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Recensione DOOM: The Dark Ages

di: Simone Cantini

Chi lo avrebbe mai detto che DOOM sarebbe stato in grado, a distanza di svariati anni dal suo debutto ufficiale, di riuscire a stupire ancora una volta. E dire che l’idea di partenza era quanto mai basilare e semplice, seppur rivoluzionaria nella messa in scena: un anonimo marine spaziale dovrà falciare quanti più demoni possibili, ovviamente in un tripudio di sangue e proiettili. E DOOM: The Dark Ages porta tutto sommato avanti la tradizione, ma rispetto all’eccellente reboot del 2016, e relativo seguito, cambia decisamente le carte in tavola, introducendo una serie di novità in grado di modificare non poco il consueto approccio blastatorio.

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Nel cuore dell’azione

La produzione firmata id Software non si vergogna di compiere un netto passo indietro, ma state tranquilli che non si tratta assolutamente di un ridimensionamento ludico, quanto puramente narrativo. DOOM: The Dark Ages, difatti, si configura come un prequel della rinnovata trilogia, e ci porterà a scoprire le origini dello Slayer che abbiamo imparato a conoscere a partire dal 2016. Stavolta tutto ruoterà attorno al Cuore di Argent, un potente manufatto in possesso delle Sentinelle che, guarda caso, sarà al centro dei desideri del principe demoniaco Ahzrak. Ottenerlo, difatti, gli donerebbe un potere immenso, in grado di renderlo praticamente incontrastabile, così da riuscire a sottomettere una volta per tutte il piano esistenziale dei viventi. Inutile dire come simili brame siano declinate nella maniera più violenta e sanguinosa possibile, non lesinando qualche prevedile colpo di scena e la consueta dose di azione e battaglie campali.

Ovviamente tutto resta nei confini del puramente pretestuoso, ma considerando che la serie si era aperta con il desiderio di vendicare la morte della coniglietta Daisy, non ci possiamo certo lamentare della sceneggiatura messa sul piatto da id Software che, pur con tutte le sue ingenuità del caso, mantiene sempre ben salda la propria rotta, regalandoci un’avventura in grado di tenerci impegnati una ventina di ore, ovviamente ampliabili se si desidera sviscerare tutti i segreti nascosti nei 22 capitoli che la scandiscono. Inutile dire come, al centro di tutto troneggi la figura dello Slayer che, nel suo essere banalmente un character alquanto monodimensionale, riesce letteralmente a bucare lo schermo ogni volta che lo vediamo tratteggiato in terza persona, merito anche di una eccellente caratterizzazione visiva.

Una carezza in un pugno

Parlare del gameplay di DOOM: The Dark Ages sarebbe alquanto pleonastico, dato che stiamo parlando del franchise sicuramente più iconico e riconoscibile del mondo dei FPS. Pertanto la risposta alla vostra domanda non può che essere un grosso sì: nel gioco si spara come se non ci fosse un domani. Ci sono però alcune sostanziali differenze con la precedente doppietta di giochi, che avevano spinto con prepotenza sul pedale della frenesia e della velocità dell’azione. Lo Slayer che controlleremo in questa iterazione sarà decisamente più lento e pesante, una sorta di carro armato semovente, lontano parente della scattante e nervosa macchina di morte vista agli inizi del reboot. Per fare un paragone, il nostro avatar avrà più affinità con la pesantezza vista in Killzone 2 o nel Titus di warhammeriana memoria, restituendoci un ritmo ludico più lento e ragionato.

Questa novità andrà di pari passo con le rinnovate abilità dello Slayer, che per la prima volta nella serie andranno a focalizzarsi in maniera massiccia sull’uso della parata, per quanto questo possa sembrare un controsenso visto il pedigree del brand. Una simile meccanica sarà resa possibile dalla presenza di uno scudo, che se utilizzato al momento giusto sarà in grado di dare vita a devastanti attacchi di supporto, legati all’utilizzo di alcune rune equipaggiabili che sbloccheremo durante l’avventura. Queste saranno in grado di scatenare onde d’urto stordenti, raffiche di proiettili guidati e molto altro, che anche in questo caso potremo upgradare spendendo il denaro ottenuto esplorando i livelli.

Un approccio più melee che fa il paio con il rinnovato arsenale corpo a corpo in nostro possesso, che ai classici e rassicuranti pugni andrà ad affiancare un inedito set di armi, sempre potenziabili ed in grado di esaltare come non mai la pesantezza e la brutalità degli scontri. Sulla carta, per chi è cresciuto a pane e Deimos Anomaly, un simile meccanismo potrebbe suonare come una sconcertante eresia, ma una volta presa confidenza con il nuovo flow di gioco non potremo che apprezzarne la brutale e galvanizzante efficacia. Naturalmente non mancheranno le bocche da fuoco, che alla cara e mai troppo lodata doppietta affiancano un nutrito arsenale inedito (caratterizzato in maniera encomiabile), che anche in questo caso sarà possibile migliorare investendo le risorse ottenute. E sì, c’è anche la versione 2025 del BFG, un po’ diversa da quella che ricordavamo, ma non per questo meno devastante.

Vola, mio maxi drago

Ok, corpo a corpo e nuove armi: la possiamo chiudere qua? Beh, non proprio, dato che DOOM: The Dark Ages non si è risparmiato altre sorprese, incarnate del gigantesco Altan e da un letale drago volante. Nel primo caso, ci troviamo al cospetto di un titano a cui saranno dedicati alcuni livelli, che andranno ad amplificare la portata del senso di devastazione e potenza presenti nel combat system corpo a corpo. In simili porzioni, difatti, il focus sarà prevalentemente sullo scontro a mani nude con giganteschi demoni: si tratta di sezioni molto lineari e tutto sommato prevedibili, ma che alla fine dei giochi funzionano e spezzano con efficacia il ritmo tradizionale.

Discorso diverso per il nostro fidato drago, al centro di momenti in stile Panzer Dragoon invero non troppo ispirate, che ci vedranno prevalentemente intenti a schivare con il giusto tempismo gli attacchi nemici, prima di contrattaccare con le mitragliatrici in nostro possesso. Di sicuro parliamo dell’elemento più debole e meno centrato dell’intero pacchetto, fortunatamente relegato a brevissime porzioni dell’avventura. Un vero peccato, visto che l’idea era sulla carta molto calzante con il nuovo mood di questo episodio. Così come alquanto sottotono è risultato essere il level design generale, caratterizzato da alti e bassi evidenti, oltre che da una estensione degli stage a tratti schizofrenica: a livelli estremamente condensati se ne alterneranno altri davvero sfiancanti in termini di durata, oltre che scarsamente ispirati. La situazione resta sempre interessante in presenza delle porzioni più lineari e guidate, mentre perde un po’ il focus laddove il gioco si apre a mappe più aperte, inutilmente dispersive e ridondanti in alcune trovate. Fa strano fare le pulci al level design di DOOM, da sempre una delle eccellenze della serie, ma tant’è…

Tempi bui

Giusto per restare nel campo delle sopracciglia inarcate, confesso di essere rimasto in parte un po’ deluso anche dal comparto tecnico di DOOM: The Dark Ages. Visto che parliamo del primo episodio realizzato esclusivamente per current gen, mi sarei aspettato una qualità grafica decisamente migliore di quella che mi sono ritrovato sullo schermo. È vero che parliamo di un titolo tutt’altro che compassato, e che di sicuro non avremo tempo di contare pixel e sviscerare texture mentre siamo alle prese con un trittico di Mancubus, ma nei momenti più rilassati viene difficile non notare una qualità generale non sempre al top. E parlo prevalentemente di texture a tratti un po’ slavate, così come di alcuni elementi modellati in maniera non troppo complessa. Per lo meno l’id Tech si è dimostrato ancora una volta inattaccabile in quanto a frame rate, sempre eccellente ed in grado di assorbire senza scossoni l’abbondanza di elementi e particellari che ci invaderanno ad ogni scontro.

Va detto che parte del mood grafico va anche ritrovato in una direzione artistica che non mi ha convinto pienamente. Se è vero che le atmosfere dark fantasy, che richiamano a tratti la visione cara a From Software, sono risultate azzeccate e calzanti, il tutto si è tradotto in una palette davvero monocorde che ha finito per appiattire un po’ il tutto. Lo stesso design delle creature è risultato meno incisivo di quello visto nei precedenti due episodi, situazione che rende il bestiario alquanto anonimo e lontano dagli standard della serie. A risollevare il tutto, per quanto sia visibile solo nelle cinematiche, ci pensa la caratterizzazione dello Slayer, mai come in questo caso così spietato e carismatico da vedere, nonostante si limiti unicamente ad abbigliarsi di sangue e budella.

Rivedibile anche il comparto sonoro che, orfano del veterano Mick Gordon (sostituito a causa della nota controversia da Brian Trifon e Brian Lee White), non riesce mai ad essere incisivo come in passato, risultando spesso sin troppo in secondo piano rispetto all’azione. Non convince neppure il voice over nostrano, non tanto per interpretazione, quanto per purò mix audio, situazione che ha portato a sbalzi di volume improvvisi e a tratti fastidiosi. Ah, manca pure il multiplayer (eccezione per la saga), ma se l’alternativa era il Battlemode di Eternal è decisamente meglio così. Sono invece da apprezzare senza riserve le numerose opzioni di accessibilità presenti, che permetteranno di intervenire su una serie impressionante di parametri, così da poter bilanciare il livello di difficoltà nel modo che maggiormente ci aggrada, così da poter tarare l’esperienza di gioco sulle abilità di ciascun giocatore. Ovviamente senza trascurare i classici selettori standard, che faranno la gioia degli intramontabili nostalgici più tradizionalisti.

Con DOOM: The Dark Ages id Software chiude il cerchio attorno alla nuova trilogia, consegnandoci un prequel che cambia in parte le carte in tavola di un concept che credevamo inossidabile. E si può dire che, al netto di qualche criticità, il compito sia stato portato a termine con successo. La maggiore pesantezza e lentezza dell’azione di gioco si sposa a dovere con il rinnovato sistema di parte e attacchi corpo a corpo, garantendo agli scontri un feeling decisamente differente, ma non per questo disprezzabile. Convincono meno le novità più marcate, in primis le sezioni volanti, così come non certo memorabile è risultato essere il level design generale, invero meno ispirato che in passato. Per quanto, comunque, divertente e longevo, DOOM: The Dark Ages rappresenta l’anello più debole del nuovo corso del capostipite dei FPS, ma non per questo dovrebbe mancare nella collezione di chiunque abbia una sana ed inspiegabile voglia di sbudellare demoni come se non ci fosse un domani.