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Recensione Dragon Age: The Veilguard

di: Marco Licandro

Abbiamo dovuto attendere 10 anni da quel fatidico Novembre 2014 per poter avere il seguito di Dragon Age: Inquisition, gioco che ha segnato profondamente la serie prodotta da Bioware, ma finalmente eccoci qui a parlare del quarto titolo di questa incredibile saga: Dragon Age: The Veilguard.

Indossando i panni di un nuovo e carismatico personaggio, Rook, vi troverete assieme a volti conosciuti, e altri nuovi di zecca, tentando di salvare il mondo dall’invasione di due divinità elfiche, creando alleanze, lottando contro numerosi mostri e nemici, e ponendo fine alla minaccia che incombe.

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Peggio del lupo

Il titolo ci catapulta immediatamente nel momento in cui tutto inizia. Solas, the Dread Wolf, che inizialmente dava nome al titolo rinominato successivamente The Veilguard, sta per completare un rituale che farà sì che il velo venga abbattuto, riportando il suo popolo all’antica gloria e rilasciando nel mentre svariati demoni assetati di sangue, conscio quindi del costo in termini di vite che questo comporta.

Chi avrà giocato i precedenti titoli della saga avrà già avuto a che fare con questo carismatico personaggio, e conoscerà quindi molto bene l’ambivalenza morale che lo pervade, ed è per questo che il nostro scopo sarà quello di interrompere il rituale. Nei panni di Rook, completamente personalizzabile esteticamente, e come background, ci ritroveremo assieme a vecchi volti, come Harding e Varric, provando prima le buone e poi le cattive, effettivamente interrompendo i piani di Solas, e procedendo però a liberare due divinità elfiche che desiderano il dominio totale del mondo.

La storia, ambientata una decina anni dopo Dragon Age: Inquisition, sembra quindi abbastanza lineare, presentando al giocatore numerose località e personaggi, ognuno con le sue motivazioni, ma che si uniranno rapidamente a Rook lottando contro una causa comune. I personaggi e le location del gioco saranno incredibilmente curati in ogni dettaglio, offrendo un mondo nel quale immergersi e visitare ogni angolo. 

La linearità si estende anche allo stesso gameplay, fatto di battaglie animate e scelte conversazionali, ma con un level design molto più limitato e a corridoi, seppur splendido al vedersi. Le zone di gioco saranno uno spettacolo visivo, spaziando tra cittadine dall’architettura occidentale, ad altre più tradizionali ma sempre dal forte impatto, otlre a paludi, foreste, e tropici.

A livello grafico parliamo di una ricchezza di textures e dettagli da far brillare gli occhi, portandoci a perlustrare ogni angolo di mappa, e venendo gratificati istantaneamente dalla mole di collezionabili e oggetti utili sparsi per essa, in particolare nelle zone più nascoste. Gli ampi spazi nascondono comunque una struttura a corridoio, forzando molto il percorso da seguire, scelta per un lato limitante specialmente dopo le ampie mappe di Inquisition, ma per l’altro una caratteristica che fa in modo di esprimere al meglio ogni metro quadrato di gioco. 

Se spesso abbiamo avuto a che fare con mondi aperti, ma vuoti, qui abbiamo invece un mondo più contenuto ma estremamente dettagliato. Ogni città sarà labirintica, con ponti o strade, e portali che conducono in ogni dove, generando voglia di esplorare e conoscere ogni luogo come le nostre tasche. La personalizzazione di gioco permette al giocatore di scegliere la quantità di guide e aiuti di gioco, per una esperienza estremamente lineare, oppure, come ha scelto il sottoscritto, disabilitando ogni indicazione così da perdersi letteralmente nelle aree di gioco.

Riflessi e adrenalina

Sul fronte gameplay parliamo di un action rpg veramente solido e gratificante, in pieno stile caratteristico di Bioware. Non potremo più controllare attivamente i personaggi salvo Rook, ma questo perché i combattimenti saranno molto più dinamici e scattanti. Con la possibilità di saltare, schivare, e due tasti attacco, la mole di combo create è veramente impressionante.

Potremo di base attaccare con combo che alternano i due pulsanti azione, associandoli al salto, nonché lasciarli premuti per effettuare ulteriori attacchi. Tutto questo schivando i colpi quando un’aura sopra la nostra testa si illuminerà di rosso, ed effettuando una parata quando invece sarà gialla, creando un’opportunità per contrattaccare.

Come vuole la tradizione dei titoli Bioware, vi sarà un menù di abilità che congela momentaneamente l’azione, permettendoci non solo di scegliere con estrema facilità il bersaglio, ma anche di generare degli inneschi ed esplosioni combaciando abilità compatibili tra diversi compagni. Potremo inoltre caricare una mossa speciale che funge da ultimate, e persino abilitare delle gemme da incastonare a nostro piacimento e che effettueranno alcuni power-up per un breve lasso di tempo.

Tutto ciò sfocia in combattimenti adrenalinici, rapidi, belli a vedersi, e a volte letali. Non sarà strano venire annientati nel giro di pochi colpi se impreparati o se effettueremo errori ripetuti. Così come il nostro personaggio e i nostri compagni avranno un livello, così sarà anche per i nemici, e affrontarne di gran lunga superiori al nostro comporterà probabilmente un game over, a meno di non memorizzare perfettamente gli attacchi così da ridurre al minimo i danni.

Se colpiti e scagliati a terra, potremo scegliere di tornare rapidamente in campo con un salto, cosa che con il tempismo sbagliato potrebbe portare alla morte per via di un secondo o terzo fendente scagliato dal nemico. È importante quindi giocare per imparare bene il combattimento e reagire rapidamente, saltando con cognizione di causa e counterando al momento opportuno, cosa che non risulta facile visto che il colore che ci avvisa se il colpo permette counter o è imparabile dura praticamente un battito di ciglia.

Tramite il menù è possibile migliorare le nostre statistiche grazie a un equipaggiamento di armi e armature, trovate in abbondanza in scrigni sparsi per Thedas, nonché la possibilità di incantarli e aggiornarli al livello successivo. Un albero delle abilità permetterà infine di acquisire nuovi poteri, attacchi, e abilità passive, sia per noi che per i nostri compagni, creando un personaggio esattamente come lo vorremo noi.

Fa parte del ruolo

Come per gli altri titoli della saga, i nostri compagni saranno estremamente importanti sia per la trama che per l’esperienza in sé come gioco di ruolo. Le nostre scelte avranno conseguenze sul loro comportamento, e sulle possibili relazioni, anche romantiche, che potremo conseguire conversando con essi. La parte romantica da sempre è stata una caratteristica dei giochi Bioware, permettendoci di creare un personaggio dal sesso e dal genere che preferiamo, scegliendo ora di instaurare un rapporto con qualsiasi dei compagni, senza nessun limite di preferenza di genere.

Questa rimozione di limiti non può che dare semplicemente spazio al giocatore, affinché possa letteralmente giocare con i personaggi, creando ciò che più gli aggrada, e senza soprattutto che questo intacchi in qualsiasi modo l’esperienza di gioco a chi invece non interessa. La parte romantica, opzionale, rimane comunque una scommessa, dato che i personaggi reagiranno non solo alle nostre risposte, ma soprattutto alle nostre scelte, portandoci anche alla rottura di queste relazioni, sicuramente secondarie alla trama, ma certamente importanti per il giocatore nello sviluppo di un gioco ruolistico.

Vorrei soffermarmi proprio sul fattore ruolo, poiché se dal punto di vista grafico e ludico il titolo non ha nulla da invidiare, è dal punto di vista della narrazione che mi sorgono dubbi sulla qualità della stessa. In particolare, la scrittura è un punto che reputo debole nel gioco, sia per quanto riguarda la qualità delle narrazioni, inclusi i vari scambi tra personaggi durante il gioco, sia per il prosieguo generale della trama; nonostante infatti l’attenzione dedicata ai personaggi e i loro clan, questa risulta comunque a volte scialba e di scarso interesse, portando il tutto a uno spettacolo visivo e combattimenti gratificanti, ma mancando il segno in quanto gioco di ruolo.

La sensazione è quella di non riuscire a seguire bene lo svolgersi delle conversazioni, a volte confusionarie o di poco interesse. Svariati momenti che sembrano indicare una svolta, verranno spesso messi da parte per introdurre personaggi appartenenti alle varie fazioni di gioco, anche queste accennate e poco chiare, soprattutto per quanto riguarda il loro coinvolgimento sulla trama. Vi è ad esempio un evento chiave che accadrà all’improvviso e che richiederà una scelta da parte del giocatore, senza che questi abbia abbastanza informazioni sulle conseguenze, portandoci a una situazione di stallo dove sceglieremo in maniera casuale, o andremo a cercare su internet per valutare meglio le consequenze.

In conclusione

Dragon Age: The Veilguard è un eccellente seguito della saga, che mi ha rapito sin dal primo istante, esattamente come accaduto per i precedenti tre capitoli. Nonostante una narrazione e una scrittura incerti, il titolo sfoggia comunque un level design ricco di dettagli e un gameplay variegato e bilanciato, permettendo una vasta personalizzazione dei personaggi e una immersione ruolistica come solo Bioware riesce a fare.