Recensione Doom
di: Simone CantiniQuando dietro a quattro semplici lettere si cela un’eredità davvero ingombrante da gestire ogni tua comparsata è sempre seguita con il fiato sospeso. La paura di vedere tutte le aspettative afflosciarsi miseramente come un castello di carte è costantemente dietro l’angolo, così come le speranze degli ottimisti ed il classico voler cercare il pelo nell’uovo da parte dei pignoli saccenti di turno. E se le due ultime uscite pubbliche avevano astutamente mantenuto uno stretto riserbo su quello che è sempre stato il tuo piatto forte, è di sicuro lecito approcciarsi a Doom con tutte le riserve del caso. Peccato che essere sin troppo guardinghi mal si sposi con la natura della creatura id Software.
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Bentornati su Marte
Pronti, via. Dite addio alle complesse e cinematografiche introduzioni e salutate come un caro, vecchio pugno in faccia l’avvio della campagna di Doom: passano pochi secondi e siamo già lì, nudi e finalmente liberi da catene, pronti a prendere a cazzotti in faccia i demoni di rito. Contate ancora fino a tre e la vostra pelle si agghinderà a festa grazie alla familiare armatura Praetor. Una voce sintetica cerca brevemente di illustrarci la situazione, ma non c’è tempo per le chiacchiere inutili quando l’inferno è in procinto di vomitare tutte le sue aberrazioni su Marte: basta un nuovo e vigoroso pugno per mettere a tacere, per il momento, il nostro interlocutore virtuale. E a questo punto potremmo anche fermarci qua, dato che c’è veramente poco altro da aggiungere in merito al sostrato narrativo di Doom, che altro non è se non un mix brutale e spietato di proiettili, sangue e creature demoniache. Oggi come allora siamo di nuovo sul Pianeta Rosso, pronti a ricacciare nel loro buco schifoso le entità distorte partorite dal team che fu di John Carmack. Chiedere di più sarebbe inutile, quanto fuori luogo: basta questo semplice motivo per mettere in campo un’azione adrenalinica fortemente old school, in cui la velocità di pensiero e di azione guadagnano prepotentemente il centro della scena, lasciando per una volta in disparte tattiche e strategie elaborate. Stare fermi a pensare, magari con la speranza di vedere ricaricarsi la nostra barra energetica, è inutile quanto letale, sia perché solo i medikit potranno alleviare le nostre ferite, sia perché i nostri avversari godono di una mobilità ed una aggressività fuori dal comune: salteranno, correranno, vi aggireranno nel tentativo di avervi costantemente sotto tiro. Pur essendo cresciuto con i due capitoli originali, devo confessare di essere rimasto spiazzato dal primo impatto con questo Doom, fiaccato da anni di FPS sin troppo indulgenti e dal ritmo decisamente più blando. Tutto è talmente improntato sulla velocità che il nostro baldo marine non avrà neppure bisogno di ricaricare la propria arma (i proiettili sono vomitati a getto continuo fino ad esaurimento) e di attivare lo scatto (perennemente in funzione). In linea con la tradizione ritornano, seppur giustamente rimodernate, tutte le vecchie bocche da fuoco che abbiamo imparato a conoscere ed amare in questi ultimi decenni. Queste ultime, inoltre, godranno di due distinte modalità secondarie che dovranno prima essere sbloccate recuperando i vari schemi, per poi vedersi potenziate tramite l’impiego dei punti accumulati. Un simile impianto di stampo vagamento ruolistico si applica anche alla nostra armatura Praetor, che potrà così ampliare le capacità di offesa e di interazione del nostro eroe. I punti in questione possono essere guadagnati tramite alcune sfide, del tutto opzionali, che arricchiranno l’offerta dei vari livelli: si tratterà per lo più di uccidere in maniera coreografica i demoni, scovare alcuni dei tanti segreti, oppure compiere determinate azioni. Si tratta di diversivi sulla carta molto semplici, ma che una volta calati nel contesto risultano comunque molto appaganti, oltre a costituire un ottimo pretesto per rigiocare la campagna qualora non fossimo riusciti a completare tutti i task. Ovviamente non si vive di solo sangue, dato che in linea con la tradizione i livelli di Doom sono ricchi, oltre che di mostri, anche di numerosi segreti, la cui ricerca spinge ad esplorare ogni anfratto delle varie mappe di gioco. Queste ultime godono di un level design davvero notevole, grazie ad una complessità decisamente superiore alla media e ad una spiccata inclinazione alla verticalità degli ambienti. La caccia ai segreti servirà a sbloccare dossier ed informazioni sul mondo di gioco, modelli poligonali e, per la gioia dei fan storici, alcuni livelli del capitolo originale. A chiudere il cerchio dei divertissement opzionali ci pensano alcune sfide runiche che, se completate, ci ricompenseranno con alcune rune in grado di upgradare le abilità del nostro marine. Condite il tutto con una longevità media che si attesta attorno alle 15 ore ed ecco che i dubbi in merito al silenzio che c’è stato attorno al single player di Doom non fanno altro che dissolversi in una bolla sanguinolenta di carne putrescente.
Tutti nell’arena
Ovviamente non poteva mancare un corposo comparto multigiocatore che pesca a piene mani dalla tradizione competitiva dei FPS, distinguendosi dalla massa attuale per il suo essere fortemente legato alle meccaniche degli arena shooter. Una prima analisi del suo essere l’avevo già fatta in occasione dell’alpha e della beta (qua e qua), pertanto sorvolerò sull’utilizzo di Moduli Hack e Rune Demoniache. Al netto di questi perk temporanei, comunque, è bene sottolineare come il gameplay di questa porzione di Doom sia pesantemente basato sull’abilità del giocatore, con una id che ha scelto di non ricorrere a trucchetti e potenziamenti in grado di semplificare la vita ai giocatori con più ore sulle spalle: un livello 50, se scarso, potrà facilmente essere spazzato via da una recluta di livello 1 ben più skillata. La progressione, difatti, servirà prevalentemente a sbloccare nuovi elementi di personalizzazione, dato che basterà avanzare di pochi livelli per avere l’intero arsenale a disposizione. Esaminando nel dettaglio le varie modalità proposte, però, emergono tutti i limiti di un simile approccio: ad esclusione del classico Deathmatch e della già provata Via della Guerra, le altre modalità non è che brillino per divertimento. Su tutte spicca in negativo Congelamento, in cui dovremo bloccare nel ghiaccio gli avversari sperando di non essere colpiti a nostra volta. In questo caso dovremo attendere che qualcuno ci liberi prima che la squadra sia del tutto imprigionata per poter tornare a giocare: in un gioco così frenetico stare anche un paio di minuti ad attendere che qualcuno ci restituisca l’uso bellico del pad non è certo il massimo. In definitiva questo multiplayer farà la felicità dei vecchi player, ma di certo difficilmente potrà attecchire nei cuori di tutti coloro che sono cresciuti a pane e COD. Fortunatamente le opzioni sociali di Doom non si esauriscono qua, ma sono arricchite dalla presenza dello SnapMap, un potente editor tramite il quale gli utenti possono creare e condividere livelli personalizzati. Sposando la formula sdoganata da LittleBigPlanet avremo accesso ad un database in crescente espansione, dal quale potremo pescare e giocare (anche in cooperativa) le mappe più disparate: durante la prova, oltre alle classiche carneficine, mi sono imbattuto in livelli musicali, memory game ed altre attività che esulano dal blastare ogni cosa. Purtroppo, almeno su console, i creativi dovranno faticare un po’ prima di veder sbocciare le proprie creature, data una complessità di utilizzo che paga lo scotto di non poter contare su di un mouse. Per i pigri, come il sottoscritto, questo SnapMap si è rivelato invece una piacevole sorpresa.
Pezzo da 60
Visto il tipo di gamplay adottato sarebbe stato un delitto non proporre un’esperienza a 60 frame al secondo. Fortunatamente i ragazzi di id hanno scelto saggiamente di non macchiarsi anche di questo sangue, presentandoci un gioco fluidissimo e reattivo che rappresenta, ad oggi, il top per quanto riguarda l’operato dell’id Tech 6 nel mondo console. Certo, la scelta della velocità ha costretto il team a sacrificare alcuni elementi scenici, bisogna però riconoscere come l’impatto visivo di Doom sia comunque di tutto rispetto ed in grado di rivaleggiare a testa alta con altre produzioni maggiormente inclini allo stupore oculare. La modellazione poligonale si attesta su livelli più che buoni, così come la complessità strutturale e la qualità delle texture. Le uniche sbavature sono da registrare in merito allo stream dei dati, che causa talvolta un ritardo nel caricamento delle varie superfici, ma si tratta comunque di piccoli nei che non minano di certo l’esperienza complessiva. Calzante e del giusto mood il sonoro, forte di chitarre ipersature e suoni industriali che accompagnano in maniera decisamente goduriosa la carneficina di demoni. Si parla poco in Doom, ma fortunatamente anche questa penuria di parole è stata ottimamente recitata in italiano (il gioco è interamente localizzato nella nostra lingua, anche per quanto riguarda i testi a schermo).
Vorrei essere brutale come Doom e limitarmi a scrivere il voto che vedere in basso. E quasi quasi lo sarò: la produzione id è un degno reboot di un glorioso passato che, data la sua natura arcaica, poteva tranquillamente cadere nel ridicolo (Duke Nukem Forever anyone?). Fortunatamente così non è stato, grazie all’intelligenza di id Software che è stata in grado di modernizzare, senza stravolgere, la formula magica che nel 1993 cambiò per sempre il mondo dei videogiochi. Peccato solo per un multiplayer un po’ sottotono rispetto all’ottima campagna. Ma in fondo il vero divertimento che si cela dietro quelle quattro lettere è sempre stato quello di affettare Mancubus con una affilata motosega.