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Recensione Dolmen

di: Simone Cantini

Cosa può succedere quando un giovane team brasiliano, alla prima esperienza nel settore, decide di lanciarsi a capofitto nella realizzazione di un titolo appartenente ad uno dei generi più in voga del periodo, ovvero quello dei soulslike? Cosa può mai andare storto, soprattutto alla luce del fatto che, solo pochissimi mesi prima, è stato accolto all’unanimità il maggiore esponente di questa peculiare categoria, nuova pietra assoluta di paragone, capace di far tremare le gambe a chiunque osi avvicinarlo? Beh, la risposta è quanto mai semplice, e risponde al nome di Dolmen.

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Non ci siamo già uccisi prima?

Il Dolmen che da origine al nome della produzione firmata Massive Work Studio, è una misteriosa pietra capace di lacerare il continuum dello spaziotempo, aprendo i confini di nuove dimensioni. Ed il caso vuole che, a bordo della stazione spaziale Revion Prime, vengano condotti degli esperimenti sul minerale in questione, esperimenti che, sempre casualmente, finiranno per provocare l’invasione di una razza alinea desiderosa di lasciarsi alle spalle la consueta ed abbondante dose di cadaveri. Toccherà a noi, come sempre, lanciarci nella letale missione che ci chiederà di porre fine alla mattanza e riportare tutto all’ordine. Prendendo in prestito, in maniera neppure troppo ispirata, elementi cari a Dead Space, Event Horizon e tutta la ricca schiera di produzioni legate al filone sci-fi/horror, il canovaccio imbastito dai ragazzi di Massive Work Studio non brilla certo per cura e ricercatezza, ma d’altro canto, quando parliamo di soulslike, non è certo dal comparto narrativo che mi aspetto chissà quali faville. È sul fronte del puro gameplay, difatti, che mi auguro sempre di trovare un set di idee che, seppur non in grado di rivaleggiare con le produzioni From Software, riescano a proporre una rilettura interessante di quanto codificato dal team nipponico. E per certi aspetti Dolmen riesce a portare a casa il risultato, anche se il tutto ha finito per essere soffocato inesorabilmente dalle ambizioni sin troppo elevate del giovane team.

Rileggere un classico

Strutturalmente parlando, sul fronte del gameplay, l’ossatura ludica è quella standard di simili produzioni, con il nostro personaggio che, dopo aver selezionato la classe di partenza tra le 3 disponibili, potrà contare sulla consueta accoppiata attacco normale/pesante, legata alla pressione dei dorsali destri del pad. Il movest iniziale, così come l’equipaggiamento, sarà determinata dalla nostra scelta iniziale, invero alquanto esile, che ci permetterà di sfruttare un’arma pesante, una coppia di armi veloci, oppure un set arma e scudo. Il tutto, come sempre, sarà gestito dalla classica barra della stamina. Nulla di epoca e che non possa essere cambiato in corso d’opera tramite il crafting. A sparigliare le carte, pertanto, ci pensa la possibilità di sfruttare anche una bocca da fuoco, capace di colpire gli avversari dalla distanza (in modo analogo a quanto visto, comunque, anche nel dimenticabile Immortal Unchained). Il suo rateo di fuoco sarà legato alla barra dell’energia, che si ricaricherà con il tempo, così da non dover avere l’assillo della ricerca dei proiettili. L’aspetto interessante degli attacchi a lungo raggio sarà costituito dalla possibilità di causare alterazioni elementali (a seconda della natura dell’arma equipaggiata) all’avversario colpito, se riusciremo ad infliggere un determinato quantitativo di danni. Simili effetti potranno anche essere applicati agli attacchi melee, sfruttando la nostra energia in abbinamento al reattore che avremo in nostro possesso, e che potremo cambiare a piacimento. L’indicatore in questione, inoltre, giocherà un ruolo fondamentale anche in fase di cura, dato che spendendone un frammento (che in questo caso potremo ripristinare solo tramite un apposito consumabile) andremo a ripristinare parte dei nostri punti vita. Unite il tutto alla possibilità di creare, tramite l’hub apposito (raggiungibile per mezzo dell’equivalente dei classici falò), equipaggiamenti ed arsenale, ed avrete già il quadro completo del lavoro dei ragazzi di Massive Work Studio, che è innegabile si siano sforzati per andare oltre il mero compitino. Ed il mix in questione funzionerebbe anche, almeno sulla carta, peccato però che il tutto venga vanificato da una realizzazione tecnica in grado di mettere alle corde l’inesperienza del team di sviluppo.

Uccidere con lentezza, pure troppa…

Se si può passare sopra ad un level design sin troppo essenziale e privo di guizzi, così come su di uno stile generale anonimo e assai derivativo, più difficile è chiudere un occhio al cospetto delle magagne che affliggono il combat system, ovvero il cuore pulsante di ogni soulslike che si rispetti. A fiaccare l’esperienza, difatti, ci pensa la legnosità generale del nostro avatar, che combinata a delle hitbox alquanto ballerine ed alla resa non troppo efficace del feedback dei colpi, finisce per restituire un quadro non certo roseo. Questi limiti appaiono più evidenti in occasione di scontri con due o più nemici, situazione che ci spingerà quasi sempre (ove possibile) ad attirare a noi un avversario alla volta. Qualora questo non fosse possibile, però, il rischio dipartita è quanto mai probabile, pur al netto di una difficoltà sicuramente più permissiva rispetto ad altri esponenti del genere. E dire che, comunque, anche sul fronte combattivo Dolmen ha dimostrato di avere delle buone idee, come evidenziano gli scontri con i boss, capaci di mettere sul piatto approcci sempre differenti. Questi, inoltre, potranno essere rigenerati in qualsiasi momenti, sia tramite l’hub (presso cui potremo anche spendere i frammenti recuperati per aumentare le nostre statistiche), sia tramite appositi terminali: oltre ad affrontarli nuovamente, così facendo potremo mettere le mani su equipaggiamenti ed oggetti di crafting unici. Per lo meno, sul fronte puramente prestazionale, la non elevata complessità della messa in scena non ha causato particolari sussulti alla mia Xbox Series X, indipendentemente dall’impostazione grafica scelta (qualità o prestazioni). Non pervenuto, per quanto presente, il comparto multiplayer, dato che durante la mia prova non sono mai riuscito ad abbinarmi ad altri giocatori. Rivedibile in toto, inoltre, la gestione dell’inventario che, complice una scelta cromatica folle, rende estremamente ostico riuscire a destreggiarsi tra i vari menu.

È bravo ma non si applica è una frase che si potrebbe utilizzare, se ribaltata, per descrivere il risultato finale incarnato da Dolmen. Il titolo sviluppato da Massive Work Studio, difatti, mette sul piatto tantissima buona volontà, unita a delle idee che, seppur non epocali, riescono a tratteggiare un titolo in cui l’innegabile dose di impegno finisce per cozzare brutalmente con una realizzazione generale dimenticabile. Per quanto interessanti, difatti, le idee legate al combat system sono limitate dalla realizzazione effettiva dello stesso, risultato sin troppo legnoso ed approssimativo. Se a questo si accompagna un design generale abbastanza anonimo, viene difficile consigliare Dolmen a chi abbia già sviscerato a dovere quel capolavoro che risponde al nome di Elden Ring. Di sicuro si tratta di un debutto coraggioso, forse un po’ troppo, ma la stoffa c’è e sono personalmente curioso di vedere nuovamente al lavoro il team. Magari con qualcosa che sia più alla loro portata.