparto narrativo altanelante, Dying Light 2 si è rivelato un gioco dannatamente divertente con un gameplay più profondo e migliorato in ogni sua componente, uno di quei classici more of the same ben riusciti. Resta l’amaro in bocca per quello che poteva e doveva essere il gioco di Techland dopo l’annuncio. Quello uscito nei negozi è un titolo che sembra in parte ridimensionato nelle sue ambizioni ma che riesce comunque ad essere un degno successore di quello splendido videogioco a base di parkour e zombie uscito nel lontano 2015.