Recensione Disgaea 7: Vow of the Virtueless
di: Simone CantiniSuperare indenni i 20 anni di militanza nel settore videoludico, tra l’altro per mezzo di uscite sempre costanti e lasciando l’onore della memoria ad altri, non è certo un traguardo da sottovalutare. Soprattutto se si fa parte di un genere di nicchia come quello degli RPG tattici. Eppure, nonostante la platea ridotta che da sempre ha scelto di sposare una tale tipologia ludica, Nippon Ichi è stata in grado di tenere in piedi quello che, non a torto, è sicuramente il suo brand più celebre e venduto. Brand che torna oggi con Disgaea 7: Vow of the Virtueless, la nuovissima avventura che ci catapulterà ancora una volta all’interno del folle Netherworld, solo per farci passare decine e decine di ore in compagnia dei suoi bizzarri personaggi e delle sue complesse meccaniche di gioco.
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Uno, cento, mille Netherworld
Il Netherworld non finisce mai di stupire, eterna fucina di dimensioni assolutamente fuori di testa, abitate da creature che ben si sposano con questo universo in cui sono il caos e la follia a fare la voce grossa. In Disgaea 7: Vow of the Virtueless il teatro delle vicende sarà Hinomoto, un mondo ispirato al Giappone feudale ed un tempo retto dalle ferree regole del Bushido, almeno fin quando il perfido Opener non decise di ribaltare tutto. Detto addio all’onore in tutte le sue forme, Hinomoto è caduto preda dell’anarchia più totale, con i demoni che lo abitano oramai dediti unicamente alla delinquenza, affatto mitigata da uno shogun più interessato alle infernali sottane che al rispetto dell’ordine. È in questo contesto completamente fuori controllo che faremo la conoscenza del demone Fuji e della otaku Pirilika (perennemente in cerca di sushi ed altre prelibatezze), attorno a quali finiranno per gravitare poco alla volta numerosi altri personaggi altrettanto caratteristici. A muovere le fila del racconto sarà la ricerca di 7 armi demoniache, necessarie per mettere fine al domino di Opener e riportare Hinomoto alla normalità. Una storia che, come vuole la tradizione della serie, non brilla certo per originalità ed appeal intrinseco, ma che può contare sulla consueta dose massiccia di umorismo ricco di situazioni assurde, battute fulminee e spietati doppi sensi, capaci di accompagnare con efficacia il folle cast che la anima. In fondo parliamo pur sempre di Disgaea, e chiedere di più sarebbe stato fuori luogo, visto che i fan desiderano soltanto divertirsi senza pensieri, magari dopo essere stati sommersi da un quantitativo spropositato di statistiche e meccaniche ludiche. E sotto questo punto di vista il settimo capitolo di casa Nippon Ichi compie un corposo ritorno al passato, rispetto alle semplificazioni ritenute un po’ troppo eccessive (almeno dai fan più intransigenti) del precedente episodio.
Non chiamatelo Godzilla!
Se siete tra i pochi che non hanno mai sentito parlare dei precedenti capitoli della serie, vi basterà sapere che Disgaea 7: Vow of the Virtueless è un classico RPG tattico, in cui saremo chiamati a disporre e controllare il nostro gruppo di personaggi all’interno di svariate griglie quadrettate. La peculiarità per cui sono noti i titoli sviluppati da Nippon Ichi risiede nella completa libertà di gestione del proprio turno di gioco che, a differenza di altre produzioni analoghe, ci permetterà di muovere senza seguire un ordine prestabilito le nostre unità, così da dare vita a combinazioni di attacco assai stratificate e ricche di elementi strategici. Un aspetto, quello della pianificazione delle mosse, che va di pari passo con la lettura dell’ambiente di gioco, data la presenza dei celebri Geo Panel, peculiari cristalli colorati in grado di influenzare per mezzo di bonus e malus le caselle del colore di riferimento. Sicuramente particolare è l’enfasi posta sulla verticalità degli stage, che va di pari passo con la possibilità di sollevare e scagliare lontano i personaggi, così come il modo in cui il gioco ci permette di dare vita a catene a volte quasi infinite di attacchi combinati e counter, elemento che dipende dalla formazione che accompagna di volta in volta l’attaccante. Unite il tutto ad una serie corposissima di job disponibili (in questo capitolo si è toccata quota 45, tra cui spiccano 4 new entry assolute), tutti caratterizzati da abilità e perk unici, infiniti set di equipaggiamento ed abilità a profusione, ed avrete solo un piccolo spaccato di quanto Disgaea 7: Vow of the Virtueless riesca ad offrire in quanto a varietà di approccio e pianificazione. La serie Nippon Ichi non è mai stata morbida da approcciare, proprio in virtù di tale quantitativo di aspetti da metabolizzare, a cui ogni nuovo episodio ha da sempre cercato di affiancare aspetti inediti. Ed anche questo settimo capitolo non si è risparmiato una spolverata di nuove feature, tra cui la più macroscopica (nel vero senso della parola) è rappresentata dalla Jumbification: da un certo punto in poi dell’avventura, difatti, ci verrà offerta la possibilità di ingigantire per tre turni fino a quattro personaggi (occhio che vale anche per i nemici!). Una volta trasformate in pseudo-kaiju, le unità in questione potranno darsela di santa ragione, oppure avranno la possibilità di scatenare la loro devastante potenza su ampie porzioni della mappa, così da spazzare via in un colpo solo un ingente quantitativo di truppe avversarie. Altra new entry e rappresentata dalla Hell Mode, una modalità in grado di amplificare temporaneamente le capacità dei personaggi unici, oltre a spalancare le porte a nuove abilità.
E io pago…
Non tutte le novità introdotte, comunque, hanno giovato all’esperienza offerta da Disgaea 7: Vow of the Virtueless, tra queste ce ne sono alcune che sono andate a riportare su binari forse un po’ troppo intransigenti la difficoltà generale, criticata per essere troppo semplice nel precedente capitolo. Tale innalzamento è dovuto al ritorno dell’esperienza singola per ciascun personaggio, abbandonando la condivisione vista in Defiance of Destiny, situazione che porterà soltanto chi compirà determinate azioni a salire di livello. Il ritorno alla necessità di curare feriti e caduti spendendo il denaro guadagnato, tra una missione e l’altra, porta ad inevitabili rallentamenti nell’acquisto di equipaggiamenti più performanti. Lo stesso multiplayer, introdotto per la prima volta nel capitolo in questione, è poco più che un orpello, dato che lascerà la gestione delle battaglie tra player a dei comandi preimpostati, in perfetto stile gambit. Sono allora le consuetudini rodate ad offrire una ventata di ulteriore solidità al tutto, grazie al consueto Item World (dungeon procedurali che consentono di potenziare gli oggetti), la Dark Assembly (una sorta di senato che consente di sbloccare nuove funzionalità) e la possibilità di reincarnare a piacimento i nostri personaggi, una meccanica che consente di azzerare il livello dell’unità scelta, mantenendone alcune caratteristiche e permettendo di aumentare progressivamente il cap delle statistiche. Tutto quanto si traduce in decine di ore di divertimento, capaci di assecondare tanto il player più superficiale che tutti coloro che desiderano sviscerare ogni aspetto della produzione Nippon Ichi. Tra alti e bassi, invece, continua a vivere il comparto tecnico, che presenta una versione migliorata della grafica 3D che aveva fatto il suo esordio con la scorsa iterazione, ma che continua ad essere un po’ blanda nel suo insieme (illustrazioni escluse). Ottimo, invece, il comparto sonoro, che oltre al consueto doppiaggio in lingua giapponese di qualità eccelsa può vantare una soundtrack davvero coinvolgente e variegata, sicuramente tra le mie preferite dell’intera saga. Peccato che il tutto si ostini a voler rimanere confinato in lingua inglese, uno scoglio non da poco vista la quantità di testo che ci viene data in pasto.
Con Disgaea 7: Vow of the Virtueless Nippon Ichi compie un sensibile ritorno alle origini della sua serie di RPG tattici, andando a smussare le criticità che avevano caratterizzato Defiance of Destiny e restituendoci un titolo sicuramente meno permissivo della precedente incarnazione. Questo si traduce, comunque, nel consueto titolo sfaccettato ed impegnativo, oltre che maledettamente appagante, in grado di regalare a tutti i suoi fan un quantitativo spropositato di ore di puro divertimento. Se non si può non apprezzare l’inserimento dell’Hell Mode e della Jumbification, qualche remora è giusto averla nei confronti del ritorno dell’esperienza non più condivisa, nelle cure a pagamento post battaglia e nel multiplayer sicuramente marginale. Tolto ciò, però, il reame di Hinomoto riesce a mettere in piedi uno dei titoli più interessanti di questo longevo brand, di sicuro un must have per ogni appassionato che finì per rimanere irretito sin dai tempi di Laharl, Flonne ed Etna.